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licata antica
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Licata dalla Conquista Romana ai nostri giorni

9 Novembre 2017 //  by Elio Di Bella

licata antica

Nel 256 a.C. nelle acque antistanti l’Ecnomo (monte Poliscìa) si combattè una delle più grandi battaglie navali del- F antichità. I Romani, guidati dai consoli Marco Attilio Regolo e Lucio Manlio Vulsone, vinsero sui Cartaginesi, guidati da Annone ed Amilcare, stabilendo la loro supremazia nel mar Mediterraneo. I Romani disponevano di 330 navi, su ognuna erano 300 rematori e 120 soldati (140.000 uomini), mentre i Cartaginesi di 350 navi (150.000 uomini). Durante la battaglia la flotta romana subì l’ affondamento di 24 navi, mentre quella cartaginese l’affondamento di oltre 30 navi e la cattura di 64. Le fasi della battaglia sono desunte da Polibio, storico greco di Megalopoli, il quale le ricavò da Filino di Akragas (Agrigento), storico contemporaneo dei fatti accaduti. Nel 249 a.C. avvenne lo scontro tra le navi onerarie romane di

Giunio e quelle cartaginesi di Curtalone che ebbero la meglio. Nel 212 a.C. Alicua venne occupata dai Romani, sotto la cui dominazione rimarrà fino alla conquista dei Bizantini, nel 535 d.C., con l’intervento del generale Belisario.

Il generale bizantino, dopo aver liberato il nord Africa dai Vandali, sbarcò nelle nostre coste per cacciare gli Ostrogoti, insediatisi in tutto il territorio italiano. Nel Medioevo Alicua si chiamò Alicata, l’odierna Licata. Nel 581 venne fondato il cenobio benedettino, dov’è oggi la Chiesa di Santa Maria La Vetere, da Santa Silvia, madre del futuro papa San Gregorio Magno. Nel VI secolo è testimoniata sul monte Sant’Angelo la presenza di San Calogero, eremita basiliano, proveniente da Calcedonia, nelle vicinanze di Costantinopoli, peregrinante per gran parte della Sicilia, poi morto su monte Cronio, presso Sciacca. Nell’827 ebbe inizio la dominazione araba e si protrasse fino al 1086, con un’interruzione dal 1038 al 1042, durante cui il generale bizantino Giorgio Maniace riconquistò l’isola. La presenza degli Arabi è evidente nel rione Marina, il nucleo urbano medievale che è caratterizzato da un impianto cufico, la cui tipologia segue i caratteri dell’alfabeto arabo.

Durante questo periodo giunsero e si insediarono nella Montagna monaci basiliani, sfuggiti alle persecuzioni iconoclastiche tra VII ed il IX secolo, che utilizzarono numerose grotte preistoriche, trasformandole in chiese rupestri, alcune delle quali molto interessanti per i loro affreschi, realizzati in un periodo successivo, databili tra il XII ed il XIII secolo. Tra le chiese rupestri più importanti sono da segnalare quelle di San Calogero, di San Cataldo e di San Giovanni. Nel 1086 iniziò la dominazione normanna, con re Ruggero I, e terminò nel 1190, quando re Ruggero II morì senza lasciare eredi. I Normanni ricostruirono il Castello a mare, il Lymplados, chiamandolo San Giacomo a ricordo della loro vittoria sugli Arabi avvenuta nel giorno dedicato al Santo. Nel 1173 re Ruggero II concesse all’abate ed al priore del Convento bene dettino di San Giovanni degli Eremiti di Palermo il latifondo di Sabuci, dove furono costruiti una chiesa ed un convento di cui rimangono solo dei ruderi che meritano di essere restaurati per conservarne le parti architettoniche ancora degne di essere ammirate.

In quegli anni risultano esistenti interessanti edifici religiosi quali la Chiesa di Santa Maria La Vetere, costruita sul preesistente cenobio benedettino, la Chiesa di Santa Margherita, Vergine e Martire d’Antiochia di Pisidia, in seguito ricostruita e dedicata a Sant’Agostino, e la Chiesa di San Giacomo il Maggiore, detta del Purgatorio, con la relativa casa ospitaliera che accoglieva i pellegrini che si recavano nella Terra Santa. Nel 1190 subentrarono gli Svevi dopo una lotta tra Enrico VI, figlio di Federico Barbarossa, e Tancredi, nipote illegittimo di Guglielmo il Malo.

Da questa controversia ne uscì vincitore Tancredi. Nel 1194 fu la volta di Enrico. Nel 1197 ad Enrico succedette Federico I a soli tre anni, poi divenuto Federico II, imperatore del Sacro Romano Impero. Nel 1220 giunse a Licata

Sant’Angelo, sacerdote dell’Ordine dei Carmelitani, proveniente da Gerusalemme, martirizzato lo stesso anno nella Chiesa dei Santi Apostoli Filippo e Giacomo il Minore. Federico II nel 1234 concesse a Licata il titolo di Dilettissima, divenendo una delle più importanti città demaniali dell’isola. Dopo la morte di Federico II, avvenuta nel 1250, il regno venne diviso tra i figli Corrado, Manfredi, Enzo ed il nipote Federico. A dimostrazione della grande importanza della città tra il XII ed il XIII secolo, il Castel San Giacomo figurava al terzo posto, dopo il Castello a mare di Palermo ed il Castello Maniace di Siracusa, in una rassegna dei castelli di Sicilia ordinata da Corradino poco prima della sua morte. Tra le opere più importanti di questo periodo è la costruzione della cinta muraria della città.

Tra gli edifici religiosi sono da segnalare la Chiesa dei Santi Apostoli Filippo e Giacomo il Minore, in seguito ricostruita e dedicata a Sant’Angelo Martire, la Chiesa ed il Convento dell’Annunziata o del Carmine e la Chiesa di San Giovanni dei Cavalieri di Gerusalemme, in seguito ricostruita e dedicata a San Francesco. Nel 1266 iniziò la dominazione angioina che terminò nel 1282 con i Vespri Siciliani, una sommossa scoppiata a Palermo e pro-pagatasi in tutta l’isola. Licata si ribellò agli Angioini con l’uccisione della guarnigione francese del Castel San Giacomo. Dal 1282 al 1412 seguì la dominazione aragonese che si caratterizzò per il suo buon governo. Nel 1360 è esistente il Castel Nuovo, un’opera difensiva importante per l’antico porto (ortu du za Saru), in seguito trasformato nel Quartiere degli Spagnoli. Dal 1412 al 1516 si ebbe la dominazione castigliana.

Nel 1447 re Alfonso I d’Aragona concesse alla città il titolo di Fedelissima, confermando quello di Dilettissima. Nel 1492 re Ferdinando ordinò l’espulsione degli Ebrei dalla Sicilia, alcuni di loro rimasero a Licata, convertendosi al cristianesimo. Durante questo periodo venne costruita la Chiesa di Santa Maria La Nuova (Madrice). Tra le opere d’arte più importanti si evidenziano il simulacro marmoreo della Madonna del Soccorso di Domenico Gagini, le 4 Virtù cardinali, simulacri marmorei di Pietro di Bonitate, il trittico della Madonna con Bambino e Santi di scuola antonelliana, il SS.mo Crocifisso nero di Jacopo e Paolo de Li Matinati e la prima urna argentea, seconda in ordine di tempo, contenente le reliquie di Sant’Angelo Martire.

Durante la domi-nazione spagnola (1516-1713) Licata fu teatro di avvenimenti drammatici, cui seguirono atti di volontà decisi a riscattare le sorti della popolazione. Nel 1542 subì gravi danni a causa del terremoto che sconvolse gran parte della Sicilia. Nel 1553 la città fu saccheggiata per una settimana dai Franco-Turchi, favoriti da un tratto della cinta muraria crollata durante il recente terremoto e non riparata. Furono distrutti ed incendiati palazzi, chiese e conventi. Fu espugnato il Castel San Giacomo e furono trucidati i soldati, che strenuamente lo avevano difeso, tra cui lo stesso castellano che venne crocifisso. Fu distrutto anche il Castel Nuovo.

Nel 1565 Licata accolse numerosi Maltesi, costretti a lasciare la loro isola a causa dell’assedio dei Turchi, che si insediarono nel rione che dal loro patrono prese il nome di San Paolo. Nel 1575 e nel 1625 la città fu colpita dalla peste e liberata per intercessione del Santo Martire Angelo. A seguito della seconda peste fu deciso di costruire una nuova chiesa al Santo e di trasferirne la festa. Nel 1645 altri 500 Maltesi raggiunsero Licata e, insieme ai precedenti, vi si stabilirono. Nel 1648 la città venne venduta dal luogotenente del Re al Vescovo di Girgenti (Agrigento) per 50.000 scudi e nel 1650 riscattata dai giurati e dalla popolazione con la stessa somma, ritornando alla dignità demaniale.

Nel 1668 una flotta turca, nel 1675 e nel 1677 due flotte francesi furono respinte. Le incursioni continuarono ancora, ma i Licatesi furono sempre pronti a respingerle. Dopo la distruzione della città, si ricostruirono i palazzi, le chiese ed i conventi. Il Castel San Giacomo fu oggetto di particolare attenzione per la sua posizione strategica e nella ricostruzione si pensò di renderlo più sicuro con la realizzazione di grandi bastioni più idonei alla difesa della città. Si costruirono torri d’avvistamento lungo tutta la costa, una di queste nel XVII secolo venne inglobata nel Castel Sant’Angelo, il terzo castello di Licata, non considerando il Castello di Falconara, in territorio di Butera.

Durante il XVII secolo vennero fondate le città di Ravanusa, Palma (di Montechiaro), Campobello di Licata e la borgata di Bifara, sottraendo a Licata numerosi feudi e ridimensionando notevolmente il suo territorio, uno dei più vasti della Si¬cilia. In questo periodo le opere d’arte da segnalare sono il fonte battesimale marmoreo di Gabriele da Como, i sarcofagi marmorei della Chiesa del Carmine, i si¬mulacri lignei di San Michele Arcangelo, Santa Caterina d’Alessandria e Sant’An¬drea Apostolo, la tavola di Deodato Gui- naccia, le tele di Filippo Paladini, Gio¬vanni Portaluni, Nunzio Magro, allievo di Pietro Novelli, la tela di San Girolamo di scuola caravaggesca, la tela del martirio di Sant’Angelo e la seconda urna argentea, terza in ordine di tempo, di Lucio de Anizi, contenente le reliquie di Sant’An-gelo Martire. Seguirono le dominazioni dei Sabaudi (1713-1720) e dei Borboni (1720-1848). Dopo il Risorgimento (1848-1860) venne proclamata l’Unità d’Italia, i cui benefici giunsero in parte anche in Sicilia.

Dal XVIII al XIX secolo a Licata si ebbe uno sviluppo urbanistico considerevole, iniziato nel XVI secolo con l’espansione della città extra moenia (Borgo superiore e Borgo inferiore). Tra gli edifici più importanti di questo pe¬riodo sono i Palazzi Frangipane II, Bosio, Trigona-Rabugino, Adonnino, Cannarella e Talamo. Tra le opere d’arte sono da evidenziare i simulacri lignei della Madonna della Carità, della Madonna del Carmine, della Madonna Addolorata di Sant’Ago-stino, del SS.mo Crocifisso del Carmine, del Cristo deposto di Giovanni Spina, le tele di Giuseppe Cortesi, Giuseppe Felici, Gioacchino Martorana, Filippo Randazzo, Fra’ Felice da Sambuca, Domenico Provenzani, Giuseppe Spina e gli affreschi di Raffaello Politi. Tra il XIX ed il XX secolo il porto, per la cui costruzione venne demolito il Castel San Giacomo (1870-1929) e furono aperte le cave di pietra della Caduta e della Grazia, rappresentò per l’intera comunità licatese una fonte di lavoro sicuro per molti decenni. Lo zolfo, proveniente dalle miniere dell’ennese, del nisseno e dell’agrigentino, alimentò le attività di trasformazione nelle raffinerie locali, le più importanti d’Europa, e la loro esportazione nei mercati di tutto il mondo.

Gli intensi traffici sollecitarono il miglioramento della struttura portuale e la costruzione del faro San Giacomo (1902), alto 40 m con una portata luminosa di 21 miglia nautiche (39 km circa). La borghesia edificò palazzi e ville di un certo pregio, affidando progettazione e realizzazione a professionisti, che allora andavano per la maggiore, come l’arch. Ernesto Basile, il geom. Filippo Re Grillo, che del Basile fu un interprete fedele, e decorazioni a pittori di buon talento come Salvatore Gregorietti, tutti in Liberty, lo stile dell’epoca. Tra le realizzazioni si ricordano il Palazzo di Città, la Villa Urso, il Palazzo Roberto Vecchio Ver-derame ed il Teatro Re, quest’ ultimo restaurato recentemente.

La I Guerra mondiale (1915-1918) vide la partecipazione ed il sacrificio di molti Licatesi. Seguirono il Fascismo (1921-1943) e la II Guerra mondiale in cui altri Licatesi sacrificarono la loro vita per la Patria. Nel 1943 nelle coste licatesi avvenne lo sbarco degli Americani, che inaugurò la fase di liberazione dell’Europa dal Nazismo. Nel 1945 venne indetto un referendum ed al termine fu proclamata la Repubblica. Nel dopoguerra Licata assistette ad un declino inesorabile che continua fino ai nostri giorni; la città continuò a crescere sotto l’aspetto urbanistico, ma non commerciale. Tra le opere d’arte di quest’ultimo periodo si segnalano le tele di Antonino Licata ed Ignazio Spina ed i simulacri lignei ed in cartapesta di Ignazio Spina.

di Angelo Schembri in Agrigento Nuove Ipotesi n.3 maggio/giugno 2006

Categoria: Storia ComuniTag: licata

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