avv. Vincenzo Salvago (Agrigento 23/3/1923-21/7/2008)
Frana del 1966 e sue conseguenze
La frana del 1966. – 2. Il vincolo archeologico imposto su Agrigento: a. estensione; b. contenuto; c. sua modificabilità.
La frana del 1966
Il 19 luglio 1966 si verificava la frana di Agrigento.
Nel darne comunicazione al Parlamento il Ministro dei lavori pubblici annunciava che «fatti mostruosi» erano avvenuti ad Agrigento e che la causa del dissesto doveva ascriversi al disordine edilizio esistente in città.
Con una logica tutta particolare, dopo avere già enunciato le cause del dissesto, il Ministro comunicava che sarebbe stata nominata una Commissione d’indagine per approfondire «le cause e l’evoluzione del movimento franoso, per provvedere ad una prima delimitazione del perimetro della zona da tenere sotto costante controllo e sgombra da abitanti, etc.»
La presa di posizione del Ministro era chiaramente strumentale -e la enunciazione delle cause del dissesto prima ancora che queste fossero accertate ne è una dimostrazione- e mirava, da un lato, a farlo affermare come uomo forte del suo partito, capace di affrontare la democrazia cristiana, e, dall’altro, a preparare l’opinione pubblica al varo della legge urbanistica.
Sa quel momento, però, Agrigento, città (allora) al 2° posto tra quelle depresse d’Italia, da tutti ignorata nei suoi bisogni fondamentali (si pensi che la distribuzione dell’acqua potabile avveniva ogni tre giorni e per soli venti minuti) e ricordata solo per qualche reminiscenza classica, saliva alla ribalta nazionale e diventava espressione, per antonomasia, di scandalo edilizio.
I fatti e le indagini delle Commissioni nominate avrebbero poi dimostrato che il peso delle nuove costruzioni doveva considerarsi pressoché irrilevante ai fini del fenomeno franoso, che anche in materia di abusivismo edilizio Agrigento, rispetto a tutte le altre città d’Italia, doveva considerarsi città depressa, per il numero e l’importanza delle costruzioni realizzate, per la mancanza di una speculazione edilizia vera e propria, per l’inesistenza di una categoria imprenditoriale organizzata al riguardo, per l’accessibilità a tutte le categorie sociali dei prezzi degli immobili, tali da consentire agevolmente l’acquisto della casa (lire 36.000-40.000 al metro quadrato nelle vie Imera e Nuova favara; lire 45.000-50.000 al metro quadrato nelle altre zone, anche centrali, con la punta massima di lire 60.000-70.000 al Viale della Vittoria) e soprattutto perché la «corruzione» (a differenza di tanti altri processi celebratisi in tante parti d’Italia) non era entrata a far capolino tra i capi d’imputazione addebitati agli amministratori comunali. Ma pigrizia mentale, forza d’inerzia del luogo comune, il piacere di mantenere sempre in vita una scandalistica di comodo, hanno ormai consegnato alla opinione pubblica, disinformata o male informata, Agrigento come sinonimo di «scandalo edilizio».
Il vincolo archeologico imposto su Agrigento; a) estensione; b) contenuto; c) sua modificabilità.
Il verificarsi della frana comportava la immediata paralisi dell’attività edilizia in Agrigento, prima in attesa che la Commissione ministeriale ultimasse le sue indagini, quindi per le proposte dalla stessa avanzate onde evitare una indiscriminata attività edificatoria.
Col D.L. 30 luglio 1966, n. 590, veniva istituita la Commissione di indagine tecnica annunciata dal Ministero, la quale avrebbe dovuto proporre un piano di vincoli idrogeologici ed urbanistici nella città di Agrigento, operante fino alla data di entrata in vigore del piano regolatore generale, che avrebbe dovuto recepirlo con gli eventuali necessari adattamenti.
Il decreto veniva convertito con la legge 28 settembre 1966, n. 749, e in essa veniva introdotto l’art. 2-bis il quale testualmente dispone:
«La Valle dei Templi di Agrigento è dichiarata zona archeologica di interesse nazionale.
Il Ministro per la Pubblica Istruzione di concerto con il Ministro dei Lavori Pubblici, determina, con decreto, il perimetro della zona, le prescrizioni di uso ed i vincoli d’inedificabilità».
In esecuzione della delega ricevuta veniva successivamente emanato il D.M. 16 maggio 1968 comunemente inteso come decreto Gui-Mancini.
A) –Estensione del vincolo
Tale decreto avrebbe dovuto delimitare e disciplinare la Valle dei Templi, quale universalmente nota, -anche per tutta una letteratura formatasi su di essa- e peraltro geograficamente contrassegnata dal termine «Valle» ed archeologicamente dalla presenza dei Templi.
Esso, invece, dando una interpretazione tutta particolare al concetto di «Valle dei Templi», ha incluso sotto tale dizione zone vastissime, assolutamente estranee alla Valle, spesso nascoste dalla ed alla sua vista.
La Valle dei Templi è compresa, per tradizionale e comune accezione, tra il corso dei fiumi San Biagio (Akragas) e Sant’Anna (una chiara freccia indicatrice per i turisti ne segna sui luoghi l’inizio e la fine).
Quanto sia comune tale accezione lo si può controllare consultando la enciclopedia Rizzoli-Larousse (edizione 1966) alla voce Agrigento, in cui è riprodotta la pianta della Valle dei Templi, che si identifica sostanzialmente con la zona A del piano territoriare paesistico preparato alcuni anni prima della frana dalla Soprintendenza ai Monumenti per la Sicilia Occidentale.
Col decreto in esame, è stato vincolato nella sua interezza (tranne una modesta striscia a sud-est del fiume naro) il territorio a sud di Agrigento, dalla migliore esposizione e dal miglior clima, che si estende ad ovest sino al Comune di Porto Empedocle, ad est quasi al confine coi Comuni di Palma di Montechiaro e di Licata, a sud sino al mare, comprendendovi anche tutta la zona balneare di San Leone, già sin dal 1954 dichiarata centro abitato e parte integrante di Agrigento. A nord il vincolo abbraccia buona parte della collina su cui sorge la odierna città, perché in essa vi è la rupe Atenea, che forse fu l’acropoli dell’antica Akragas, ma che sicuramente, per la sua natura di rupe, Valle non è.
Trattasi di una zona larga oltre 10 chilometri e profonda oltre 6 chilometri, con una estensione di oltre 60.000.000 di metri quadrati (600 ettari).
Ma non basta.
Il vincolo si protende ancora a nord includendo la rotabile Agrigento-Favara e abbraccia anche il versante nord della rupe Atenea, che appartiene all’entroterra, posto da banda opposta alla Valle e separato del tutto da essa dalla collina est della città.
E non basta ancora. Nel perimetro della Valle sono stati compresi territori -e l’indicazione vale soprattutto per quelli che conoscono Agrigento- come quelli a sud e ad est del Poggio Muscello, o gli avvallamenti al di là dell’altipiano di «Don Fante» od i terreni circostanti il cosiddetto vallone di «Donna Cruci» (contrada Cavaleri Magazzeni), completamente nascosti alla vista da e per i Templi, e tutto il terreno dietro la collinetta che fa da schermo al cosiddetto Villaggio Mancini, in Villaseta, territori estesi per alcune decine di milioni di metri quadrati e, per quel che costa, mai sede di antichi insediamenti.
B) –Contenuto del vincolo
Il D.M. 16 maggio 1968 ha diviso il terreno vincolato in quattro zone.
Quello facente parte dell’abitato di san Leone, o posto nelle immediate vicinanze, è stato suddiviso nelle zone D e C, per le quali è stato previsto rispettivamente un indice di edificabilità di mc/mq 0,5 con un’altezza massima di mt. 4,50.
Il rimanente terreno è stato distinto in zona A, che ne comprende circa gli 8/10, ed in zona B, che assolve alla funzione di tutela della prospettiva.
Le disposizioni riguardanti la zona A possono così riassumersi:
a) divieto assoluto di nuove costruzioni, impianti e, in genere, opere di qualsiasi specie, anche se di carattere provvisorio. Possibilità solo di autorizzazione di impianti di pubblica utilità (acquedotti, fognature, illuminazione e telefono), purché realizzati mediante condotte sotterranee, ad opportuna profondità, e, ovviamente, nel rispetto del sottosuolo archeologico;
b) divieto di modificare i tipi e le forme tradizionali di colture, nonché di usare, per la lavorazione dei terrreni, mezzi meccanici senza l’autorizzazione del Soprintentende alle Antichità, il quale può concederla -fissandone le condizioni- compatibilmente con la salvaguardia dei resti archeologici ed il ripristino dell’ambiente.
Col decreto citato veniva vincolata pertanto la parte migliore del territorio della città, la zona più aprica e dal clima più temperato e mite, quella zona che in passato, al tempo del turismo di élite, invitava i ricchi gentlemen a svernare in Agrigento.
Con esso veniva sbarrata la naturale, millenaria, vocazione degli abitanti verso il mare e tale decreto, ove dovesse essere definitivo ed immutabile, spingendo lo sviluppo della città verso l’interno, finirebbe per far perdere ad Agrigento la sua caratteristica e la farebbe confondere con una qualsiasi cittadina dell’entroterra.
Per chi legge queste note appare opportuno ricordare e sottolineare che quando gli agrigentini fondarono la loro città e quando i loro successori, dopo invasioni e devastazioni, la hanno più volte ricostruita, essi sempre -si direbbe per vocazione naturale- hanno voluto questa Agrigento, così come è, nello stesso posto, con la «gratissima vista del mare», dal clima dolce, mite, privilegiata dalla sua posizione in collina e dall’aria temperata dalla vicinanza del mare.
C) –Modificabilità del vincolo