La vicenda della corretta “perimetrazione” della Valle dei templi
è stata riportata agli onori delle cronache negli ultimissimi tempi, poiché il continuo susseguirsi di condoni, espropri e ordini di demolizioni mai attuati, ha reso “incerto” il diritto più “certo”, dimostrando così l’impellente necessità di stabilire un discrimen netto – anche a seguito delle recenti pronunce (fra cui si annovera anche la Corte dei Conti, sezione giurisdizionale della Sicilia, n. 548 del 16 febbraio 2012, su cui pure ci si soffermerà) – su quali sono e fino dove operano i vincoli archeologici, urbanistici, idrogeologici, paesaggistici, panoramici sulla Valle dei Templi, per risolvere la querelle infinita delle centinaia di edifici costruiti abusivamente nell’area di maggior pregio ed ivi mantenuti.
Il tema sollevato recentemente punta il dito contro le diverse perimetrazioni dell’area – di differente ampiezza a seconda della norma impositiva (vale a dire, “speciale”, quella di protezione civile, dovuta al rischio idrogeologico; “generale”, quella relativa ai beni culturali) – a ragion delle quali la perimetrazione sarebbe stata eccessivamente estesa, al di là della delimitazione topografica della Valle, includendo edifici che, viceversa, valendo la perimetrazione “storico-archeologica” ne resterebbero esclusi, con salvezza delle singole proprietà ed effetti favorevoli sulle cause in corso.
Tanti e tali i risvolti non solo culturali ed ambientali, ma sociali ed economici, che in più occasioni era stata politicamente paventata – anche in tempi recenti – l’ipotesi del “ridimensionamento del perimetro della fascia di tutela assoluta”, con l’intento di escludere dal vincolo le zone in cui maggiormente si era concentrata l’edificazione abusiva, alimentando ovvie aspettative, il cui culmine coincise con il varo della legge n. 47 del 1985, in cui queste aspettative franarono categoricamente, vista la previsione di esclusione dalla sanatoria delle opere realizzate nelle zone di maggior pregio, fra cui, ai fini che qui interessano, la Zona della Valle dei Templi.
In disparte l’ingorgo normativo che caratterizza tale area geografica, e il relativo “disordine” applicativo, di cui si dirà nel prosieguo, neppure la copiosa giurisprudenza, più volte interpellata per dirimere i singoli casi portati alla sua attenzione, è mai intervenuta a riportare “ordine” con una ricostruzione normativa puntuale.
Così come la recente pronuncia della Corte dei Conti, la quale poggia le proprie basi di giudizio su un dato generale – l’abusivismo “mappato” post L. 47 del 1985, i decreti di demolizione emessi di conseguenza e non eseguiti – senza, ancora una volta, interrogarsi sulla successione delle leggi nel tempo e nello spazio.
Eppure nel caso specifico si tratta di dirimere una querelle che dovrebbe appassionare, atteso il valore incredibile del locus de quo, patrimonio storico, di grande bellezza e rarità, dichiarato Patrimonio dell’umanità dall’Unesco nel 1997, per il quale l’odierno dibattito non è secondario da appianare, visto che appunta l’indice sulla necessità di verificare i confini sulla base delle vigenti norme al fine di incidere in misura maggiore o minore sulla legittimità (o abusivismo) di centinaia di edifici.
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