Fondata intorno al 580 a.C. da Aristonoo e Pistilo109 inviati da Gela, sorge sulla sommità di tre alture, la collina Girgenti a Ovest, la rupe Atenea a Est, e la Collina dei Templi a Sud. Nel 572 a.C. si impadronisce della città il tiranno Falaride110, che porta avanti una politica espansionistica verso il Mar Tirreno proseguita con successo, poi, dal tiranno successivo, Terone, durante il governo del quale Agrigento riesce a conquistare Himera sulla costa opposta dell’Isola111. Nel 406/5 a.C. la città viene conquistata dai Cartaginesi, ed entra a far parte del sistema di controllo punico, fino a quando non viene rifondata da Timoleonte112.
Il centro è delimitato a Nord e ad Est dall’antico fiume Akragas (odierno S. Biagio), e lo Hypsas (odierno S. Anna) ad Ovest. Della città arcaica ci sono pochi dati, ma è interessante notare che risalgono al periodo della fondazione alcune strutture del santuario delle divinità ctonie e segni di frequentazione intorno alla fonte ex-traurbana di S. Biagio113, che fanno parte dell’orizzonte di questa ricerca.
Il santuario rupestre S. Biagio114 si trova all’esterno della cinta muraria, a Est della città, su un pendio a strapiombo verso la Valle del fiume S. Biagio115. Esso è incentrato su due profonde cavità naturali, che si addentrano parallelamente nella roccia per circa m 8 fino ad incontrarsi comunicando attraverso uno stretto cunicolo. Le cavità furono sistemate artificialmente in modo da recare un flusso d’acqua dall’interno della rupe verso l’esterno116. La fronte delle grotte è guarnita da un edificio rettangolare diviso in due vani nel senso della larghezza. Un piazzale, o cortile, circondato da un muro con pilastri sulla fronte completa la struttura contenendo all’interno un sistema di vasche comunicanti su livelli diversi, che ricevevano l’acqua proveniente dall’edificio rettangolare antistante alle grotte117. Il ritrovamento di busti fittili e di ceramiche ha fatto discutere sulla natura cultuale del complesso. L’uso della fonte è iniziato infatti già in età protostorica, come mostrano ceramiche indigene anteriori alla fondazione di Agrigento.
Questo ha fatto parlare di sincretismo indigeno-greco118 quando invece, secondo Coarelli e Torelli, siamo in presenza di semplice continuità d’uso (anche se gli indigeni frequentatori della fonte potrebbero aver attribuito a loro volta caratteri sacrali al luogo) tra la fase pre-greca e la fase coloniale119. Le ipotesi sulla natura e la cronologia della struttura sono diverse120. Secondo Marconi si tratterebbe di un santuario in grotta indigeno, monumentalizzato dai Greci già nel VII secolo, prima della fondazione di Agrigento, con la costruzione dell’edificio rettangolare, avente funzione di pronao al luogo di culto rupestre121; per Cultrera si tratterebbe invece di un santuario ctonio greco del VI secolo, poi modificato per la raccolta dell’acqua122. Zuntz ipotizza un santuario ctonio arcaico, forse anteriore alla fondazione di Agrigento e distrutto nel 406 a.C., poi sostituito da un ninfeo, probabilmente in età timoleontea; al santuario ctonio forse sarebbe appartenuto l’edificio rettangolare in una sua ipotetica prima fase123. De Waele parla di culto in relazione alle grotte in età arcaica; le strutture antistanti devono invece essere interpretate come una fontana, edificata dopo il 480 nell’ambito dell’attività di Feace e sede di un culto delle ninfe124.
Per Siracusano si tratta di un santuario ctonio, non frequentato anteriormente alla metà del VI secolo, che però, forse tra la fine del V e l’inizio del IV secolo, fu sostituito da una fontana125. Infine, secondo Zoppi, che ha recentemente riesaminato i dati per una valutazione cronologica, sembra ammissibile una frequentazione dell’area a partire almeno dalla seconda metà del VI sec.a.C.126 per la presenza di busti fittili che risalgono a quel periodo. Secondo lo studioso sarebbe possibile individuare tre fasi di utilizzo. Una prima che riguarda la presenza di un culto, già durante la seconda metà del VI secolo, svolto inizialmente in relazione alle grotte e solo al V secolo risalirebbe la costruzione della fontana davanti alle grotte e l’acquedotto che l’alimentava. Sempre secondo lo studioso, dato il particolare rapporto esistente in pianta tra la fontana e le grotte, sembra certo che il culto non abbia subito interruzioni. Ad una seconda fase sarebbe da attribuire la creazione del sistema delle piccole vasche e del piazzale. La terza fase di uso della fontana, caratterizzata da una parziale rovina dell’edificio, sarebbe da ascrivere al periodo iniziale della prima guerra punica127.
Per quanto riguarda le ipotesi del culto, sono state trovate deposizioni di grandi busti e statuette fittili, lucernette monolychni, vasetti di ogni genere e forma, tra cui skyphoi con decorazione vegetale128, tutti materiali della seconda metà del IV sec. a.C., collocati nelle nicchie, nelle sporgenze e nelle anfrattuosità naturali della parete della roccia. Considerata la natura delle deposizioni paragonabili a quelle di altri santuari ctoni dell’entroterra, è stato ipotizzato che le grotte potessero aver assunto la funzione di favisse del poco lontano tempio urbano di Demeter dove, sin dal momento della sua edificazione, il culto ctonio si sarebbe trasferito129. In conclusione, aggiungiamo ancora una notazione di Zoppi che sottolinea l’importanza della zona fuori la Porta I, sotto la quale è situato, appunto, il santuario di S. Biagio, la cui indagine andrebbe approfondita dal momento che nelle vicinanze, sulle due rive del vallone del fiume San Biagio, si trova una necropoli. La sezione di necropoli sita sulla destra, in prossimità della Porta I, sfrutta in parte gli stretti enormi massi caduti dal ciglione della rupe e sembra datarsi in epoca arcaica, quella di sinistra è di età ellenistica130.
La presenza di un culto ctonio in prossimità di una necropoli è stata già riscontrata nei casi precedentemente descritti, e non suscita quindi meraviglia, inoltre sembra possibile pensare ad un collegamento tra il santuario urbano di Demeter131, che risale, però, al V sec. a.C., posto nelle immediate vicinanze della Porta urbica I, le grotte, esattamente al di fuori di essa e che dalle profondità della rupe conducono l’acqua all’esterno e furono usate per deposizioni votive di statue fittili femminili, e la necropoli sottostante, di età arcaica. Addirittura secondo De Miro la posizione esterna alla Porta I e in prossimità di una strada che ne usciva farebbe pensare ad una connessione diretta con la necropoli piuttosto che con l’area sacra intramuraria, a meno che – egli aggiunge – “non si voglia pensare a influenze puniche nella struttura e nell’ideologia delle acque e delle rocce”132.
Nel 406 a.C. la città viene, in effetti, conquistata da Cartagine e, a partire dal 374 fino al 339 a.C., fa parte dell’eparchia punica133; dal punto di vista archeologico la presenza punica emerge all’evidenza proprio in una zona della città adiacente a quella dei santuari sopra discussi, nei pressi della Porta II. In quest’area fu impostato, dopo la distruzione del 406 a.C., un nuovo quartiere abitativo, la cui tecnica edilizia presenta segni tipici delle strutture puniche, ma soprattutto i materiali ritrovati, tra cui anfore a siluro e ceramica acroma, dimostrano i segni della frequentazione punica della zona134, che potrebbe essere stata preferita proprio per la vicinanza con l’area sacra, dal momento che nel quartiere, che è stato ritenuto a destinazione artigianale, in cui si produceva ceramica, è stato ritrovato anche materiale votivo.
Lo scavo ha restituito materiali fittili quali testine femminili, busti di Persephone e statuette di recumbente su kline135, riconducibili, secondo gli scavatori, ad un ambito ctonio, e quindi probabilmente connesso con il culto a Demeter. Secondo De Vincenzo, quindi, si potrebbe ipotizzare una produzione di votivi per il santuario rupestre di S. Biagio, “tenuto conto non solo della vicinanza alla Porta II, ma anche alla diffusione di tale culto a Cartagine, elemento questo che rafforzerebbe ulteriormente la matrice culturale punica di questo quartiere abitativo”136. Sembra che un’altra zona della città interessata dalla presenza punica, in età ellenistica, sia quella nel quartiere prossimo al santuario delle divinità ctonie137.
Quest’ultimo santuario, sebbene collocato ancora entro le mura cittadine, risulta interessante ai fini della nostra indagine per la sua particolare posizione liminare.
L’area sacra definita “delle divinità ctonie”138 si trova ad Ovest della Porta V,
immediatamente all’interno della porta e connesso con la via sacra che probabilmente connetteva questa area sacra con il Thesmophorion extra-moenia di S. Anna, che descriviamo sotto. La particolarità del complesso è costituita dal recinto arcaico numero uno, secondo la denominazione fatta da Marconi al tempo dello scavo. Il bothros all’estremità settentrionale del santuario è collocato sull’orlo di un precipizio139, in un punto in cui non sono presenti le mura della città, un punto aperto all’esterno. Il primo recinto è costituito da un tempio greco con peribolo, altare rotondo e bothros con stipe votiva, mentre il secondo recinto da un’ara quadrata, pozzo circolare e bothros. Le stipi all’interno dell’area hanno conservato vasetti, lucerne, kernoi, testine e statuette femminili con il porcellino e fiaccola phialiai kymbala.
Da sottolineare, poi, la presenza di tre statuette arcaiche virili (una di uomo nudo, una di uomo con clamide sulle spalle, una di uomo disteso) e di una testa in pietra di kouros arcaico di metà VI a.C. trovati tra le deposizioni del bothros nel recinto uno, quello che dà sul precipizio. Questo fa ipotizzare la presenza anche di frequentazione maschile del santuario140. Sottolineiamo ancora che questo complesso sacro è dentro le mura urbiche, in una posizione laterale e isolata, sopra le mura, ma comunque all’interno della città, e solo in questo caso troviamo attestazione di una frequentazione maschile di un’area sacra dedicata a divinità che si suppone ctonie, vista la natura degli ex voto141. Tale area sembra sia stata frequentata ininterrottamente dall’età arcaica (prima metà del VI sec. a.C.)142, fino all’età ellenistica, in un momento successivo alla ricostruzione timolentea143, che ha visto quindi una frequentazione anche cartaginese.
Come anticipato poco sopra, il santuario delle divinità ctonie dentro le mura sembra essere connesso a fini cultuali con il Thesmophorion di S. Anna144 fuori dalla cinta muraria. In direzione Porto Empedocle, sulla spianata di un poggio prospiciente verso il settore sud-ovest della Collina dei Templi, oltre il fiume Hypsas – odierno S. Anna, sorge il c.d. Santuario di S. Anna145. Il complesso è articolato in due settori, occidentale e orientale, rispetto al poggio su cui sorge. Su quello occidentale risulta ubicato un ambiente a pianta rettangolare con due accessi in corrispondenza del lato lungo orientale e pavimento in acciottolato. Sono state trovate abbondanti deposizioni in situ raccolte entro circoli di pietre sia all’interno che all’esterno dell’edificio e costituite da statuette fittili, vasi, pesi da telaio, ornamenti in bronzo (anelli) e in pasta vitrea (vaghi per collane), coltelli e phialai.
Si segnala un deposito bronzeo, probabile thesauros del santuario costituito da aes rude, pani, strumenti ornamentali e di valore monetario. Sono presenti, infine, anche materiali indigeni (pithos inciso nello stile Polizzello, bronzetti)146. Il ritrovamento di oggetti votivi di tipo indigeno pone il problema di una precedente frequentazione di indigeni, forse ritiratisi con l’arrivo dei Greci, anche se proprio la presenza del thesauros del santuario induce gli studiosi a ritenere l’area sacra di principale carattere indigeno. Secondo la ricostruzione di De Miro, “contadini greci e indigeni che coltivavano le terre che si estendevano a sud-ovest della collina dei templi (più tardi a partire dalla fine del V sec. a.C., interessata in parte dall’ampliamento della necropoli agrigentina) si incontravano in questo santuario che, pertanto, in parte si presenta influenzato dai caratteri dei culti ctonii urbani della collina prospiciente […] e in parte riflette un’economia tipicamente campestre”147. L’area continua ad essere frequentata da Greci dalla seconda metà del VI alla fine del V sec. nel settore occidentale e fino al IV-III sec. in quello orientale.
Un’area sacra all’aperto presso la foce del fiume Naro, a circa 7 km da Agrigento,
completa il panorama dei culti ctonii praticati fuori dalle mura di Agrigento. Il luogo di culto si trova su un ampio terrazzo fluviale, tra la riva sinistra del fiume e la costa. L’area è costituita da una massicciata di ciottoli entro cui, in cavità artificiali, risultano inserite deposizioni votive148. Si tratta di brocche acrome con scodella di copertura a chiusura dell’imboccatura. In un caso la deposizione appare costituita da un ciottolo la cui natura e composizione lo differenziano da quelli costituenti la massicciata. La natura delle deposizioni ha fatto ipotizzare un culto di tipo ctonio praticato dalla fine del VI a.C, si ipotizza fino al IV-III (per analogia con il santuario di S.Anna). De Miro non esclude, date le caratteristiche dell’ambiente naturale e delle deposizioni votive, che si tratti di un Thesmophorion confrontabile con quello di Bitalemi149.
In età romana e bizantina il luogo diventa un sepolcreto, come dimostra la presenza di tombe entro anfora o nella sabbia trovate all’interno dell’area sacra150. In questo caso dunque l’archeologia ha restituito stipi votive in prossimità di una foce del fiume, su una spiaggia vicino al mare, anche se secondo De Miro151 è possibile che almeno dal V sec. a.C. fossero presenti altre strutture, data la presenza di tegole intorno all’area sacra. Secondo lo studioso questo santuario rappresenta “un ulteriore esempio di santuario alla foce, e in riva al mare, cui si recavano i coltivatori della contrada o i marinai approdati nell’ampia insenatura, che non era rimasta estranea alla frequentazione delle genti del tardo Bronzo”152. Sottolineiamo infine come, anche in questo caso, la presenza di una stipe votiva che sembra essere stata utilizzata per culti di carattere ctonio si trovi nelle strette vicinanze del mare e probabilmente di un attracco portuale, come è stato notato già a Palermo153.
Per l’ultimo santuario afferente ai luoghi di culto extraurbani di Agrigento disponiamo, fortunatamente, anche di fonti classiche.
Secondo Polibio154, “davanti alla città” alla distanza di un miglio doveva trovarsi il Santuario di Asklepios, dalla parte opposta alla strada per Eraclea. Il grande santuario extraurbano è sito su un’area pianeggiante a 900 m a Sud della cinta muraria, nella piana di San Gregorio, quasi alla confluenza dei fiumi Akragas e Hypsas. Molto probabilmente la scelta del luogo è influenzata dalla presenza dei corsi d’acqua155. Cicerone156 cita il tempio per la presenza di una statua di Apollon opera di Mirone, donata da Scipione alla città e richiesta da Verre. Il piccolo tempio dorico in antis sorge su krepidoma di tre gradini e basamento a vespaio più ampio del krepidoma.
Particolarità insolita dell’edificio è il falso opistodomo rappresentato da due semicolonne fra ante nella parte esterna del fondo della cella. Parti della trabeazione sono decorate con gronde a testa leonina, fregio e geison frontale. Poco lontano sono i resti di un sacello-thesauros con pronao e cella contenente un pozzetto-teca nel quale erano deposti gli ex voto. Sul lato ovest del santuario si trova un portico lungo oltre 90 m che comprendeva 17 vani contigui nei quali sono state riconosciute le sale dell’hestiatorion e dei katagogia. Sul lato nord-ovest c’è un’altra struttura porticata. Nella parte nord-orientale un complesso di strutture estese per 62 m doveva costituire la zona delle botteghe degli artigiani degli ex voto. Da questo settore i saggi stratigrafici hanno restituito materiale arcaico, forse indizio di un luogo di culto precedente di VI-V sec. a.C.157. Nello spazio libero tra i diversi edifici sacri si può ipotizzare la presenza di un alsos, “il boschetto sacro che costituiva il luogo ideale per l’incontro tra l’uomo e il dio, e dunque il teatro di feste, sacrifici, offerte votive”158.
Si ipotizza una fase originaria di fine IV sec. a.C., dunque il santuario non risalirebbe alla prima fase della fondazione della città, ma al periodo di diffusione del culto di Asklepios in Sicilia, che si colloca, appunto, nel IV a.C. Secondo Calì, la diffusione del culto in Sicilia si colloca nel IV sec. a.C. quando il grande santuario di Epidauro promosse lo sviluppo del culto nel Mediterraneo. In Sicilia l’introduzione del culto è attestata da una stele marmorea rinvenuta nell’Asklepieion di Epidauro in cui compaiono i nomi dei theoroi inviati verso i siti del Mediterraneo. L’arrivo di Timoleonte, di origine corinzia, in Sicilia, ha probabilmente favorito un’ondata migratoria da Corinto e da Kos. Proprio da questa città, sede di un grande Asklepieion, furono mandati altri emissari per la diffusione del culto in Occidente159.
Nonostante il culto, quindi, non appartenga alla prima fase di nascita della città, rimane interessante perché comunque venne subito inserito all’interno del pantheon di Agrigento, sebbene fosse stato collocato fuori dalla città160. Secondo De Miro, l’area sacra primitiva doveva essere più modesta rispetto a quella documentata dal IV sec., e doveva quindi mettere in risalto la presenza di una sorgiva e dell’alveo del fiume, che avrebbero caratterizzato l’aspetto ctonio del culto in principio161.
I doni votivi sono quelli caratteristici dei culti terapeutici.
I più numerosi sono ex voto anatomici (arti superiori e inferiori, mani, piedi, teste), ma si segnalano anche una statuetta fittile di centauro, che si può collegare alla tradizione sacra su Asklepios162, quattro serpentelli163 fittili arrotolati interpretabili come “raffigurazioni di focacce simbolicamente evocatrici del cibo per i sacri serpenti”, ancora un thymiateron in ceramica a vernice e, infine, un torso marmoreo del dio greco di età ellenistica164. I bothroi vicino all’altare del tempio hanno restituito poi rottami di tegole ellenistiche, brocchette acrome, unguentari, terrecotte figurate femminili, pesi fittili, lame di grossi coltelli in ferro, ossi animali e numerose conchiglie165. Secondo De Miro, direttore dello scavo e autore della pubblicazione dei risultati, i bothroi “per la loro struttura e per le dimensioni, richiamano il bothros del recinto 2 nell’area del Santuario delle Divinità Ctonie”166 già discusso sopra.
Gli Asklepieia di Sicilia risalgono tutti al IV sec. a.C., dopo la distruzione cartaginese, sono tutti collocati presso zone costiere in presenza di corsi d’acqua o sorgenti. Per l’età ellenistica il culto è ben documentato tanto da divenire un fenomeno religioso panellenico insieme al culto per Demeter e Kore esattamente negli stessi ambiti geografici. Secondo Calì il culto in Sicilia non presenta specificità locali, anzi il culto si manifesterebbe “attraverso un rituale abbastanza tradizionale che rimase immutato nel corso del tempo, basato sul sacrificio e l’incubazione. L’ambito di competenza del dio … presumeva che i pellegrini che si recavano negli Asklepieia … vi trovassero in ciascuno di essi le medesime risposte che si traducevano nei rimedi curativi più efficaci per il recupero della propria salute fisica e psichica”167.
Per quanto riguarda la posizione fuori dalla città, il santuario di Agrigento risulta particolare, perché nella maggior parte dei casi in Grecia gli Asklepieia si trovavano posizionati in città168, ma come notato sopra, la presenza della sorgente e la vicinanza all’acqua fluviale, rende il luogo adatto alle esigenze di un culto terapeutico che richiede infatti una zona salubre ed isolata. In ogni caso, la posizione esattamente in linea con la strada che esce dalla Porta IV ne fa un luogo di culto connesso con la città per via della strada169.
Il quadro delineato per Agrigento, puntellata al suo esterno da culti caratterizzati dalla capacità di mettere in contatto il devoto con la dimensione ultraterrena, anche nel caso del culto terapeutico dedicato ad Asklepios, è molto simile a quello di Gela che illustriamo sotto, a dimostrazione anche del legame politico tra le due città, visto che Agrigento è una subcolonia di Gela.
108 Vedi fig.10.
109 Thuc. VI 4,4.
110 Polyaen. V 1, 1-2.
111 Hdt. VII 165; Diod. XI 21-26.
112 Plut. Tim. 34,2.
113 Cfr. Coarelli-Torelli 1984, 132.
114 Vedi fig. 10a.
115 Cfr. Siracusano 1983, 3; Coarelli-Torelli 1984, 136.
116 Cfr. De Miro 1986, 238.
117 Cfr. De Miro 1986, 239.
118 Cfr. Marconi 1929, p. 47.
119 Cfr. Siracusano 1983, 18; Coarelli-Torelli 1984, 136.
120 Cfr. per una sintesi delle interpretazioni Siracusano 1983, VII-IX, con aggiornamento in Zoppi 2004, 42.
121 Cfr. Marconi 1929, 48-50.
122 Cfr. Cultrera 1942, 619-627.
123 Cfr. Zuntz 1963, 123.
124 Cfr. De Waele 1980, 196.
125 Cfr. Siracusano 1983, 71-75.
126 Cfr. Zoppi 2004, 74.
127 Cfr. Ibidem, 77.
128 Cfr. De Miro 1986, 238.
129 Cfr. De Miro 1986, 241; Zoppi 2004, 42; Siracusano 2006, 452.
130 Cfr. Zoppi 2004, 78.
131 Il ritrovamento nell’area sacra di kernoi e di statuette e busti fitti tipici dei santuari dedicati a Demeter e Kore ha indotto ad attribuire il culto a divinità infere cfr. Coarelli-Torelli 1984, 136.
132 De Miro 1985, 569.
133 Cfr. Plut. Tim. 34, 2; De Vincenzo 2013, 86.
134 Cfr. per i dati su Agrigento punica De Vincenzo 2013, 87.
135 Cfr. Ibidem, 89.
136 Ibidem.
137 Cfr. Ibidem, 90.
138 Vedi fig. 10b.
139 Cfr. De Miro 2008, 59.
140 Cfr. Ibidem.
141 Come fa notare anche De Miro 2008, le fonti confermano tale ipotesi giacché in Polieno (VI 1, 1) si racconta che Falaride piombò durante lo svolgimento dei Thesmophoria ad Agrigento e uc-cise un gran numero di uomini, prima di prendere il potere divenendo tiranno della città.
142 Cfr. Veronese 2006, 465.
143 Cfr. De Vincenzo 2013, 90.
144 Vedi Fig. 10c.
145 Cfr. Veronese 2006, 473.
146 Cfr. per sintesi rinvenimenti Veronese 2006, 473.
147 De Miro 2008, 569.
148 Cfr. De Miro 1988-1989, 543.
149 Cfr. De Miro 1988, 544; su Bitalemi vedi infra.
150 Cfr. De Miro 1988-1989, 545.
151 Cfr. Ibidem, 544.
152 De Miro 1985, 569.
153 Cfr. infra.
154 Pol. I, 18.
155 Cfr. Calì 2009, 163.
156 Cic. Verr. II 3,93; II 4, 13.
157 Cfr. De Miro 1985, 570; Calì 2009, 164.
158 Calì 2009, 164.
159 Cfr. Ibidem, 159.
160 La collocazione extraurbana di un culto terapeutico è nota anche attraverso le fonti. Plutarco in Quaest. Roman. 94 parla proprio della necessità di collocare fuori dalla città i luoghi di culto de-dicati ad Asklepios: ‘διὰ τί τοῦ Ἀσκληπιοῦ τὸ ἱερὸν ἔξω τῆς πόλεώς ἐστι;’ πότερον ὅτι τὰς ἔξω διατριβὰς ὑγιεινοτέρας ἐνόμιζον εἶναι τῶν ἐν ἄστει; καὶ γὰρ Ἕλληνες ἐν τόποις καὶ καθαροῖς καὶ ὑψηλοῖς ἐπιεικῶς ἱδρυμένα τὰ Ἀσκληπιεῖα ἔχουσιν. ἢ ὅτι τὸν θεὸν ἐξ Ἐπιδαύρου μετάπεμπτον ἥκειν νομίζουσιν, Ἐπιδαυρίοις δ᾽ οὐ κατὰ πόλιν ἀλλὰ πόρρω τὸ Ἀσκληπιεῖόν ἐστιν; ἢ ὅτι τοῦ δράκοντος ἐκ τῆς τριήρους κατὰ τὴν νῆσον ἀποβάντος καὶ ἀφανισθέντος αὐτὸν ᾤοντο τὴν ἵδρυσιν ὑφηγεῖσθαι τὸν θεόν;
161 Cfr. De Miro 1985, 570.
162 Cheiron era stato il maestro di Asklepios Apollod. III 10,3.
163 Secondo Pausania (II 28,1) nel santuario di Asklepios ad Epidauro venivano allevati serpenti come simbolo di rigenerazione.
164 Cfr. per i dati Calì 2009, 165.
165 Cfr. De Miro 2003, 46.
166 Ibidem.
167 Calì 2009, 171.
168 Cfr. De Miro 2003, 31.
169 Cfr. Ibidem, 32.
170 Vedi fig. 11; 11a.
fonte D’Aleo Alessia, Luoghi di culto extraurbani della Sicilia occidentale: presenza indigena, fenicio-punica e greca. Un’analisi storico-religiosa
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