Il Mediterraneo, non solo storico luogo di transito di ricchezze e culla della civiltà occidentale, ma “mosaico di culture” (Matvevich P., 1998), è stato definito da Fernand Braudel altresì “Mille cose insieme (…). Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre”. Ridare centralità al Mediterraneo passa attraverso la riappropriazione delle identità locali e il rilancio di un’economia integrata che coinvolga tutti i paesi – le civiltà – che vi si affacciano, mantenendo – però – forti i singoli caratteri, le singole specificità, in considerazione della varietà di zone diverse per geografia, orientamento, risorse, popolazione.
Intendendo le coste come fragili sistemi interattivi mare?terra da tutelare (Hoyle B., 1998), si seguirà la guida di Braudel che, occupandosi di storia, porta avanti una geografia che si occupa di comprendere la realtà costituita da uomini, diversi, in una scena – contesto ambientale – sempre uguale, certamente inseparabile dalla storia di chi lo abita (De Blache V., 1903), con l’assunto di base che il sistema insediativo e la conseguente organizzazione del territorio conserva sempre l’impronta (Turri E., 2002) che le strutture sociali, politiche ed economiche vi hanno lasciato.
Storia e geografie nel Mediterraneo
Prima di addentrarsi nella realtà propria del territorio agrigentino, si proverà ad analizzare geograficamente la Sicilia, la cui morfologia ha influenzato la distribuzione della popolazione che si è insediata soprattutto nelle aree costiere. Tra i tipi di situazioni territoriali, il perimetro urbano costiero, elemento ordinatore della realtà siciliana, è più integrato e dinamico e comprende i centri urbani più rilevanti soprattutto nei versanti tirrenico e ionico con i due sistemi metropolitani. Caratteristica di suddetti perimetri è il maggiore dinamismo da un punto di vista demografico rispetto al fronte africano, dove si risente ancora della mentalità, tradizioni, strutture economiche della Sicilia interna.
Nella mutevolezza dei paesaggi costieri, infatti, i tre distinti fronti dell’isola guardano mari diversi e presentano caratteristiche geografiche diverse; in particolare il Lato Africano, che in passato si è espresso in centri di grande rilievo (a parte Agrigento anche Selinunte, Gela, Camarina), è ricco di insenature, con rupi alte e ripide ma anche ampie spiagge bianche, spesso ancora incredibilmente incontaminate. Fin dall’antichità più remota, i porti fluviali dei dintorni di Àkragas svolsero, ad esempio, un’importantissima funzione per i traffici marittimi e per il sorgere di città. Il sistema costiero di riferimento ? da Sciacca a Licata ?, in particolare, è rappresentativo della compresenza di archeologia, paesaggi straordinari, luoghi carichi si suggestioni, ma anche edilizia – spesso abusiva -, risorse naturali e culturali rilevanti da un lato, marginalità e degrado diffuso dall’altro, come del resto si riscontra in altre realtà costiere del Mediterraneo.
Centro geografico del fronte africano della Sicilia, porta dell’Europa verso il continente africano, fronte sud dell’Europa, quale ruolo svolge oggi Agrigento nel Mediterraneo? E’ possibile pensare che il fatto di trovarsi a poca distanza da un continente “altro” abbia sinora bloccato qualsiasi forma di dialogo, di rapporto con il Mediterraneo? Il porto di Porto Empedocle (già Marina di Girgenti) è oggi quasi esclusivamente – e tristemente noto – per gli sbarchi quotidiani di decine di immigrati, poi avviati per destinazioni europee o di rimpatrio.
Ripercorrendo brevemente alcuni passaggi storici, notiamo che, di certo, il rapporto con l’elemento acqua è stato fondamentale per a–kragas; il nome del fiume sulle cui rive sorse definiva proprio un sito senza granchi, bonificato dall’uomo che lo aveva scelto per insediarvisi, approdo sicuro in una costa alta e frastagliata. L’effige a forma di granchio sulle antiche monete agrigentine è infatti simbolo del Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi.
In generale i siti scelti per l’insediamento delle colonie greche in Sicilia erano punti privilegiati, terminali di rotte marittime battute fin da epoca preistorica, dotati di porti naturali con ottimi approdi, favorevoli condizioni di difesa, felici posizioni strategiche in prossimità della foce di fiumi “che mettono in rapporto con un vasto e fertile entroterra” (Voza G, 1989, 26). La vicinanza con il mare consentiva l’adempimento di funzioni commerciali per la possibilità di scambi con la madrepatria: scambi anche di cultura, legislazioni e informazioni “attraverso il mezzo della nave”, un’ottica capovolta rispetto all’idea coloniale di terra di conquista (Carta G., 2004).
La scelta del sito per la fondazione di Àkragas fu particolarmente felice tant’è che Polibio ne decanta le lodi in quanto vicina al mare “così che partecipa di tutti i vantaggi, che dallo stesso provengono” (Caruso Lanza M., 1931, 22). Una piattaforma, delimitata da alti costoni rocciosi, degradante da nord a sud in direzione mare, abbracciata dai fiumi Àkragas (San Biagio) e Hypsas (Sant’Anna) confluenti a meridione nell’attuale San Leone.
Le imbarcazioni erano generalmente ricoverate presso gli estuari dei fiumi o sulla spiaggia, come affermato da diversi storici; due delle più importanti colonie – Gela e Àkragas (Finley M.I., 1979, 28) – furono proprio in questo tratto di costa dove sono buone spiagge, ma mancano veri e propri porti. Ciò non impedì ad Àkragas di distinguersi, al suo apogeo, per l’esportazione di prodotti agricoli per mare; Diodoro e Timeo ne attribuiscono ricchezza e magnificenza soprattutto al commercio con Cartagine.
Per molto più di un millennio esistette, infatti, alla confluenza dei fiumi succitati, l’approdo marittimo in un’area presumibilmente sita tra la contrada Maddalusa e San Leone, più arretrata rispetto all’attuale linea di costa, modificata dal trasporto solido della corrente costiera.
Quando cominciò la decadenza dell’Emporium di epoca romana, venne invece utilizzata una spiaggia qualche chilometro a ponente, dove sarebbe poi sorto il porto dell’attuale Porto Empedocle. I motivi che determinarono tale spostamento sono stati variamente prospettati dagli storici. Tra i più accreditati, la distruzione della vecchia Àkragas e il sorgere di Gergent, già a partire dal VII secolo d.C., in posizione sopraelevata sulla collina, più vicina a Porto Empedocle grazie ad una trazzera di tre miglia che, partendo dal Ràbato, conduceva alla Marina con pendio non troppo pesante.
Tra le parecchie cause che concorsero al lento e progressivo abbandono del vecchio scalo anche l’aumento delle dimensioni delle imbarcazioni che avevano bisogno di fondali meno bassi e le modestissime dimensioni dell’estuario del fiume che lo resero insufficiente a sostenere un traffico di una certa entità.
Il Caricatore
Dall’affermazione di Amari: “quando, finita la dominazione araba, i Normanni stabilirono la nuova sistemazione amministrativa della Sicilia, la città di Girgenti fu elevata a Sede Vescovile solo per l’importanza del suo porto”, si evince che tale porto a quel tempo dovesse essere il più importante della costa meridionale siciliana. Durante il periodo arabo, infatti, venivano esportati in nord Africa grano, cereali, vino, pelli ed cuoi, legname e, soprattutto, sale minerale.
Tra i “caricatori” (punti della costa in cui venivano effettuate operazioni di imbarco e sbarco di merci) sparsi su tutto il litorale siciliano, quello di Girgenti fu sede – fin dal XIII secolo – di grandi traffici marittimi e svolse un ruolo di primo piano nei collegamenti con tutti i Paesi del Mediterraneo. A quel tempo lo spostamento delle merci avveniva quasi esclusivamente via mare perché le strade spesso non consentivano il facile passaggio dei carri.
Nel XVI sec, a causa della crescente minaccia barbaresca e dello sviluppo delle armi da fuoco, nell’ambito di un programma di difesa dell’isola, il Vicerè Pignatelli affidò all’ingegnere Ferramolino il compito della costruzione di una torre di avvistamento che, poi denominata di Carlo V, è tuttora visibile anche se degradata.
In quel secolo due gravi epidemie di peste, una carestia, diversi terremoti ed il timore di continue invasioni barbaresche contribuirono a devastare il territorio.
Una certa rinascita si ebbe con l’amministrazione austriaca e nel 1726 furono effettuati lavori di ripristino del Caricatore. Il risveglio economico cominciò nel 1735, con l’inizio la dinastia dei Borbone: Gioeni, vescovo della diocesi agrigentina, si fece portavoce del bisogno di dare nuovo impulso all’attività del porto con l’ampliamento dello scalo.
Nel 1830, con l’accentuarsi del traffico solfifero, il porto ebbe uno sviluppo ed un incremento tale da dare al nascente paese una diversa fisionomia. Nel 1864 Marina di Girgenti, ormai città autonoma (denominata poi Molo ed infine Porto Empedocle), ottenne l’autorizzazione per la costruzione di un nuovo braccio del porto e nel 1875 fu aggiunto il braccio di ponente. Il tutto nonostante già nel 1842 Afan De Rivera scriveva del progressivo interramento causato dai venti che favorivano “il deposito nell’aia del porto” di sabbia, fenomeno che ancora oggi si riscontra.
La presenza nel costone marnoso che delimitava a nord la spiaggia di grandi fosse dovute a fenomeni di erosione carsica contribuì alla fortuna dello scalo. Utilizzate fin dai tempi degli Arabi, queste “buche da grano” (Afan De Rivera C., 1842, 204) costituivano magazzini naturali per il frumento.
L’area prospiciente il mare venne, nel tempo, destinata ad industrie che chiusero definitivamente nel 1984 con notevole danno per l’economia della città; oggi questa zona A.S.I. è contesa tra il Comune di Porto Empedocle, quello di Agrigento, la Regione Sicilia, ENEL e Legambiente, per la costruzione di un impianto di rigassificazione. Tale intervento, a pochi passi dalla Valle dei Templi e dalla contrada Kaos, casa di Pirandello, si ritiene che potrebbe compromettere il rilancio del sistema turistico-culturale costiero Agrigento?Porto Empedocle non tanto per problemi di sicurezza, ma per il carattere del porto la cui vocazione turistica potrebbe venire compromessa.
San Leone
In considerazione della conformazione orografica della costa, il waterfront della città di Agrigento, invece, è costituito da un lato dall’area archeologica che, in parte, è stata cementificata da villette residenziali a picco sul mare e dall’altro dalla borgata marinara di San Leone. Questa, nata spontaneamente con poche case di pescatori, solo in seguito, con la scoperta delle proprietà terapeutiche dell’acqua marina intorno alla metà del XVIII secolo, divenne piccolo centro balneare.
Le prime notizie del litorale, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, narrano di un luogo dove gli agrigentini accorrevano in periodo estivo, attratti anche dalle comodità offerte dallo stabilimento balneare attrezzato. Di questo, situato proprio al centro dell’attuale lungomare, non resta però alcuna traccia perché costruito su palafitte di legno. Nei dintorni la borghesia del tempo costruiva le proprie residenze estive, alcune delle quali rimangono ancor lungo il Viale dei Pini, imponente tracciato parallelo al lungomare.
Un segnale forte fu la costruzione, in periodo fascista, del Convento dei Padri Filippini, oggi sede di un rinomato albergo, che avrebbe potuto essere un’occasione per attuare una sistemazione urbanistica dell’intero lungomare, ma la struttura non ha mai dialogato con il luogo, non ha mai giocato il ruolo di un principio insediativo forte.
san leone anni Quaranta del Novecento
Negli anni Settanta, poi, un progetto urbanistico radicale cercò di dare un nuovo assetto al lungomare stravolgendo l’originaria linea di costa. La realizzazione di un’area attrezzata soprelevata rispetto alla quota stradale ha, però, soltanto alterato quel delicato rapporto mare?città senza un adeguato disegno dello sviluppo urbanistico dell’area circostante, oggi soffocata da un’edilizia incontrollata. La conseguenza dell’errore progettuale è: una realtà fortemente disomogenea caratterizzata da una totale chiusura rispetto alla costa, poca visibilità del mare, poca vivibilità per l’assenza di un punto di aggregazione, cementificazione incontrollata, gravi problemi di mobilità esterna (con la città e la provincia) e interna (assenza di parcheggi, mezzi pubblici, piste ciclabili), una realtà sofferente che attende soluzioni.
Il rapporto con il Mediterraneo, oggi
Agrigento, città ortopolin per Pindaro (Olimpica II), è certamente la città della Valle dei Templi, ma è anche una città frammentata tristemente nota per l’abusivismo.
Ma Agrigento è anche una città costiera?
Che rapporto ha, dunque, con le sue risorse naturali, in particolare con la risorsa mare che, al pari dell’area archeologica, rimanda alle sue origini più remote?
In questa regione urbano-industriale costiera (Guarrasi V., 2002) convivono, infatti,caratteristiche proprie degli insediamenti dell’interno: isolamento e frammentazione.
di Valeria Scavone Professore Associato in Urbanistica , nel Dipartimento di “Architettura, dell’Università degli Studi di Palermo,
porto empedocle 1901
Il rapporto con la costa è una delle chiavi interpretative. La divisione amministrativa con il comune di Porto Empedocle, nel 1858, ha acuito questo distacco della città dal mare: l’antica Marina di Girgenti non è più il porto della città, non rappresenta una concreta alternativa alla grave carenza infrastrutturale, ma è una realtà avulsa da Agrigento che si rivolge, in termini di flussi, verso i comuni dell’interno. Il mare è “altro” rispetto ad una città monocentrica dove solo il tessuto otto-novecentesco è denominato “Agrigento”; San Leone, pur essendo a soli tre chilometri dal centro, è una località balneare da vivere solo d’estate.
Brian Hoyle sottolinea, invece, le risposte che si avrebbero sollecitando la riscoperta di una città-porto.
Una strategia della memoria potrebbe riscattare questo territorio dalla marginalità in cui si trova: non solo l’area archeologica ma anche il mare potrebbe divenire la risorsa culturale e turistica attorno alla quale garantire una virtuosa convivenza fra diverse attività.
Valeria Scavone è Ricercatore in Urbanistica presso il Dipartimento Città e Territorio, Università degli Studi di Palermo.
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