A Girgenti Schubring dedicò un duplice soggiorno dedicato allo studio delle vestigia monumentali dell’antica Akragas
Il primo incontro con la città avvenne nella primavera del 1865, trascorso tra le rovine dei templi e le locali raccolte vascolari. Una più lunga sosta è del novembre successivo, funzionale soprattutto all’esplorazione degli «unterirdischen Denkmäler» di Akragas, i condotti idrici sotterranei, detti «acquedotti feaci».
Date la natura e la finalità della sua opera, i mesi di soggiorno di Schubring a Girgenti trascorsero in una quasi febbrile attività di studio e ricerca sul campo che avrebbero avuto come esito un’opera destinata a marcare un preciso spartiacque tra le trattazioni antiquarie e i resoconti dei viaggiatori del Grand-Tour settecentesco e del primo Ottocento da una parte e la successiva letteratura archeologica dall’altro, alla quale il contributo di Schubring può a buon diritto dirsi appartenente.
A differenza di tentativi precedenti tentativi di opere di sintesi sull’antica Akragas, come quella di un altro studioso tedesco, Otto Siefert apparsa nel 1845 (27), il contributo di Schubring oltre che per la conoscenza della letteratura antiquaria – Arezzo, Fazello, Cluverius, d’Orville, ecc. -, della memo-rialistica di viaggio – da Hoüel a von Riedesel, da Saint-Non a Denon – e delle più recen¬ti sintesi storico-antiquarie di studiosi locali, come le Memorie Storiche Agrigentine, edite da Giuseppe Picone nel 1866, e consultate fresche di stampa, si fa apprezzare per l’analisi sistematica e scrupolosa del sito.
Un’anticipazione dell’opera fu offerta al mondo degli studiosi nel corso della seduta del 28 settembre 1869 delle Verhandlungen der 27. Versammlung Deutscher Philologen und Schulmänner di Kiel, della quale Schubring era membro, con un intervento dal titolo Über Akragas. La disamina dei principali elementi topografici della città e del suo territorio, contiene resoconti delle personali indagini dello studioso, come nel caso dell’ispezione di uno dei condotti d’acqua sotterranei: «mit Proviant und Licht versehen machten wir uns unten auf den Weg und gingen zwei Stunden nach Norden immer bergan, fortwährend im Wasser tappend»(28).
Logica conseguenza della presenza dello studioso tedesco a Girgenti fu la redazione di una nuova ed aggiornata carta dell’antica Akragas. Come egli stesso dichiara nell’introduzione, la possibilità di redigere una nuova carta che contenesse tutti i resti delle antichità della città e del suo suburbio costituiva un aspetto indispensabile del suo lavoro(29). L’occasione si offriva in concomitanza con le operazioni di triangolazione geodetica della Sicilia intraprese dallo Stato Maggiore dell’Esercito italiano subito dopo l’Unità del paese.
A questo proposito Holm, in un passaggio dell’introduzione della Geschichte Siciliens (30), ricorda di essersi avvalso, per il tramite di Schubring, della conoscenza della carta aggiornata della Sicilia, redatta dall’Ufficio Tecnico dello Stato Maggiore del Regio Esercito italiano sotto la guida del direttore, il colonnello Ezio De Vecchi (1824-1897), dal 1872 primo direttore dell’Istituto Topografico Militare (poi Istituto Geografico Militare)(31). Uomo di lunga esperienza militare – si distinse con onore in vari momenti della storia risorgimentale italiana, tra i quali la presa di Roma -, ma anche esperto studioso di geodesia, De Vecchi aveva partecipato ai lavori dell’Associazione internazionale per la misurazione dei gradi d’Europa, tenutesi a Berlino nel 1864 ed era stato nominato, dal Ministero dell’Istruzione Pubblica, membro della commissione nazionale di geodesia.
Nel 1865, la triangolazione dell’isola era stata completata, le operazioni dei cartografi militari su Agrigento e il suo territorio avevano prodotto la «carta di Girgenti e i suoi templi» in scala 1:10.000, documento che tuttavia non incontrava pienamente le aspettative di Schubring per contenere solo i 2/3 del territorio dell’antica Akragas. Due anni dopo egli ottenne («auf meinem Wünsch»)(32) l’elaborazione di una carta più ampia che includesse tutto il territorio urbano incluso tra i fiumi S. Biagio e S. Anna, poi pubblicata, «durch Liberalität der italienischen Behörden», in una libera riduzione scalare a 1:15.000 N
La stretta collaborazione tra Schubring e i cartografi militari italiani, con un coinvolgimento diretto, forse, dello stesso De Vecchi, consentì allo studioso tedesco di conoscere tra i primi i fogli della nuova carta della Sicilia, elaborata nel 1868, e renderla nota al collega Holm.
La documentazione cartografica dell’antica Akragas elaborata da Schubring ha rappresentato un caposaldo degli studi di topografia akragantina, almeno fino alle nuove piante redatte nel Novecento da Schmidt e Griffo, con l’ausilio della fotografia aerea (33). La nuova pianta permetteva così la correzione delle numerose distorsioni che avevano caratterizzato la cartografia di Akragas fino al quel momento, verificabili ancora in opere di poco anteriori al viaggio di Schubring, come mostra la pianta della città pubblicata dal francese Augustin Joseph Du Pays nel suo Itinéraire descriptif, historique et artistique de l’Italie et de la Sicile apparso nel 1855 (34).
Non meno interessanti risultano le interpretazioni dell’evidenza archeologica e dei dati delle fonti antiche contenute nell’opera del tedesco. Grazie ad essa egli fornì la prima sintesi sistematica della topografia dell’antica Akragas dall’età della fondazione greca a quella romana, fornendo agli studiosi successivi un utile e fondamentale strumento critico. Alto prestigio le ricerche di Schubring godettero presso gli studiosi italiani della gene¬razione successiva. Nel 1929 la sua opera era infatti reputata “ottima” da uno dei maggiori studiosi di Akragas, Pirro Marconi, sebbene superata in rapporto alle nuove acquisizioni di scavo, e nel 1935, Biagio Pace stimava i suoi studi «… di alta importanza per la più acuta capacità di correlazione tra i testi esaminati criticamente e il terreno percorso con fine intuito» (35).
E ancora in tempi più recenti, un altro illustre studioso di Agrigento antica, Jozef Arthur de Waele, ad un secolo di distanza, definiva lo studio di Schubring «eine Monographie … die alle früheren weit übertraf»(36). Ed anche se, a fronte di un’impresa di poco posteriore come la Topografia archeologica di Siracusa di Holm e Cavallari, all’opera di Schubring può essere mossa l’obiezione di non avere contemplato, nella sua concezione, l’apporto dello scavo archeologico con lo scopo di arricchire la documentazione esistente, tuttavia la serrata verifica dei dati sul terreno e il costante riscontro con le fonti restano un’imprescindibile tappa nello studio della storia dell’antica Akragas.
SCHUBRINGLa ricognizione sistematica della realtà monumentale consentì infatti a Schubring di fissare dei punti fermi nella ricostruzione della topografia dell’antica città greca della quale, nel già ricordato intervento nel corso delle Verhandlungen di Kiel, egli pose in evi denza, sulla scorta del noto passo polibiano, i tre punti basilari della discussione topografica, cui la nuova carta della città forniva peraltro illuminanti spunti di riflessione: l’ubicazione del porto, la denominazione e l’identificazione dei fiumi di Akragas, ed infine la cinta muraria(37).
I personali rilievi e i dati forniti dalla nuova cartografia permisero così a Schubring di fissare, ribadendo le posizioni del duca di Serradifalco(38), l’esatta posizione dei fiumi Akragas, (poi S. Biagio) e Hypsas (poi Drago o S. Anna), rispettivamente a est e a ovest della città, così come indicava Polibio, ponendo fine ad una ridda di errate supposizioni che si erano susseguite dal XVII secolo, con il Cluverius, fino al Pancrazi, nel 1751-1752. Un’altra falsa deduzione topografica, l’esistenza cioè di una Neapolis akragantina frutto di una errata e pedissequa interpretazione di un passo plutarcheo della vita di Dione (Plut., Dion 49), fu definitivamente smantellata dalle indagini di Schubring.
Tale entità topografica, da molti immaginata come un’estensione extramuranea dell’abitato verso oriente fu da lui fermamente negata («… existierte eine Neapolis von Akragas nicht …»), a ragione, poiché completamente ingiustificata dai riscontri archeologici e dalla conformazione del territorio. Schubring ritenne piuttosto che la fonte antica ricordasse una polis di nome Nea, sita nella chora orientale akragantina, priva tuttavia di riscontri archeologici (39).
Un tema specifico della topografia di Akragas, in sé di primario interesse storico e archeologico e più strettamente legato alla figura di Schubring, è quello dell’ubicazione dell’acropoli della città. La questione, ancora oggi sostanzialmente priva di una soluzione definitiva e convincente(40), è sempre stata di capitale importanza per la storia e la topografia della città(41) e l’opera di Schubring ha segnato in proposito una svolta nella storia degli studi.

Lo studioso prese le mosse, naturalmente, dal noto passo di Polibio (IX 27, 6) che così descriveva l’acropoli di Akragas: «La rocca sovrasta la città proprio in direzione della levata estiva del sole, circondata sul lato esterno da un burrone inaccessibile e con un solo accesso dalla città sul lato interno. Sulla sommità sono stati identificati i santuari di Atena e di Zeus Atabirio, come anche a Rodi»(42). Ora, la tradizione di studi anteriore, ribadita dall’autorevole duca di Serradifalco (43), intendeva il passo polibiano come un chiaro riferimento alla cd. Rupe Atenea, toponimo probabilmente derivante dalla tradizione umanistica e da lungo tempo ormai pienamente radicato nella toponomastica della città (44), l’altura più eminente della città (m 351 s.l.m.) ed orientata verso est.
L’autorità dello storico greco consentiva così di escludere come sito dell’acropoli il colle di Girgenti, la seconda altura inferiore come quota alla prima (m 326 s.l.m.)(45) ed orientata verso ovest, dove si era sviluppata la città medievale e moderna, dopo la contrazione della polis antica. Si giustificava così la collocazione sul colle della capitale dei Sicani, Kamikos o Omphake a seconda degli autori, sede del re Kokalos(46).
Lo studioso tedesco, procedendo dai dati delle fonti storiche e dalla disamina della esigua, e labile, documentazione archeologica disponibile all’epoca e consistente nella presenza, da tempo accertata, di un tempio dorico sotto la chiesa di S. Maria dei Greci sul colle di Girgenti, giunse alla conclusione che l’acropoli fosse da identificare in questo settore della città antica, con il tempio di Zeus Atabyrios (coincidente con lo Zeus Polieus menzionato da Polieno, V 1,1) in posizione eminente, eretto nel luogo dove nel Medioevo fu edificata la cattedrale di S. Gerlando. Per l’Athenaion, il tempio sotto S. Maria dei Greci costituiva invece un eccellente candidato(47).
La Rupe Atenea, secondo Schubring, rimaneva invece fuori da tale contesto di localizzazione («Die Rupe Atenea muss hier gänzlich aus dem Spiel bleiben …»), dal momento che ad essa, per la sua morfologia ed i caratteri di area spoglia e rocciosa, egli non riconosceva alcun ruolo significativo nell’im-pianto urbanistico della città antica. Nell’acropoli, situata dunque sul colle occidentale, Schubring riconosceva, inoltre sia l’Atabyrion siciliano, citato da Stefano di Bisanzio, sia il lòphos Athenaios di Diodoro(48). A sostegno della sua teoria, egli dovette, è doveroso ammetterlo, derogare al suo consueto rigore filologico, attribuendo un grossolano errore a Polibio, quello cioè di avere confuso l’oriente con l’occidente, ovvero ipotizzando una corruzione del testo ed emendando, in modo non proprio ortodosso, l’indicazione “anatolàs” in “dýseis”.
Ugualmente controverse appaiono le deduzione di Schubring sul piano dell’evidenza archeologica quando ritenne di riconoscere nella cattedrale agrigentina di S. Gerlando l’edificio insistente sul tempio di Zeus, sui resti del quale essa venne costruita, riutilizzandone anche i materiali di spoglio(49). Si trattava di affermazioni di enorme peso, purtroppo non sostenute da indagini archeologiche nel sito, condotte invece negli anni ’20 del XX secolo e i cui esiti servirono a Pirro Marconi per affermare che «si credette che il tempio di Zeus fosse al posto dell’attuale Cattedrale; ma questa notizia è ora smentita dai risultati dei lavori eseguiti in questa chiesa: nei numerosi sondaggi fatti nelle fondazioni non venne trovato un solo concio greco o un solo coccio; i muri medievali si prolungano fino alla roccia»(50).
L’ipotesi di Schubring, già oggetto di attento dibattito nel colloquio di Kiel del 1869, trovò ampio consenso fino ad oltre la seconda metà del Novecento(51). Negli anni ’70, la serie di campagne di scavo (1970-75, 1978) condotte da de Waele, parevano offrire la tanto sperata occasione di confermare i dati delle fonti antiche e sconfessare finalmente la teoria di Schubring, che l’archeologo olandese decisamente respingeva, malgrado la stima verso il suo propositore(52).
I risultati, importanti, non parvero tuttavia raggiungere pienamente lo scopo. Le strutture chiaramente leggibili che emersero furono un muro di terrazzamento e forse di fortificazione, poi parzialmente utilizzato, nella metà del IV secolo a.C., come basamento di un frantoio, resti di una torre di avvistamento della fine del V secolo a.C. collegati ad un muro di terrazzamento, quest’ultimo solo ipotizzato come parte della struttura di una cella di un tempio ad oikos.
Troppo poco per ricostruire una situazione che attraverso le fonti dobbiamo pensare di ampia monumentalità e grande impegno architettonico. Ogni ipotesi sull’argomento fu pertanto sospesa in attesa di nuovi dati di scavo, con la certezza tuttavia che, citando letteralmente de Waele, «il tempio di Zeus Atabyrios fosse sul terreno oggetto dei nostri lavori è da escludere come hanno dimostrato gli scavi 1970-1978»(53). Lo studioso ritenne inoltre che il passo di Polibio contenesse, sulla scorta della perduta opera di Philinos di Akragas, la descrizione dell’acropoli militare della città al tempo della prima guerra punica, in un contesto storico e topografico ben diverso dall’età classica. Per questo periodo si riteneva plausibile che l’acropoli includesse entrambe le sommità, così come già Serradifalco aveva proposto nel 1836.
Ma un elemento appariva certo e sostanzialmente concordante con le osservazioni pubblicate da Schubring un secolo prima, secondo il quale, come esplicitamente osservava, il luogo, per sua naturale conformazione, difficilmente poteva avere accolto l’impian-to dei due principali templi cittadini: «Der oberste Felsknopf selbs (…) hat eine so gerin-ge wenn auch rechteckige Fläche, dass er kaum einen kleinen Tempel, etwa ein Templum in antis, tragen konnte (…) geschweige denn zwei, besonders wenn der eine von ihnen so prächtig war».
I più recenti studi topografici su Akragas sembrano tuttavia avere decisamente abbandonato l’ipotesi di Schubring, sostenendo l’esistenza di un’originaria acropoli sulla Rupe Atenea – dove alle pendici SE è stato posto in luce un santuario delle divinità ctonie includente anche il culto di importazione rodia di Athena Lindia – estesasi poi, nel V secolo, anche all’altura occidentale, dove sarebbe sorto il tempio di Zeus Polieus a seguito della vittoria di Himera (480 a.C.)(54).
La possibilità che la Rupe abbia potuto accogliere i templi ricordati da Polibio ci porta alla fine del XIX secolo, quando gli scavi promossi nel sito da Salvatore Bonfiglio, farmacista agrigentino e dilettante di archeologia, riaprirono la questione definita da Schubring quasi venti anni prima. I risultati furono riassunti in un’opera, Su l’acropoli akragantina, pubblicata nel 1897 – oggetto di una dura recensione di Holm nella Berliner Philologische Wochenschrift del 1899 che, come osserva ancora de Waele, ne decretò il quasi totale oblio nella letteratura sul tema (55).
Nel 1902, Bonfiglio ritornò sull’argomento, dando conto nelle Notizie degli Scavi di antichità delle sue ulteriori esplorazioni che misero in luce una galleria di ca. m 18 ed un muro in tecnica isodoma di m 12,50. Probabilmente erano le stesse strutture avvistate, ma non precisamente localizzate, già da Serradifalco. Le ipotesi del Bonfiglio, che del tutto arbitrariamente riconosceva sotto il colle di Girgenti l’antica Omphake sicana, trovarono conforto nell’opuscolo del poeta Gabriello Dara, Sulla topografia d’Agrigento del prof. Saverio Francesco Cavallari: lettera dell’avv. Gabriello Dara a Giovanni Picone (1883), nel quale si attribuiva la contrazione della superficie utile della sommità della Rupe all’azione progressiva, dai tempi antichi ad oggi, dell’erosione del suolo «per la diuturna coltivazione, per gli scoscendimenti, per le piogge e per ogni altra azione distruttrice»(56). L’idea che i due massimi templi urbani fossero esistiti in quel luogo resisteva dunque tenacemente.
Il dibattito topografico nella Girgenti tardo ottocentesca riconduce inevitabilmente alla biografia intellettuale di Schubring dalla quale il presente contributo ha preso le mosse. Nel 1887 la sua fondamentale opera storico-topografica viene pubblicata nella traduzione italiana di Guglielmo Toniazzo, consentendo così la divulgazione delle sue idee presso un pubblico più ampio.
Ma a quell’epoca lo studioso, il celebrato “gründlichster Kenner” della Sicilia, viveva ormai lontano dal mondo degli studi di antichità e archeologici. Il distacco dal mondo dell’archeologia sembra essere avvenuto dopo il 1881, anno in cui Schubring lascia la carica di Schatzmeister della Archäologische Gesellschaft di Berlino che aveva tenuto dal 1874 (57). I suoi interessi si rivolsero all’insegnamento ginnasiale, praticato fin dal 1867 tra Berlino e Lübeck, dove dal 1880 al 1904 divenne direttore del Katharineum. E in questa veste egli fu il primo ad introdurre in Germania l’ora scolastica di 45 minuti e, nel 1882, le competizioni annuali di pentathlon degli allievi concepite secondo l’antico modello olimpico. Insieme a scritti di carattere pedagogico, l’opera di maggiore impegno durante questi anni fu l’edizione del ricco epistolario del padre con Felix Mendelssohn Bartholdy, completato nel 1892(58).
Il progressivo estraniamento dal mondo archeologico non gli impedì tuttavia di replicare ai risultati degli scavi di Bonfiglio attraverso una lettera, redatta del 1897 e pubblicata su Il Cittadino del 26 agosto 1906(59), nella quale ammetteva, con un atteggiamento di rara autocritica e con limpida onestà intellettuale, i suoi errori di valutazione nell’identificazione dell’acropoli dell’antica Akragas proposta anni prima. Non ci è dato conoscere le ragioni di questa pubblica ammissione di errore, ma come si è osservato, sondaggi e scavi scientificamente ben più attrezzati di quelli dilettanteschi di Bonfiglio, sembrano con ogni evidenza restituire a Schubring almeno la verosimiglianza delle sue ipotesi(60).
Julius Schubring si spense a Lübeck nel 1914, prima che la prima grande catastrofe del Novecento sconvolgesse quell’Europa largamente percorsa da rapporti e scambi intessuti tra studiosi di diversa provenienza e formazione, specialmente tedeschi, e di cui Schubring può essere considerato una delle «nobili figure», secondo la definizione di Arnaldo Momigliano (61). Con i suoi studi egli aprì la strada alle indagini dell’archeologia moderna in Sicilia che trovarono il migliore interprete in Paolo Orsi(62).
note
27 SIEFERT 1845. Opera di carattere più geografico e storico che topografico, era reputata da Schubring carente quanto ad autopsia dell’evidenza archeologica e sostanzialmente una raccolta di informazioni derivanti dalle più antiche fonti antiquarie.
28 SCHUBRING 1869, 127.
29 SCHUBRING 1870, 2.
30 HOLM 1870, vi.
31 DANELON VASOLI 1991.
32 SCHUBRING 1870, 1.
33 GRIFFO-SCHMIDT 1958.
34 Una ricca selezione di piante e veduta di Agrigento antica, inclusa la carta edita da Schubring, è contenuta in Valle dei Templi 1994, tavv. 1-24; v. anche CARLINO 2010, 194 e BEVILACQUA 2009, 86-88, sulla pianta settecente¬sca di Giuseppe Maria Pancrazi nota a Schubring e da lui ritenuta poco affidabile.
35 MARCONI 1929, 7; PACE 1935, 57-58.
36 de WAELE 1971, 19.
37 SCHUBRING 1869, 120.
38 SERRADIFALCO 1836, 24: «Noi non sappiamo in vero comprendere come scrittori di tanta vaglia siano trascor¬si in errori così manifesti, sembrandoci chiaro, che senza ricorrere a tante sottigliezze, bastar dovesse la semplice sposizione delle parole di Polibio per dimostrare che l’Agragas sia il S. Biagio, e l’Ipsa il Drago».
39 SCHUBRING 1869, 122; SCHUBRING 1870, 3-4. La presenza di una Neapolis di Akragas, che esponenti del-l’antiquaria settecentesca come il Pancrazi (si veda la Chorographia Antiqui Agrigenti incisa da Salvatore Ettore nel 1747 e riprodotta in Valle dei Templi 1994, tav. 1; BEVILACQUA 2009, 85, fig. 7; CARLINO 2011, 183, fig. 3) rite¬nevano la quinta parte di una ripartizione della città in distretti, derivava da un’arbitraria lettura delle fonti e, forse, dalla suggestione del modello siracusano, v. POLITI 1826, 17.
40 Già all’inizio degli anni ’70 del secolo scorso un esperto conoscitore della topografia akragantina come de Waele concludeva, quasi rassegnato, che «anche per la localizzazione dell’acropoli non esiste certezza» (de WAELE 1971, 258.
41 de WAELE 1971, 217.
42 Tr. di M. Mari, in Polibio. Storie, D. Musti (ed.), Milano 2002, 205-206.
43 SERRADIFALCO 1836, 24-25 che riconosce nel colle di Girgenti l’antica acropoli («A noi sembra fuori di dubbio che la rocca di Agragante siasi già elevata su quella rupe medesima, ov’è fabbricata la moderna città ») estesasi poi fino alla sommità della Rupe Atenea («Anzi dalle medesime parole di Polibio ricaviamo, che più all’oriente e sul colle minervale siasi distesa »), una posizione ripresa negli studi più recenti, v. GRIFFO 1961, 28; FIORENTINI et alii 2009, 30 che suppongono un processo inverso, da est verso ovest, avvenuto nel corso del V secolo a.C.
44 Il toponimo, verosimilmente di origine popolare, era Le Forche, v. SIEFERT 1845, 36.
45 Le quote altimetriche fornite da Schubring (SCHUBRING 1869, 123: m 340 [Rupe Atenea] e m 330 [colle di Girgenti]) non sono coincidenti con quelle reali.
46 L’ubicazione di Kamikos presso Agrigento risale già al XVI secolo con Fazello il quale la collocava nella chora agrigentina, ma gli studiosi successivi (Pancrazi, Biscari, Amico, ecc.) identificarono il sito con il colle di Girgenti (v. sintesi in de WAELE 1971, 217 nota 1170); le condutture idriche ipogeiche vennero intese come i mitici sotterranei di Kamikos (così anche in SERRADIFALCO 1836, 31).
47 SCHUBRING 1869, 124-126; SCHUBRING 1870, 21-28; sintesi delle posizioni di Schubring in de WAELE 1971, 219. Del tempio sottostante la chiesa di S. Maria dei Greci, Schubring fornisce un dettagliato rilievo architet¬tonico delle membrature superstiti, v. SCHUBRING 1870, 27.
48 Steph. Byz., s.v. Atabyrion (= FGrHist 566, F 39); Diod. XIII 85, 4; v. de WAELE 1971, 220-221.
49 SCHUBRING 1869, 124: «an der Stelle der heutigen Cathedrale, welche sicheren Nachrichten zufolge auf anti-ken Fundamenten steht»; SCHUBRING 1870, 24: «… dass S. Gerlando auf den Substruktionen eines alten Tempels erbaut ist und unbedenklich erkläre ich die grossen Stufen und Quaderbauten, die aus dem Boden hervorragen, für antike Reste». Le indicazioni, troppo generiche di Schubring, non facilitano un loro riscontro reso, attualmente impossibile dalla chiusura dell’edificio a causa di gravi cedimenti statici del complesso.
50 MARCONI 1929, 80 nota 1, citato anche in de WAELE 1971, 219 nota 1184. La notizia giunse all’archeologo dal-l’arcivescovo di Agrigento, mons. Lagumina, promotore di restauri e sondaggi nelle fondamenta dell’edificio.
51 Tra questi Francesco Saverio Cavallari; si veda l’elenco in de WAELE 1971, 222 cui si deve COARELLI-TOREL-LI 1992.
52 de WAELE 1971, 219: «Diese Lösung Schubrings kann nicht richtig sein».
53 de WAELE 1981, 452.
54 FIORENTINI et alii 2009, 29-30.
55 de WAELE 1971, 220.
56 L’intero argomento è riassunto in de WAELE 1971, 220.
57 Zeitschrift für bildende Kunst 16, 1881, 555; BORBEIN 1993, 36.
58 SCHUBRING 1892.
59 de WAELE 1971, 221 nota 1196. Il testo originale della lettera è pubblicato, con traduzione, in BONFIGLIO 1933, 150-153.
60 Di particolare interesse in prospettiva di attente verifiche è una notizia, in forma quasi di postilla, contenuta in MARCONI 1929, 37 nota 2: «Ho oralmente notizie di scoperte avvenute nella attuale città: nella Via Atenea sarebbe stato scoperto un deposito di statuette fittili greche; altrove altri oggetti d’uso; tutti documenti, con quelli maggiori citati e con il tempio, d’una vita svoltavi nel periodo ellenico».
61 V. nota 1.
62 Sintomatico quanto, lapidariamente, scrisse Orsi nel suo monumentale contributo su Gela (ORSI 1906, 8 nota 1) nell’introdurre la topografia del sito della colonia e del suo territorio: «Il meglio fin qui è stato raccolto dallo Schubring», citando una delle più importanti opere del tedesco, l’articolo Historisch-geographische Studien über Altsicilien. Gela. Phintias. Die südlichen Sikeler, in RhM, N.F. 28, 1873, 65-140.
di Federico Rausa