Nel periodo di colonizzazione greca con la nascita e lo sviluppo delle grandi Poleis come Akragas, la cucina siciliana si sviluppò e si impose a tal punto che riuscì ad essere apprezzata in tutto il Mediterraneo.
La genuinità di prodotti come il grano, orzo, miele, vino, olio, formaggi, mele e le carni di animali come il cinghiale, maiale, capretti, agnelli, vitelli ect. furono gli elementi base su cui esercitarono la loro fantasia e la loro bravura i cuochi nel preparare piatti prelibati .
Archestrato di Gela autore di celebri testi nella seconda metà del IV sec a.c. ( 330?) scrisse “l’Arte del Cuoco” un trattato sulla cucina siciliana che ebbe ampia diffusione in tutta la Grecia; per scrivere il suo trattato girò per parecchie Poleis greche alla ricerca di cibi e pesci prelibati e giunse anche ad Akragas. L’opera di Archestrato si ispirò anche ad alcune ricette tratte dalle opere di Omero, Esiodo, Epicarmo, Eschilo, Teognide e Filosseno. Archestrato coniugava il cibo con la cultura e ci fornisce un ricco menù di ricette antiche.
La cucina che propone Archestrato è semplice e genuina, assolutamente priva di sofisticherie. Ama i sapori naturali dei cibi, gustati nella loro arcana e insostituibile bontà, le sue pietanze non richiedono preparazioni laboriose né intrugli untuosi. Il suo pesce, arrostito o bollito, vuole solo un contorno di erbe aromatiche che ne esaltino il sapore. Archestrato lamenta la cattiva abitudine, tutta siciliana, di mettere cacio in tutti i piatti, offuscandone i sapori, “come se a mangiare fossero gatti e non uomini.
Ma ad Akragas venne scritto uno dei più famnosi trattati di gastronomia dell’antichità: “Alimentazione della gente sana” del medico agrigentino Acrone (di cui restano dei frammenti, citati da altri autori).
Conosciamo la descrizione di alcuni cibi e piatti in uso anche nell’antica Akragas grazie a diverse commedie di Aristofane e grazie a Platone che nei suoi tre viaggi a Siracusa fu ospite dei Dionisi (388-367 a.c.) e ci parla dei ricchi banchetti e simposi tenuti nelle Poleis siceliote.
Akragas sin dalla sua fondazione ad opera dei coloni Rodi provenienti da Gela (guidati da Aristoneo e Pistillo ) poteva contare sulla ricchezza del suo vasto territorio ricco in quei tempi anche di boschi e con il fiume Akragas ch’era il cuore principale della fertile pianura e della Valle.
Gli agrigentini riuscirono, prima con degli scambi commerciali poi con un’azione di forza, a sottomettere varie popolazioni della Sicilia occidentale. Queste divennero tributarie, erano cioè costrette tributare ad Akragas i loro prodotti .
Il ritrovamento di molte ossa di animali fa pensare ai riti religiosi celebrati dalla comunità akragantina. Un antico santuario agrigentino in particolare, dedicato alle divinità ctonie sotterranee e alle Dee Demetra e Persefone, attesta la ricchezza di grano e orzo nel territorio.
Durante le Tesmoforie, le feste dedicate a Demetra, venivano preparati pani con sesamo e miele, dono alla dea offerto assieme a bamboline in argilla.
I cereali coprivano all’incirca l’80 per cento del fabbisogno calorico degli agrigentini e molte erano varietà di pane, con o senza lievito, con farine dei più svariati cereali, bianchi o integrali, cotti sotto la cenere o al forno. Anche la varietà di frumento chiamata “tumminia” è riconducibile al “trimeniaios greco” e il soffice “spincione” è collegabile alla “sponghia” (spugna) ellenica: tutte delizie conosciute ad Akragas. Ma è la maza, consumata in tutto il mondo ellenico, l’alimento più diffuso. Si tratta di farina d’orzo addizionata ad acqua, miele o latte consumata sia fresca, come pappina, sia secca, sia sotto forma di galletta, o come piatto di portata.
L’olivo fu sempre considerato pianta sacra; il suo sradicamento era vietato e punito molto severamente, fino all’esilio perpetuo. Dalle olive si estrae l’olio, base della cucina mediterranea, ma anche balsamo per lenire ferite e ustioni, ottimo rimedio per frizionare eczemi ed escoriazioni, oltre che lassativo eccellente; in pratica una vera panacea.
Neve e ghiaccio hanno fatto parte della dieta degli agrigentini. La neve dell’Etna è sempre stata un serbatoio di ghiaccio e neve che veniva usato magistralmente per mitigare la calura delle torridi estati isolane.
Secondo gli storici, invece, la vite compare in Sicilia portata da Micenei e Fenici, intorno al XV sec. a.C. I più antichi palmenti di Sicilia si trovano anche in provincia di Agrigento. E abbiamo resti di conche arenarie dove si pigiava l’uva. Tali conche erano collegate con un foro ad una vasca posta più in basso. Il vino veniva poi conservato in anfore di coccio. Era bevuto liscio solo al mattino, mentre a pasto si serviva diluito in acqua. Meglio ancora, a fine pasto, come un digestivo.
A quei tempi, con il termine di “symposion” s’intendeva il brindisi dei convitati. Con il vino si sgranocchiava frutta secca, si servivano dolcetti di sesamo e ciambelline.
Nell’antica Akragas si mangiava anche per strada, nel “thermopolion” (una sorta di friggitoria all’aperto). Passeggiando per i banchi, tutti i sensi del viandante erano sedotti dai profumi penetranti del cibo cotto, da piluccare sul posto o da portare a casa, erano verdure bollite, interiora bollite o arrostite sulla brace, pesci fritti.
Nel corso della giornata vi erano tre pasti principali:
- si iniziava all’alba con una frugale colazione costituita da focaccia intinta nel vino {acraton) accompagnata da olive;
- a mezzogiorno o nel pomeriggio si consumava un pasto leggero;
- la sera, sul tardi, si consumava un pasto comunitario molto più ricco del precedente, il deipnon, corrispondente alla nostra cena.
Il pasto comunitario era un tratto caratteristico della cultura greca. I Greci, infatti, ritenevano che gli uomini civili, a differenza dei “barbari”, mangiassero in compagnia e consideravano pertanto il banchetto una manifestazione fondamentale della propria vita sociale.
Altro aspetto molto interessante era quello dedicato alla convivialità ed alla ritualità con le quali i cibi e le bevande venivano assunte, sia che trattavasi di simposi dialettici o di sacrifici alle divinità o di riti funerari.
Anche la Paleomedicina da oggi il suo contributo analizzando il mangiare quotidiano attraverso gli indicatori scheletrici dei reperti di antiche sepolture a noi pervenute.