
Il riconoscimento essenziale che va attribuito al paese di Raffadali è che esso vanta un’antica tradizione di origine contadina.
In epoca passata, questa sua attribuzione, risultava dalla sintesi di due elementi: uno, puramente materiale rappresentato dal rapporto che l’uomo (nel periodo feudale) esercitava sul terreno e che con esso rappresentava quasi un tutt’uno, cioè un oggetto strettamente legato alla lavorazione e produzione dei frutti; e l’altro, di formale imposizione esercitato dal padrone che decideva ogni minima forma di libertà nell’ambito lavorativo.
Per designare tale momento, il quale si identificava con il concetto di schiavitù, bisogna guardare al lavoro servile ed alla costante equiparazione dell’uomo-contadino all’oggetto, “utilizzato” per la realizzazione degli interessi dei padroni.
La funzione puramente servile legata alla figura del contadino è scomparsa quando nei nostri paesi, al feudo è stata sostituita l’attività agricola legata alla libera proprietà privata che si esplicava sui singoli appezzamenti di terreno.
Questa svolta decisiva si ebbe con le lotte contadine del 1945/1948, quando, dal lavoro servile si passa ad un aspetto più umano che lega il contadino alla terra: ciò costituì il risultato di una emancipazione lungamente desiderata.
L’attività dei contadini si presenta sotto una nuova veste, in cui ciascuno coltiva il suo fondo con una passione diversa, dettata ed incrementata dal possesso esercitato sul terreno.
In realtà, anche se la situazione mutò dal punto di vista esterno, sul piano interno la situazione, restò immutata poiché i contadini sono stati lasciati soli e poveri da una politica che sottovalutava i prodotti agricoli.
Da qui si ebbe l’emigrazione verso i paesi lontani, quindi l’economia agricola decade.
Come sembra emergere dalla storia contadina, il meccanismo di tutela verso questa classe di lavoratori è stato debole.
L’esigenza individuale di una maggiore protezione restò un sogno utopistico mai realizzato anche perché siamo di fronte ad un quadro di una complessa disciplina, dettato da situazioni molteplici di difficile individuazione.
Nonostante le situazioni particolari che si vennero a creare, la lavorazione del terreno, continuò ad essere lunga-mente praticata; tutt’oggi si coltivano diverse varietà di piante come mandorle, ulivi, viti, ma anche frumento e ortaggi, ovviamente la tecnica di lavo-razione è completamente cambiata soprattutto con l’avvento dei mezzi agricoli.
Di recente, la comunità raffadalese, ha voluto, attraverso un simbolo che rimarrà nel tempo, erigere un monumento dedicato alla civiltà contadina. Giorno 6 ottobre del 2002, l’opera: un’imponente scultura realizzata presso le fonderie di Riesi, è stata accolta con grande entusiasmo, perché esso costituisce la testimonianza delle origini agricole del paese che si è evoluto grazie (anche) alla forza di quei giovani contadini che hanno saputo
lottare non soltanto per sfamare le loro famiglie, ma soprattutto per liberare i feudi dalla vergogna della schiavitù.
Questa evoluzione coinvolge l’intera esistenza di ciascun cittadino che, seppur represso ed assoggettato da una regime tirannico, riesce a vivere quel margine di libertà nella più dignitosa consapevolezza di un possibile futuro migliore.
Tramite un sottile filo, fatto di ricordi, si è inteso ripercorrere a ritroso e, soprattutto, far conoscere ai giovani, la storia del nostro passato che sembra essere stato offuscato dal tempo. L’ombra che ha avvolto le origini del paese viene, così, allontanata, dall’imponente presenze di una scultura, capace di rievocare un mondo agricolo che ha costituito, da sempre, la principale fonte di sostentamento su cui si basa l’economia del paese. Questi ricordi forse sono stati inconsciamente seppelliti da un rancore tutt’ora presente nelle ossa e nelle viscere dei contadini che hanno ancora la carne bruciata dal sole e i solchi profondi sulle mani.
Quindi si tende a valorizzare un passato, non molto lontano, che riluce sotto una campana di vetro ed il cui suono rimbomba al di là dei tempi e delle consuetudini.
Solo un luccichio vivido, intravisto negli occhi di un vecchio contadino, rappresenta una piccola finestra attraverso cui si intravede un mondo fatto di tribolazioni, di stenti e fame, di amori veri, di lotte.
In questa terra, i contadini, come poeti appassionati, il cui verso veniva sussurrato dalla bocca degli angeli, componevano poesie struggenti.
La donna rappresentava una sorgente a cui l’uomo attingeva non sol-tanto piacere carnale, ma essa costituiva nelle sua essenza e materialità, una sorta di refrigerio.
La donna veniva cantata come una creatura celestiale che rifocillava gli uomini, ciascuna nell’intimo della propria casa, con quella grazia rivestita di seduzione e devozione servile.
In tutto ciò si riscopre la semplicità di una moltitudine di anime abbandonate al loro destino, ma che, grazie alla speranza, sono riuscite a dare ai posteri, un bene tanto prezioso, quale la libertà.
di Simona Catalano