Agrigento nell’immediato dopoguerra
Sono tempi, anni irriconoscibili in un’esatta memoria ormai, nei tempi, nei personaggi, nella vita una piccola città che tuttavia doveva rappresentare la sintesi di una provincia tumultuante, gravida di problemi, di necessità e di aspirazioni popolari.
La contraddizione maggiore era ancora la presenza di una semi feudalità, da non entrare più nella storia, ma che resisteva contro il suo tempo e le speranze di masse contadine movimento.
Agrigento aveva avuto ancor prima del fascismo, taluni uomini che erano usciti dalla generalità piccola e media borghese, che per tutta una generazione l’avevano caratterizzata. Era stata la città degli avvocati, dei piccoli trafficanti, anche dei professori colti che contraddicevano il clima generale di conservazione borghese della classe dirigente.
Si può dire che la città non era proprio fascista ma, non era per nulla antifascista. C’erano state nel suo recente passato le lotte contadine generando le organizzazioni vari paesi dei fasci contadini, ad Agrigento c’era stato il giovane avvocato Francesco De Luca presidente del fascio contadino cittadino. E prima di lui un altro giovane avvocato Antonino Riggio che, era stato garibaldino, ed era addirittura in corrispondenza con Engels. Il quale aveva ereditato rapporti epistolari di Marx defunto e che aveva genialmente identificato nel movimento contadino, la concezione di un socialismo spontaneo.
Anche nella vicina Sciacca c’era stata la presenza di un rivoluzionario come Saverio Friscia. C’era poi stato un altro giovane avvocato Cesare Sessa, che aveva organizzato in vari paesi le sezioni comuniste; il professore Rosario Scaffidi che nella città aveva vissuto insegnato proveniente con la famiglia da Siracusa, insieme a Sessa alimentava il giovane movimento comunista. Scaffidi era stato colpito dalla reazione fascista imprigionato e privato dell’insegnamento presso il ginnasio – liceo Empedocle. Anche il figlio, giovane studente liceale di vistosa simpatia, era stato colpito al fascismo. La provincia aveva anche espresso dei movimenti antifascisti soffocate anch’essi dal violento regime. Tutti questi personaggi per tutto il tempo del fascismo della guerra non avevano inciso sulla vita la città. Erano personaggi dimenticati. Esercitavano la professione avvocati come il socialista Cigna, i democratici come riformista Enrico La Loggia, Pancamo, Guarino Amella, il prete Michele Sclafani, i fratelli avvocati Mario e Giulio Bonfiglio, che prima dell’avvento fascista aveva esercitato la loro passione democratica e, che ora esercitavano la loro professione in un prudente silenzio politico. La città gli aveva fagocitati e viveva la vita incolore di piccola città immersa nei ricordi della sua antica storia circondata dalla sua stupenda valle che raggiungeva il mare, che alzava al cielo i suoi fascinosi templi greci che rendevano memoria della sua antica civiltà.
La città aveva vissuto la guerra come tutte le altre città della Sicilia nei disagi, si era spogliata di parte la sua gioventù, si era fatalmente abbassato il suo tenore di vita e delle attività amministrative civili. La guerra stava per finire e mentre ancora tergiversava agonizzante nelle città del Nord, qui già sbarcavano sulle coste del Mediterraneo le organizzazioni militari alleate.
Chi scrive questi frammenti di ricordi, aveva vissuto parte dell’ultimo periodo fascista è tutta la durata della guerra, prima nelle galere fasciste e nelle località confinarie, confinato in Eritrea allora colonia italiana e, poi sull’isola di Ventotene, in seguito partecipando all’organizzazione della resistenza delle brigate partigiane garibaldine, non ha ricordi diretti della vita agrigentina.
Soltanto alla fine della guerra dopo avere combattuto a Lombardia infine nel Lazio, ferito e mutilato in volto, vi fece ritorno trovando la città in pieno fermento politico.
Le personalità che non avevano aderito al fascismo, erano presenti, ora, nell’agone politico, contraddistinto da disordini scaturiti dalle nuove attività dei contrasti delle nuove condizioni e dall’inattesa libertà.
Si formavano i partiti e dai vecchi se ne aggiungevano dei nuovi, persino al movimento dell’Uomo qualunque fece il suo ingresso nella città.
L’avvocato Pancamo era stato designato Prefetto dagli alleati, alla carica di Sindaco era stato preposto l’avvocato Mario Bonfiglio.
Fu questi che saputo del mio ritorno, mi chiese di tenere una conferenza sulla resistenza nel teatro allora “Margherita”. Era ancora debole le mie ferite non erano ancora rimarginate. Mi presentai tuttavia alla ribalta del teatro. Era affollatissimo, ancora nessuno sapeva cosa fosse stata la resistenza, la quale si era svolta appunto dal centro verso il Nord del nostro paese. In Sicilia nel meridione la guerra era già passata. Sul palco sedevano tutte le autorità della città e, anche il vescovo vuole rappresentare il movimento cattolico.
Cito questo avvenimento perché fu il primo all’ultimo fatto unitario della vita della nostra città. Penso che la mia relazione sulla resistenza, inevitabilmente drammatica, sollevò lo spirito di tutti gli uditori, anche il vescovo si alzò e mi venne incontro.
Poi la vita, con tutte le gravi difficoltà, riprese il suo corso.
Ora sono passati tanti lunghi anni ricordi diventano romantici.
di Salvatore Di Benedetto