Ricordare è virtù; virtù consapevole di gratitudine verso coloro che, in mezzo alle viltà quotidiane della vita, vollero essere uorqir[i nel senso mazziniano della parola e seppero sacrificare se stessi per un grande ideale.
ed oggi, nel 1.° cinquantenario della nostra liberazione, ricordare il nome di Vincenzo Macaluso – che fu un grande patriotta e un uomo di carattere – é virtù e dovere.
Si lasci pure al disprezzo universale la rupe Tarpea per le coscienze corrotte, ma non si dimentichi la glorificazione del pantheon umano, dove le anime pure e grandi, che vegliano ai destini della Civiltà, hanno diritto ad essere benedette dalle generazioni riconoscenti.
Onore a Vincenzo Macaluso!
(Paolo Scrimali)
Vincenzo Macaluso
Nacque nel 1821 a Canicattì dal padre Angelo, avvocato. Studiò a Girgenti a Catania ed a Palermo, dove si laureò in Legge nel 1847. Ed a Palermo cominciò ad esercire lodevolmente la sua professione.
Ma l’anno appresso la rivoluzione lo chiamava ed egli fu uno dei primi a inalberare il vessillo di libertà in Palermo nella storica giornata del 12 Gennaio e passato poi a Messina, nella qualità di Capitano di Artiglieria della Batteria Trinacria, difese valorosamente quella piazza. Fu egli il primo fra i Siciliani, che passò in Calabria e che piantò in Villa S. Giovanni lo stendardo della Redenzione Italiana, mettendo in repentaglio la vita e la libertà e fu l’ultimo a salvarsi in Messina dopo tanti stenti. E in Calabria si distinse in tutti gli incontri con le truppe borboniche nei Piani della Corona. Ma venuta meno la rivoluzione ottenne che una lancia della lotta francese fosse messa a sua disposizione, per imbarcare nei vari punti delle Calabrie tutte le persone più compromesse nella rivoluzione, che si mantenevano latitanti, salvandole cosi dalla ghigliottina.
Ferito nell’ ultimo combattimento di Messina ad una gamba, per cui fu poscia insignito di medaglia d’ argento – dovette ritornare a Licata presso la famiglia per curarsi. Ma nel novembre dello stesso anno fu nominato dal ministro La Farina, Capitano comandante del Castello di Licata e poscia traslocato a Termini Imerese in qualità di capitano di Artiglieria sino al mese di Aprile 1849.
Condannato a morte
Ripresa la Sicilia e proclamata da Ferdinando li, generale amnistia, due soli siciliani ne furono esclusi: Don Martino Alessi da Messina e Vincenzo Macaluso, perché l’amnistia fu applicabile ai fatti soli di Sicilia e non estensibile a quelli politici compiuti dai Siciliani nelle Calabrie. Sicché il Macaluso, messosi in latitanza, subì in contumacia una condanna capitale. Ottenuta pertanto dal Borbone novella amnistia per opera del proprio zio Gioacchino La Lumia, direttore di Grazia e Giustizia del Regno, si restituì a Palermo nell’esercizio della propria professione nel 1851.
Per opporsi all’ingerenza diretta del Maniscalco nella celebre causa Minneci, egli vi prese spontaneamente parte attiva; ma appena liberato dalla pena di morte di Minneci, il Macaluso, che tanto si era distinto nella difesa e che aveva parlato liberamente contro la prepotenza del Maniscalco, fu arrestato, processato e condannato a vita, sotto l’imputazione di essersi inteso – insieme allo Avvocato De Falco, di Napoli, venuto a Palermo per quella causa e arrestato contemporaneamente al Macaluso – per un simultaneo movimento tra Sicilia e Napoli. E nuovamente Gioacchino La Lumia, in allora Ministro della Real Casa, ottenne un Sovrano rescritto che lo confinava a domicilio coatto a Girgenti. dove stette circa otto anni,
Cospiratore
Ma Egli non dimentica la causa Nazionale e si mette in relazione con i più noti rivoluzionari.
I generali Fabbrizi e Tannato, esuli a Malta per ragioni politiche, gli fanno pervenire fasci di giornali, che egli distribuisce clandestinamente fra il popolo. Ed altri ne pubblica con un torchio clandestino che teneva nella casa di propria abitazione. Giornaletti di fuoco stampati da mano inesperta ed appena intelligibili, ma che sommovevano tutti gli animi nobili della provincia.
E quelli furono anni di raccoglimento, anni di aspirazione, di fede, di lotte, di sacrifizi, di oppressioni. Oh ! se tutti leggessero i rapporti segreti della polizia di Girgenti al Ministro Maniscalco si accorgerebbero quante ansie, quante angosce costò l’ ideale a quei giovinastri sconsigliati – che a dire dei vari intendenti – erano esaltati del 1848 e si riunivano in privati e pubblici convegni pascendosi nella speranza di nuovi disordini e del ritorno dell’anarchia.
E quel domicilio coatto? Oh ! se si conoscessero e leggessero i fogli di via ottenuti a stento per recarsi a Canicattì o a Licata e rilasciatigli con 1’obbligo di presentarsi a data fissa presso le diverse autorità di polizia dei paesi indicati al margine, per la cui trascuranza fu spesso condotto alle carceri di S. Vito, come non si costaterebbe che l’obblio di tanti anni è stato di già una colpa? !
Ma andiamo oltre! Venne il 1859 e in ogni parte d’I talia si sentiva il fremito nuovo della nuova rivoluzione.
Sul monte La Pietra
La provincia di Girgenti non poteva non sentirlo, poiché esso scuoteva tutte le fibre e poiché il sentimento della nazionalità scorreva nel sangue di tutti gli Italiani. Il Macaluso organizza una delle più ingegnose ed inavvertite cospirazioni allo scopo di iniziare un inatteso movimento dalla provincia alla capitale.
L’alba del 29 Giugno spuntava e sul calvario di Aragona e sul Monte La Pietra sventolavano, segnacolo di libertà e di redenzione, le bandiere Italiane. Le popolazioni di Grotte, Racalmuto, Favara, Castrofilippo, Comitini, Aragona furono subito avvertite dell’avvenimento e quelle masse di popolo, aumentate dal numero di mietitori venuti per le messe da tutte le parti di Sicilia, andarono a rendere omaggio per la prima volta alla bandiera della Patria, – Una e Libera – che andava a formarsi. Furono subito avvertite le autorità, ma la guardia nazionale non era capace a frenare quel popolo: le bandiere furono tolte di notte tempo dai soldati in rinforzo giunti da Girgenti.
Cominciava cosi il movimento insurrezionale, che dalla provincia di Girgenti doveva estendersi a Palermo. Ma sopravvenne la pace di Villafranca e il movimento fu sospeso. La repressione Borbonica allora infierì contro gli autori della sommossa e mentre. Don Lorenzo Sciarratta sacerdote. Don Amedeo Lupo; Don Vincenzo Lo Brutto. Don Achille Scribani e Antonio Maganzi si resero latitanti. Vincenzo Macaluso fu arrestato e tradotto a Palermo nelle terribili Camere serrate’ della Vicaria.
Fu processato ed il processo durò a lungo. – Finalmente a 20 Maggio 1860 si ebbe la condanna a morte.
Liberato
Ma le truppe borboniche, più che a fucilare condannati, erano occupate in quei giorni ad altro, per cui fu postergata la esecuzione. E l’alba del 27 Maggio I860 segnò la libertà per Palermo e anche per il Macaluso, che fu tosto condotto dal Generale Garibaldi, che lo nominò Commissario straordinario per la provincia di Girgenti, allo scopo di sollecitare tutti i buoni cittadini della provincia a concorrere al compimento di quella libertà, che già si era ottenuta nella Capitale.
E qui ha fine la lotta contro il Borbone e comincia quella contro il governo fedifrago, che si era impossessato della Sicilia per depredarla.
Comincia per il Macaluso quella Lotta politica che fu continuata sino alla sua morte.
Assunto il mandato di commissario Straordinario in Girgenti fece proclamare la libertà. Rispettoso di tutte le opinioni politiche, non combatteva che i soli traditori. Ed infatti pubblicò la vita dell’ex intendente borbonico Salvatore Vanasco che dagli afffiliati della consorteria agrigentina era stato proposto come intendente di polizia del governo Italiano, mentre egli nelle due provincie di Girgenti e Caltanissetta aveva perseguitato tutti i liberati.
Pubblicata la vita del traditore Vanasco rese poi di pubblica ragione alcuni documenti segreti della polizia di Maniscalco pervenuti nelle sue mani. E qui lasciamo la parola a lui stesso. «Ma quando mi avvidi che 1’epurazione da me fatta iniziare, se toglieva la posizione ad un funzionario borbonico, veniva questa largita alla canaglia che disonora la Sicilia, e che la mia patriottica missione veniva trasformata in guerra di spostamento, scandalizzato dal metodo, volli subito astenermi da ogni ulteriore pubblicazione, non volendo rendermi manutengolo dei disonesti e degli affaristi.
«Impertanto i colpiti dal mio coraggioso operato ed i truffatori da conquista s’intesero facilmente e non potendo trovare elemento alcuno per vendicarsi si studiarono a farmi guerra di opinioni e seppero talmente maneggiarsi da strappare un ordine di cattura, avendomi segretamente denunziato come un fanatico Comunista che minacciava di dividere la proprietà dei cittadini al popolo. Fallito il colpo per opera dell’ex deputato Giuseppe Bruno, il quale avvertito del proditorio, fece talmente chiasso da far revocare l’inqualificabile arresto, fui insieme al Crispi e al Senatore Raffaele compreso nella lista di arrestarteli compilata dal partigiano La Farina.»
Contro la filaria
Dopo pochi mesi, cambiate per poco le cose di Sicilia, fu nominato consigliere di prefettura a Girgenti, dove cominciò a combattere la Ma fluì e tutti quei funzionari che di essa si rendevano manutengoli.
«La provincia più desolata in tutta Italia è quella di Girgenti: perché è l’unica provincia ove sinosi perpetrati assassini su esemplari sindaci, zelanti magistrati, coraggiosi avvocati, assassini, di cui mai la giustizia è arrivata a processarne gli autori, nel mentre il popolo designa le persone e racconta tutti i particolari delle terribili tragedie! In nessuna provincia d’ Italia – che io mi sappia – si è avuto lo spettacolo di vedere assumere l’autorità di funzionario pubblico da un grassatore, da un assassino di alta scuola, e valgan per tutti, il non amnistiato Giuseppe Lavinaro di Comitini e il pugnalatore Giuseppe Geraci Matrona di Castrofilippo.
Quasi tutti i prefetti che sono venuti a sfamarsi o a prendere il battesimo di fratellanza in Girgenti sono stati por-tati sugli scudi da coloro, ai quali fumano ancora le mani di sangue invendicato. »
Accettato l’incarico il Macaluso si mise all’ opera e in quaranta giorni di sua residenza fu il terrore dei delinquenti. Una notte impedi una strage minacciando 1’ autorità di P. S. di telegra¬are al governo e scoprire pubblicamente la trama, se si fosse lasciata prendere la mano. L’indomani invece venne telegrafico ordine di destituzione. Il Macaluso comincia allora a pubblicare il suo giornaletto « La Pietra » nella quale svela tutta la trama e con un coraggio senza pari denunzia pubblicamente i traditori.
Funzionario ribelle
Si fa un’ inchiesta e gli si rende giustizia mandandolo a Noto. Si era allora al 1862 e l’anima rivoluzionaria del Macaluso sente un fremito di sdegno contro il governo, di cui era funzionario, all’annunzio dell’arresto di Garibaldi in Aspromonte. Dimentica la sua funzione e ritornando cittadino, in un pubblico comizio, in una società operaia, protesta contro l’ingratitudine Savoiarda che aveva voluto offendere nell’ arresto e nel ferimento di Garibaldi il sentimento di tutti gli italiani.
Naturalmente venne destituito.
Egli si portò a Palermo ad esercire la professione. Giuntovi appena prende viva parte, insieme all’ avv. Antonino Morvillo, nel processo contro i funzionari che avevano straziato con 354 bruciature di ferro rovente il sordomuto Antonio Cappello, del quale pubblicò la vita e le sofferenze.
Da Palermo passò a Torino, dove scrisse e pubblicò un opuscolo sulle condizioni della Sicilia e poi andò a Firenze dove fondò la loggia massonica Rosolino Pilo, della quale egli fu Venerabile. E nell’ordine massonico egli fu Gran.’. Isp.’. Gen.’. gran 33.. e Delegato Straordinario nella valle del Tevere a Roma, quando la massoneria avea però ben altra missione che non abbia oggi.
Nel 1866 si lini al Garibaldi partecipando alla battaglia di Bezzecca e nel 1867 fu nominato sottoprefetto di Lagonegro. Ivi la sua condotta fu eroica. In meno di un mese faceva animare due fontane, per lungo tempo rese inattive e faceva eseguire lavori trascurati e nocivi alla pubblica salute, ispezionando le opere egli stesso personalmente.
Compose le dissidenze fra i vari partiti, facendo votare il bilancio comunale sotto la sua presenza. Fece ripulire a propine spese alcuni locali della Sottoprefettura per adibirli ad uso di scuola promuovendo 1’emulazione fra gli alunni con dar loro premi a proprie spese. Ed in testa alla guardia Nazionale e alla truppa regolare, eseguiva delle per-lustrazioni, sormontando valli e monti a piedi per essere di eccitamento agli altri, premuroso come era della distruzione del brigantaggio. Tutto ciò in meno di un mese.
Il pubblico rimase sorpreso della sua operosità e degli atti di giustizia resi a tutti, talché parecchi comuni dopo la vigliacca destituzione, gli offrirono la cittadinanza e gli fecero tanti attestati di lode. Pretesto e grave accusa si fu l’avere egli permesso la processione e festività del sacramento.
Se il rispetto alle opinioni e ai sentimenti degli altri è delitto, io mi dichiaro il più colpevole. Così scriveva lamentando che il suo predecessore avesse insultato le credenze di quel popolo. Il governo chiese spiegazioni del suo modo di agire e P anima rivoluzionaria allora piglia il sopravvento sul funzionario mai domato, che telegrafa in questo modo al Ministro : « Io ho fatto per spontaneità, quanto voi avreste fatto per vigliaccheria. Destituitemi».
Naturalmente fu destituito.
I liberali di Lagonegro si affermarono sul suo nome nella vicina elezione politica, ma la potenza corruttrice del governo, vinse lo sforzo generoso. Nel 1868 fu nominato consigliere di prefettura a Caltanissetta. Anche qui l’opera sua fu eroica, tanto che fu nominato consigliere comunale e si ebbe diversi incarichi speciali da quel comune, istituì la prima Cooperativa di Consumo in Sicilia, la quale visse sin che egli fu a Caltanissetta. In quell’ anno la provincia fu infestata dalle cavallette ed egli si recò nei punti malarici a dirigere i lavori, talché per opera sua la provincia fu salvata ed egli si ebbe non pochi attestati di lode dai Comuni, dalla Provincia e dal Governo. Però anche qui dovette subire un’altra destituzione. Ma egli non poté mai saperne il perché e provocò tante volte inchieste, che mai vennero. I suoi avversari aveano vinto.
Ma non si perdette di coraggio. Ritornò a Firenze e poi al 70 a Roma, per la liberazione della quale aveva concorso col sangue essendo stato feritoia un braccio a Mentana.
Professionista e Giornalista
A Roma esercitò con amore la sua professione; ma carattere ribelle qual era non dimenticava la novella oppressione del governo che si dice liberale, italiano e riparatore.
Tutto quanto guadagnava egli spendeva in pubblicazioni di giornali e opuscoli illustranti le varie quistioni di indole siciliana.
Fece magnifiche campagne contro la magistratura e la polizia, e scrisse sulle esazioni delle imposte, sulla mafia. sulle decime: sulle circoscrizioni territoriali, sulle costruzioni ferroviarie in Sicilia, promuovendo inchieste che davano ragione alle sue pubblicazioni, alle sue precise denunzie. Fu varie volte candidato politico a Girgenti. a Canicattì a Modica, a Lagonegro e sempre per il suo temperamento e pelle sue idee fu combattuto aspramente dal governo»
Il Crispi volle offrirgli la commenda e una lauta riparazione a tanti danni sofferti per causa politica, ma egli rifiutò sempre.
Fu diffamato in occasione di un famoso processo politico contro il Dott. Giorio a Milano, dal giornale IL Popolo Romano di Costanzo Chauvet, ma il Tribunale di Roma emise tale sentenza riparatrice che fu tutto un onore per il Macaluso.
Amicissimo di Pietro Sbarbaro diresse le Forche Caudina quando questi era in carcere od esiliato. Ma anche dallo Sbarbaro, cui avea mantenuta la famiglia con grande sacrifizio nei momenti di afflizione, si ebbe un’ immeritata ingratitudine.
Fu socio onorario di diversi circoli e società di Sicilia, direttore di una società cooperativa di consumo da lui costituita in Roma. Ebbe molte relazioni con uomini politici e anche molti avversari. Per opera sua e mediante una lotta tenace Canicattì ebbe la sua stazione ferroviaria e fu egli – come risulta dai verbali delle sedute consiliari – l’iniziatore del Mulino municipale che fu il primo di tutta Italia.
Acciaccato dagli anni, dalle sofferenze. dalle delusioni Vincenzo Macaluso a 27 Dicembre 1892 esalava in Roma Fu nell’ultimo respiro, povero ma onesto, confortato solo dell’affetto familiare.
L’ annunzio ferale commosse i liberali della provincia di Girgenti e il Municipio di Canicattì – sindaco Vincenzo Falcone – fece tale deliberazione che riparava alle persecuzioni subite durante vita da quell’uomo che in pubblico consiglio fu dichiarato vera ed unica illustrazione di Canicattì.
Ma l’ira nemica visse anche dopo le moine e chi avesse vaghezza di conoscere di più la ingratitudine e l’improntitudine degli uomini potrà riscontrare all’Archivio Municipale i verbali della prima seduta dell’anno 1893 che rappresentano la sintesi del proditorio e della scorrettezza.
Il verbale è rimasto in bianco.
Solo nel 1907 il Consiglio Comunale di Canicattì – Sindaco Gaetano Rao – memore delle lotte combattute per il paese senza transazioni e senza infingimenti, rifece la deliberazione del 1893 proponendo, come allora si propose, che l’attuale Piazza della Libertà, fosse dedicata a Vincenzo Macaluso-
E finalmente in questo l.° cinquantenario del 1860 come tutta la Sicilia si è preparata ad onorare degnamente i prodi suoi figli, così anche Canicattì vuole rendere omaggio a Vincenzo Macaluso.
Ben fatto! È la Pasqua di Risurrezione per questo eroe combattente contro tutte le oppressioni amò sino alla fine la patria sua senza mai averla tradita.
Della sua bontà e dell’ingenuità dell’animo suo e del suo carattere resterà indelebile il ricordo fra quanti lo conobbero.
Sia spento, ora che da tanti anni è morto, il rancore di coloro che furono da lui bollati e che vivendo fra la prepotenza si sono vendicati col voluto obblio: e serva la vita attiva e fattiva di quest’uomo che tutto sacrificò per amore della patria di esempio alla nostra generazione infrollita e mancante, più che altro, di carattere.
Onore a Lui
Canicattì, 29 maggio 1910
Scritto da Paolo Scrimali, stampato in Licata