
Johann Joachim Winckelmann con le sue osservazioni sull’architettura degli antichi templi in Sicilia diede l’input ad un importante dibattito sui templi agrigentini e nello stesso suscitò l’interesse di molti visitatori nei decenni successivi. Molti di loro non poterono fare a meno di mettere in contrasto la bellezza delle rovine dell’antica Akragas, con le deludenti architetture della contemporanea città di Girgenti, sulla collina.
Alcuni di loro inoltre mettevano costatavano che la società agrigentina era divisa tra una elite municipale che nel frattempo aveva saputo promuovere la cultura letteraria d’antiquaria e un altro gruppo sociale caratterizzato da arretratezza e incuria.
A Girgenti in realtà molto era cambiato per l’attivismo del vescovo Andrea Luccesi Palli dal 1755 alla guida della diocesi. Prelato colto, letterato e collezionista di antichità, donò tra l’altro poco prima della sua morte, nel 1768, la sua biblioteca e le sue collezioni alle città.
L’eredita culturale lasciata da Lucchesi palli venne raccolta dal canonico Giuseppe Panetteri, vicario generale del vescovo, ciantro della cattedrale a partire dal 1808. E’ rimasto famoso per una prestigiosa collezione di reperti antichi, la cui fama varcherà la Sicilia e L’Itali fino a divenire nota a Ludwig I di Baviera che inviò Leo Von Klenze ad acquistarla.
Panitteri aveva la sua villa nel soppresso convento di San Nicola, nella Valle dei templi. La sua casa fu una delle mete obbligate per gli studiosi di antichità.

Quando Karl Friedrich Schinkel giunge ad Agrigento, nel giugno del 1804, nel suo diario annotò che la valle dei templi era splendida e in città faceva eccezione la alla cattedrale, la cui visita era interessante per la la presenza del celebre sarcofago di Fedra Ippolito. Nella visita fu guidato dal giovane consulto Giuseppe Lo Presti, all’epoca regio custode delle antichità agrigentina, che lo stesso Schinkel definisce come “uomo che diligentemente che unisce saggezza ed erudizione e colma di attenzione agli stranieri”.
Schinkel ricorda piuttosto laconicamente Girgenti: “La città in sé, oltre alla sua posizione, non ha nulla di degno di nota ed è costruita malamente”.
Girgenti poi nella descrizione del 1824 di Edward Boyd viene ricordata come “un incoerente in intellegibile guazzabuglio di particolari architettonici, formando un insieme tanto discorde da precludere la possibilità di classificazione in un qualsiasi ordine o stile conosciuto”.

La guida di Raffaello Politi, pubblicata nel 1826 e ristampata con aggiornamenti nel 1842, dal titolo “Il viaggiatore di Girgenti” è emblematica perché pure in essa il mito dei templi agrigentini sovrasta l’interesse interesse nei confronti della città contemporanea. Per fare un esempio, intorno alla Porta di Ponte, il Politi parla di un “disgusto si stimò avanzo del medioevo”; in un altro scritto giudica ancora “barbare” le “fabbriche dette gotiche senza alcuna convenienza, alcun ordine, che esistono in Girgenti”.
Raffaello Politi, era siracusano di nascita, ma agrigentino di adozione, e ha dominato nel bene e nel male il clima culturale agrigentino della prima metà dell’ottocento; fu pittore, architetto, archeologo, in qualità di regio custode delle antichità agrigentina diviene il principale referente della città per gli studiosi viaggiatori interessati a conoscere le vestigia classiche.
Partecipò al dibattito teorico che si sviluppa intorno alle antichità agrigentina in quegli anni dopo le prime campagne di scavo e le questioni critiche da esse sollevate. Il dibattito si infiammo intorno alle ipotesi ricostruttive dedicate al tempio di Giove Olimpico.
Raffaello Politi, si scontrò su questo tema con Giuseppe Lo Presti e con gli studiosi a lui vicini
Lo Presti, era reo secondo il Politi di aver operato con imperizia i primi lavori di scavo del tempio. A tali accuse replicò rispondendo in questi termini: “un siracusano che ha nome Raffaele Politi con certe sue opericciuole in istampa non si è rimasto di infierire contro di me che offeso non l’ho giammai”.
Il marchio di “siracusano” ha qui una accezione negativa, e intende sottolineare l’estraneità del Politi alle radici agrigentine. Politi era cioè uno “straniero” e, come tale, non era idoneo a salvaguardare la memoria e, quindi, l’identità della civiltà agrigentina, secondo Lo Presti.
Questi erano i toni della disputa.
Elio Di Bella