Campane d’Agrigento, ondanti sui floridi clivi,
ne l’aria cilestrina, tra la montagna e il mare
Come la melodia del murmure lene dei venti
arriva col profumo de le ginestre in fiore,
tra le grandi ruine che videro i secoli lenti
passar, come le nubi, sul loro sogno infranto,
giunge col vento il rombo delle campane di Cristo
da la città che bianca stendeasi al sol di maggio.
Grandi, su gli olive ti, trapassano nuvole bianche;
l’ombra, silenziosa, i poggi trascorre e le valli:
svola su le colonne d’Hera (tempio di Giunone), che suonan nel vento,
come un ‘immensa arpa su la collina verde;
su la Concordia, sopra le grandi colonne d’Alcide (nome greco di Ercole)
sul gigante atterrato (il telamone del tempio di Giove), sopra le Tre colonne (tempio dei Dioscuri).
Passa l’ombra e dilegua; svanisce la romba lontana
de le campane; tiene sacro silenzio i luoghi.
Vive nel gran silenzio il sogno dei secoli morti,
un ‘immortai bellezza raggia ed accende i cieli.
Sognano le rovine… Fluttuan ne l’aria i fantasmi
di quell’antica vita; fulgidi templi al sole,
turbe festanti, inni salienti nel placido azzurro,
bianchi marmorei numi, gioia raggianti e forza…
Giuseppe Longo, Campane di Agrigento