
La via del Duomo
Nell’averti presentato all’immaginazione talune vie e qualche località di Girgenti tali e quali erano prima del 1860, ti sarà forse sembrato, o lettore, che io abbia voluto rendertene forti le tinte. Ma tu devi sapere che in Girgenti prima del 1860 le idee di pulizia, d’igiene pubblica, di decenza, di edilizia, di decoro della città, di senso artistico non erano nelle menti dei nostri padri, e si tolleravano deformità e sconcezze che offendevano la civiltà e umiliavano la nostra mentalità innanzi ai forestieri.
La inerzia degli amministratori del comune e dei cittadini si destò dopo il 1860. Dopo quel tempo, a nessuno si lasciò più la facoltà di usurpare nelle costruzioni il suolo comunale, di svisare le ragioni della simmetria nelle cose pubbliche e private, di attentare alla igiene e alla decenza; a poco per volta si incominciarono a togliere o a rendere meno appariscenti le sconcezze che deturpavano talune vie e alcuni luoghi della città, e si imposero ai cittadini le leggi della pulizia e del decoro.
Nulla nel breve primo tratto di questa via sino alla Porta Beberria é degno di rimarco, eccetto il grande palazzo a sinistra di chi sale, che fu costruito negli anni 1878 e 1879 sul suolo di case ferrane che vennero demolite. L’altro tratto, che da Porta Beberria si estende sino agli avanzi della demolita chiesa d’Itria, era senza case di abitazione, abbandonato e triste. A dritta, dalla parte di est e di nord, incominciando dal punto della via che con curve tortuose ascendenti conduceva alla sommità della rupe, dov’era il Castello, costruito dagli arabi nel secolo decimo, del quale ancora sopravvivono i ruderi, e che in seguito fu trasformato in carcere giudiziario, era il lungo muro di cinta, giallastro, con cemento scretolato, del giardino appartenente alla biblioteca Lucchesiana, e in continuazione l’altro muro del giardinetto dei padri liguorini. A sinistra erano alcune casupole terrane di fronte alla imboccatura della via del Castello e un altro muro parimente vecchio di un altro giardino.
Nel punto nel quale fu fabbricata la casa Biondi, esisteva una misera casa composta di un vano terreno con una camera soprastante, e poco distante a sud-est una edicola o cappelletti con dentro una effige della Madonna. Il giardino della biblioteca Lucchesiana non conteneva altro che un grande albero di gelso e piante di fichi d’India, e il giardinetto contiguo d’Itria un albero di pepe e fichi d’India. Il primo, nel 1886, fu conceduto ad enfiteusi alla signora Francesca Sileci, la quale fece ricostruire tutto il muro di cinta, adornandolo con inferriate e colonnine, fece sparire tutto ciò che era vecchio, deforme e incolto, e lo trasformò in una elegante villa, che si denominò: Villa Checchina.
Al presente si appartiene al signor Giulio Amoroso, che vi costruì una bella casa di abitazione. E una casa di piacevole aspetto fu pochi anni fa costruita, là dov’era il giardinetto d’Itria. E questo tratto di via, che prima del 1860 era solitario e squallido, ha preso oggidì, dal punto di vista edilizio e dell’igiene, una nuova forma. Il vecchiume, il laido, il sudicio sono talmente scomparsi e si presenta agli occhi del riguardante fresco, gaio, pulito, decorato da case graziose, pulite come uno specchio, che paiono sorte per incanto.
casa portulanoL’altro lungo tratto a sinistra di questa via, che comincia con il
palazzo Portolano, il quale fu fabbricato nell’anno 1874, sino al piano del Seminario, che oggidì presenta una fila di case nuove e decorose, era una catena di fabbricati simili, sconnessi, vecchi, alcuni a pian terreno e taluni con una o due camere Sovrastanti, in contrasto coi fabbricati colossali a dritta, che erano, e sono tuttavia, la biblioteca Lucchesiana, il palazzo Vescovile e la Cattedrale. Fermiamoci un momento sulla grande, magnifica biblioteca Lucchesiana, che fu per tanto tempo il solo nostro prezioso tesoro di umane cognizioni e alimento intellettuale degli studiosi nazionali e stranieri.
Questa biblioteca, che potrebbe essere decoro di qualunque città principale del Regno, è quasi abbandonata. Fu fondata dal palermitano conte Andrea Lucchesi Palli dei Principi di Campofranco, che nel 1755 fu vescovo di Girgenti. Egli, sulla sommità del monte presso l’attuale chiesa di Sant’Alfonso, fece costruire un grande edificio con ampie sale, alte ed ariose, ed in una di queste impiantò la grande, sontuosa biblioteca, che rivestì nell’interno di scaffali, artisticamente intagliati e scolpiti a rilievi; la fornì di parecchie decine di migliaia di libri, di manoscritti arabi, greci, latini ed italiani di grandissimo pregio, di un prezioso monetario, che quando era completo fu oggetto di studio e di ammirazione di numerosi numismatici italiani e stranieri e di un piccolo museo di oggetti antichi; la dotò di rendite, e con atto del 16 Ottobre 1765 ricevuto da notaro Giovanni Giudice, confermato con l’altro atto del 28 Settembre 1768, rogato dal notaro Antonio Diana, la donò ai cittadini di Girgenti.
La noncuranza delle amministrazioni pubbliche locali, passate e presenti, ha lasciato nell’oblio questa preziosa biblioteca, la quale é stata arricchita in seguito delle biblioteche dei soppressi ordini monastici e di quelle del principe di Campofranco e del professore Crisafulli, e che contiene più di cinquanta mila volumi. E’ un ammasso inesplorato di codici, di classici greci, latini ed italiani di ogni genere, scientifico e letterario. L’indice generale alfabetico degli autori é irregolare, perché non sempre si rinviene il libro che si chiede e nessuno pensa ad un indice a schedario con tutte le indicazioni necessarie per il buon funzionamento della biblioteca, e viene perciò da pochi studiosi qualche volta visitata.
I manoscritti arabici erano nei margini rosi dalla tignuola, e furono nel 1868, per non farli perdere interamente, restaurati e rilegati a spese del municipio.
II ricco e prezioso monetario e il piccolo museo non esistono più. Poche monete rimangono, perché le più pregevoli furono involate, e i pochi oggetti antichi rimasti furono deposti nel nostro museo archeologico.
Le rendite lasciate dal generoso fondatore non bastano più per i tempi mutati a fare fronte alle spese per la manutenzione dei locali, per il pagamento della fondiaria, per lo stipendio del bibliotecario e per l’acquisto di quelle opere moderne di scienze e di lettere più ricercate.
E tutto ciò é triste, vergognoso, disonorevole per una città civile, com’è Girgenti! Quel magnanimo Lucchesi Palli, oltre il dono della magnifica biblioteca, del preziosissimo monetario, dei preziosi manoscritti e del piccolo museo, di altri beni fu generoso verso la città di Girgenti.
Fece costruire il grande palazzo Vescovile allato della biblioteca; acciottolare le vie della città, in quel tempo impraticabili per mancanza di manutenzione; ingrandì ed abbellì il seminario dei chierici e diede agli studi un razionale indirizzo. Morì compianto dai girgentini nel dì 4 Ottobre 1768.
Chiude la catena dei grandi edifici che fiancheggiano a dritta questa via la grande mole della chiesa Cattedrale.
Qui ti invito a visitare questo tempio grandioso a tre grandi navate, dichiarato monumento nazionale, che ti ispira un senso di maestà, rispetto religioso e ammirazione. E’ anche un museo per gli oggetti d’arte che contiene, e per i documenti antichissimi che si conservano nel suo archivio.
Fu costruito da 1092 al 1098 da San Gerlando, che fu vescovo di Girgenti nel 1090. San Gerlando era un giovane francese di santi costumi e pieno di carità cristiana. Era amico e confidente del conte Ruggiero normanno, che fu poi re nel 1091, in quel tempo condottiero degli eserciti normanni, il quale ne ammirava e grandemente ne apprezzava la elevata intelligenza e sopra tutto le virtù cristiane. Per il bene della religione, lo destinò prima al capo del clero di Mileto, dove il pio e operoso sacerdote con la predicazione, con la prudenza e con le opere di misericordia fece tanto bene alla religione e agli infelici.
Quando Ruggiero conquistò, dopo aspre lotte e un lungo assedio Girgenti, si ricordò del virtuoso sacerdote Gerlando e lo nominò vescovo della nostra diocesi. II buon Gerlando accettò l’alto ufficio e, rivestito di quella carica eminente, venne nella nostra città, la quale in quel tempo in maggioranza era popolata da arabi, che professavano la religione di Maometto, da ebrei, da schiavi e da cristiani, perché era tollerato il cristianesimo, e per quest’ultimi esisteva in tempo la chiesa di Santa Maria dei Greci solamente.
Il buon prelato che h tutti in cuore generosi sentimenti, ha pure in mente il santo proposito di sostituire il Vangelo al Corano, la religione di Cristo a quella di Maometto E senza porre tempo in mezzo, si mette a tutto uomo a questa opera ardua e difficile con la predicazione e con la prudenza, con la generosità e con la giustizia con modi carezzevoli e pieni di garbo. E le sue aspirazioni mano mano si realizzano, perché quel prelato ha sulla fronte l’aureola di santità che egli concilia un profondo rispetto popolare.
E la fede cattolica si propaga nella nostra città, e battezza arabi ed ebrei, veste i nudi, conforta e solleva i tapini, non badando se siano musulmani o ebrei, c o indegni dei suoi benefici, e con il suo patrimonio erige spedali e orfanotrofi, e fabbrica la magnifica nostra cattedrale per il culto di Dio e della Vergine Assunta in cielo.
In tutte queste opere non vi è il profumo di santità ? I moltissimi doni votivi che esistono dentro il tempio, sono la prova di grazie largite da questo santo ai suoi fedeli. San Gerlando morì il 25 Febbraio 1105, e i suoi avanzi mortati si conservano nella nostra cattedrale, che da lui ha il nome, rinchiusi dentro un’urna di argento massiccio, artisticamente cesellata. E’ il Santo protettore di Girgenti.

Alla chiesa costruita da San Gerlando furono fatti nel corso dei secoli da taluni vescovi suoi successori, ingrandimenti, restaurazioni, decorazioni e trasformazioni. Meritano per la loro importanza essere ricordate quelle del vescovo Gisulfo, il quale negli anni 1658-1665 ne ingrandì di non pochi metri la navata di mezzo, costruì due cappelle alle navi laterali, e ne fece una croce latina; e queste opere decorò di stucco dorato: fece pure costruire il tetto a cassettoni dorati, per le quali opere si dice che abbia speso diciotto mila scudi (£. 90.000).
Ma il vescovo che nello scorcio del 1600 ebbe l’infelice pensiero di farla trasformare secondo il gusto del tempo, fu Giovanni Orosco de Leyva, spagnolo. Costui fece rivestire da cima a fondo l’interno della chiesa di uno strato di stucco bianco, e con questo denso intonaco, per il quale occorsero due anni di continuo lavoro, ne fece sparire l’architettura primitiva, le decorazioni, le pitture, il sentimento estetico e l’interesse storico. Le colonne, che dividono le tre navate, perdettero i loro capitelli di stile corintio e da ottagonate divennero cilindriche, gli archi il bel sesto acuto. E quel prelato con grande incoscienza recò un’offesa storia e uno sfregio all’arte e alla bellezza.
Al presente, dopo tre secoli, l’attuale vescovo Bartolomeo Lagumina, dotto archeologo, con la direzione del valente architetto, direttore dei monumenti Sicilia, Giuseppe Rao, si é accinto ad un’opera lodevolissima e tale da meritare un grato ricordo dagli storici, dagli artisti e dai girgentini. Egli concepì l’idea di riparare a quella grande profanazione della storia e dell’arte compiuta dal vescovo Orosco di Leyva, e mediante lo scrostamento dello intonaco e di un lavoto assai difficile trovare la fisonomia genuina del bellissimo tempio. E lo scopo della sua bella opera da alquanti anni bene avviata sarà raggiunto perché sin’oggi sono venuti alla luce decorazioni, ornamenti, affreschi, archi decorati a rilievi, cappelle stupende e finestre con archetti ogivali, tutti gioielli dell’arte medioevale, i cui disegni appaiono belli, come nel tempo nel quale gli artefici li finirono; ed altre decorazioni del tempo nel quale furono da alcuni vescovi fatte eseguire.
E chi sa quante altre cose belle, barbaramente sepolte verranno fuori all’ammirazione nostra e dei posteri! Perché il tempio costruito da San Gerlando per opera di artisti normanni, i quali lasciarono nelle chiese di Palermo e di Messina monumenti di bellezza immortale, doveva essere un gioiello di architettura e d’arte.
Nel tratto di questa via, dalla chiesa di Sant’Alfonso sino alla cattedrale, si teneva da tempo remotissimo prima del 1860, in ogni anno per la festa di San Gerlando, che ricorreva nella seconda domenica di Pasqua, una fiera che durava otto giorni, da una domenica all’altra. Per questa fiera concorrevano in Girgenti migliaia di persone dai comuni della provincia per la compra degli oggetti di commercio, che i mercanti delle città principali dell’isola tenevano esposti in grandi logge, appositamente costruite con tavole e variamente decorate. Questa splendida fiera, poco prima del 1860, incominciò a perdere la sua utilità per i negozi di tessuti e di ogni sorta di oggetti di commercio, che man mano-si aprivano nella nostra città, e dopo il 1860 si abolì totalmente, ed oggi é ridotta solamente alla vendita e compra di animali da tiro, da soma, da sella e da lavoro.
di Francesco Paolo Diana (1912)