Chi dalla Rupe Atenea, l’imponente massa di tufo conchiliaceo arenario che a proscenio si alza oriente della moderna Girgenti, volge lo sguardo verso mezzogiorno, rimane sorpreso da tale uno spettacolo, che non crediamo poterne molto frequente presentare la natura. In alto un cielo limpido ed azzurro, in fondo il mare africano, e più dapresso il verde degli ulivi e dei mandorli onduleggianti tra vallate e collinette, formano davvero uno splendido paesaggio, un completo poema di svariate bellezze.
Lo spettacolo poi è reso assai maraviglioso dallo allineamento degli antichi tempi, che maestosi si ergono, come giganti, di mezzo agli alberi e chiaramente si disegnano nella loro tinta giallognola di tufo su quella glauca del mare.
Il tempio, che più audacemente ha resistito alle ingiurie di una lunga successione di secoli e che perciò è meglio conservatole quello che, va sotto il nome della Concordia, e che forma la delizia dei buongustai e degli acquarellisti.
Bello per Faraonica euritmia di tutte le sue parti, magnifico nella sua semplicità, maestoso nell’integrità sua,si può dire che esso appartenga al classico fiorire dell’architettura dorico- sicula. Ha trentaquattro colonne, grandiose, colossali del diametro di m. 1. 47: sei per ogni facciata e undici per ciascun dei lati maggiori, oltre alle quattro, di cui è adorna la cella, due nel pronao, fra gli anti, e due nel portico; e vi si ascende per la gradinata ad est. La porta della cella è rastremata ed ha due scale ai fianchi, costruite con ammirevole artificio, nella grossezza del muro, per le quali si va sul tetto. Nei frontoni interni si aprono due finestre rastremate, che davan luce al soffitto e al tetto che copriva la cella e il peristilio, sicché il tempio non era ipetro o a cielo scoperto. Lo stilobate, non compresi i gradini, è lungo metri 39, 36: largo m.16,72. La gradinata, la trabeazione, sono relativamente ben conservate, come ben conservati sono i frontoni di est ed ovest.
Nell’architrave della facciata orientale, con grande scapito dell’architettura, vi fu incastrata nel 1788 una grande lapide marmorea con una cubitale iscrizione, che accennava ai restauri delle nostre antichità, ordinati dal governo borbonico. Una vera ignominia, un vandalismo commesso da quell’ignorante adulatore, che fu incaricato dei restauri Nel 1848, in odio ai Borboni, che vi erano lodevolmente nominati, fu strappata e distrutta. L’iscrizione era la seguente
FERDINANDI – REGIS – AUGUSTISSIMI
PROVIDENTIA – RESTITUIT-
ANNO – MDCCLXXXVIII
Questo tempio è chiamato volgarmente della Concordia perchè, in epoca ignota, fu trovata, nei suoi dintorni una lapidetta con una latina iscrizione che, barbaramente infranta e mutilata, stette, per molto tempo, incastrata nel muro esterno di nord dell’antica Casa Comunale, oggi Camera di Commercio e Banca d’Italia. In tempi più leggiadri e men feroci fu portata nel Museo Municipale, dove tuttora conservasi. In essa si legge :
CONCORDIAE AGRIGENTI
NOVUM SACRUM
RESPUBLICA LYLIBETANO
RUM DEDICÀNTIBUS
- HATERIO CANDIDO PROCOS.
ET CORNELIO MARCELLO Q.
- * PR.
Sarebbe un errore, un evidente anacronismo volere applicare questa epigrafe latina e di dubbia autenticità ad un tempio di greca architettura, salvo il caso che quel tempio greco, eretto forse in onore di Ercole, fosse stato destinato, all’epoca romana, al culto di altra divinità. Che la Concordia fosse stato un tempio dedicato ad Ercole, risulterebbe dalla cronaca del monaco Leonzio. Racconta questi, che S. Gregorio II, dopo tre anni di assenza, tornava da Roma vittorioso dalle accuse di cui era stato calunniato
principalmente dal suo avversario Leucio, e che, accolto festosamente dai suoi concittadini, torse lo sguardo da quella chiesa che l’eretico Leucio aveva contaminata e vilipesa, e che invece lo fermò sopra uno degli antichi tempi dell’idolatria, sito al mezzogiorno, vicino alle muraglie, tempio che il santo vescovo purificò e consacrò ai santi Pietro e Paolo, dopo di avervi impiegato un anno per restaurarlo.
Or quale fu questo tempio così restaurato e consacrato? Vi ha chi opina che sia stato quello che da noi tuttora appellasi di Ercole e di cui fa menzione Cicerone nelle Verrine, Lib. IV. N. 43: Herculis templum est apud Agrigentinos, non longe a foro, sane sanctum apud illos et religiosum : ibi est ex aere simulacrum ipsius Herculis, quo non facile quidquam dixérim me vidisse pulcrius. Ma questo edifìzio dovette rovinare in tempi d’idolatria, di molto anteriori a S. Gregorio, e d’allora non fu più restaurato; imperocché fra le sue rovine, nel 1837, furono trovati avanzi di vasi antichi ed una statua di marmo di Esculapio, frammenti e statua che non si sarebbero trovati ai nostri giorni, se quel tempio fosse stato consacrato da s. Gregorio al culto cristiano. Dobbiamo quindi cercare e trovare nella linea di mezzogiorno e vicino le muraglie un tempio, che si presti alle condizioni accennate dal cronista Leonzio. Or in quella linea non uno, ma ben sei templi si trovano, cominciando da quello di Giunone Lucina a terminare a quello di Vulcano.
Uno di questi fu scelto da S. Gregorio e v’impiegò un anno per restaurarlo e fabbricarvi ai lati l’episcopio. Escludendo dal numero di essi l’Ompico, quello detto d’ Ercole per le ragioni dette sopra, pare non resti altro che la Concordia. In esso infatti trovansi delle modificazioni che provano il culto cristiano; la cella è alterata da archi tagliati nella stessa e nella parte interna orientale si vedono incavate due cappellette per contenervi delle statue sotto le quali, senza dubbio, dovettero esservi piccoli altari, oltre al maggiore del centro. Dal passo dunque di Leonzio verrebbe chiaramente a stabilirsi, che il tempio detto della Concordia non è che il tempio di Ercole. Ed in verità esso era stato dedicato ad Eber e Raps, divinità puniche, che rappresentavano, fra gl’idoli greci, Ercole e
Trittolemo; nomi di origine ebraica, come osserva il Morcelli : Erit qui tam barbara Deorum nomina inepte a Leontio confida putet; at punica ego nomina esse duxerim, Erculis et Triptolemi, quae in Sicilia perdurasse, nemo iure miretur, quum ibidem, in maritimis praesertim, et Phoenices et Poeni dominati perdiu sint.
(Bochart. Geog. Sac. L. I. c. 27 e seg.) Eber nimirum dictus videtur Ercules ille Fyrius, qui, orbe peragrato, columnas Gadibus fixerat: nam ’Avar Haebraeys ipsis dicitur transitus et quidquid est ulterius: Raps vero Triptolemus sire Magister a Rab, quod in homines agricolturam docuisset, cuius Siculi studiosissimi fuerunt (V. le mie Notizie sui 7 Santi Vescovi della Chiesa agrigentina S. Gregorio li. pag. 48 e 49 — Girgenti, Tipog. Luigi Carini — 1877).
Pare dunque assodato che il tempio, che volgarmente chiamiamo della Concordia è quello che gli Agrigentini dedicarono ad Ercole. E sarebbe ormai tempo di fissare questo nuovo battesimo e non farci più illudere da quella tale lapidetta latina, trovata chi sa quando e chi sa dove! Fu poi gran ventura per il nostro bel tempio l’essere stato convertito ad uso cristiano, perchè solo a questo patto potè essere salvato dalle devastazioni, subite dagli altri monumenti.
Nel corso dei lunghi secoli vi si son fatti dei restauri e con varii metodi : dapprima s’impolpettavano le colonne con gesso e scaglie di pietra; più tardi si supplirono i punti logori e vuotati dalla edacità del tempo e dall’opera distruggitrice degli agenti atmosferici con nuovi pezzi bene intagliati ; ed ora, più opportunamente e con intelletto di amore e di scienza, a cura d’illustri archeologi, si usa di colare nei vuoti il cemento a lenta presa allo scopo di mantenere più solidamente le linee pure della primiera architettura.
Girgenti, aprile 1912.
Giuseppe Russo, La Siciliana, n.6-7, Catania-SR-Avola,1912