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contadino nella valle dei templi
contadino nella valle dei templi

La Valle dei Templi di Agrigento: il caratteristico paesaggio agrario

5 Agosto 2018 //  by Elio Di Bella

Il paesaggio agrario della Valle dei Templi

di Giuseppe Barbera e Michele Di Rosa
1. Matrici e immagini di un paesaggio.

La natura è meglio di quanto siano gli uomini; con quale manto meraviglioso avvolge questi grandi simulacri di una religione antica! Il fogliame argentato degli ulivi, i fiori rosa dei mandorli, i verdi ger­mogli dei fichi, l’erba alta, i fiori di campo stendono un meraviglioso manto sul grande cimitero1.

Così scriveva nel 1872 Auguste Laugel, individuando in forma or­mai canonica il rapporto tra le emergenze archeologiche ed il loro ambiente, così come si era andato formando sin dal secondo Sette­cento prima nella cultura illuministica e poi in quella romantica. Lo studio scientifico delle prime e la gestione del secondo hanno seguito, tuttavia, strade affatto separate (sino ad arrivare ai ben noti paradossi del presente). Così come l’assunzione da parte dell’Unesco nel 1997 dell’intera Valle a «patrimonio dell’umanità» sembra più l’esito di un processo distante che una diffusa conquista di dimensione locale. Ma proprio su quella immagine della Valle dei Templi sembra oggi si può tornare a dibattere (con la sola sostituzione del termine «natura» con quello di «paesaggio»), se è vero che localmente si manifesta una maggiore consapevolezza e che la questione dell’abusivismo edilizio si avvia ad una composizione.

Il paesaggio della Valle dei Templi possiede una doppia matrice, e pertanto una doppia scala di valori storicizzati. La prima, antica, lega­ta al paesaggio produttivo dell’arboricoltura «asciutta», che lì si è sviluppato fino alla metà del nostro secolo in forma affine a consimili territori, accompagnato, dove vi era disponibilità di acqua irrigua, da quello della agrumicoltura e della frutticoltura; la seconda, recente, legata alla «scoperta» dei ruderi e alla individuazione dello stesso co­me «scenario», secondo la pista aperta dai viaggiatori e poi battuta dal mondo culturale (e politico) mediante la chiave del concetto di paesaggio che in Italia si è sviluppato.

Da una parte dunque un paesaggio colturale che conserva ancora sostanzialmente intatti, malgrado gli evidenti segni del degrado, i carat­teri propri di quel sistema produttivo tradizionale del mandorlo e dell’olivo predominante in Sicilia fino agli anni sessanta di questo seco­lo, e che incarna una pagina importante della storia dell’agricoltura sici­liana: quella che, a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo, ha visto la valo­rizzazione attraverso l’arboricoltura da frutto di vaste aree prima domi­nate dal pascolo, dai seminativi, dalla macchia degradata. Da un’altra parte, un paesaggio culturale, che verrà acquisito al patrimonio nazio­nale, essendo legato alla individuazione della Valle in termini di «qua­dro paesaggistico» e di «fonte d’istruzione», secondo quel processo che riconosce il valore «estetico» dei beni e di «testimonianza» della memo­ria collettiva nazionale (e che porterà, qui come altrove, ad un allonta­namento del patrimonio stesso e dei relativi interessi dalla base popola-re)2. Due paesaggi, insomma, i cui rapporti sono entrati in crisi, per le mutazioni degli scenari economici esogeni e l’inadeguatezza ad adattar­visi di una «natura» (intesa come dato naturale, archeologico e di co­strutto storico) che oppone resistenza alla trasformazione, per la sosti­tuzione del «viaggiatore» col turista, probabilmente interessato più a contemplare «belle immagini»3 che non a viverle nel loro spessore.

Tutto ciò evidentemente non esaurisce (e non giustifica!) le que­stioni dell’assetto del territorio, e in particolare dell’abusivismo4 (questioni delle quali non si fa qui che un necessario cenno, rimandando ad altra più opportuna sede la trattazione), ma rende evidente come per una rilettura «finalizzata» del paesaggio della Valle dei Templi oc­corra possedere quell’immagine che ne descrive disincantatamente il cambiamento, perché se è vero che ormai «il mito ha sostituito la valle», come ha scritto P. Cervellati5, e che l’ambiente dei Templi, il genius loci che li ha generati, è compromesso, tale immagine è l’unica che per­mette di riconoscere la risorsa insita nel sistema paesaggistico e di guar­dare di conseguenza anche ai «segni della presunta modernità»6 come a momenti, costruttivi o distruttivi che siano, della storia del paesaggio.

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Categoria: Agrigento RaccontaTag: agrigento, valle dei templi

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