L’11 Luglio del 1943 le truppe Angloamericane sbarcavano in Sicilia, nella spiaggia di Gaffe, dove un plotone di marines toccò il suolo siciliano seguito da altre unità che formavano la Josse <force> del generale di divisione Lucian K.Truscott,alcune delle quali sbarcarono anche in altri punti del Licatese ed a Gela.
La difesa del nostro territorio era affidata al prof. Ignazio Pino Todaro di Palma Montechiaro, egli dal mese di settembre del 1941 guidava la 207ª divisione costiera. I tedeschi in particolare opposero una certa resistenza affondando, 2 motozattere ed una nave Liberty americane, ma alla fine dovettero soccombere. I marines quindi si diressero verso il paese di Palma Montechiaro dove le truppe italo tedesche opposero una resistenza piu consistente e causarono ingenti e perdite agli alleati.
A Palma gli anglomericani, all’alba dell’11 luglio, ebbero i primi contatti con i contadini che abitavano nei casolari. Alcuni colpi di artiglieria pesante diretti contro le postazioni italiane nel ponte ferroviario di Mandranova e sulla statale 115 convinsero i difensori ad arrendersi o a darsi alla fuga mentre i soldati ed i bersaglieri della caserma Mirtilli rimasero al loro posto fino all’estremo sacrificio.
Alla Mirtilli i soldati ed i bersaglieri si difesero strenuamente con la loro mitragliatrice breda fino a quando quest’ultma non si inceppò, poi morirono con le armi in pugno. Un altro episodio di eroismo si verificò nella stessa mattinata dell’11 luglio: due carabinieri in servizio alla stazione di Palma, Mario Usi e Francesco Canepari, si imbatterono in alcuni marines che poco prima avevano ucciso un bersagliere. Usai, riparato dietro una finestra uccise due nemici, ma un terzo lanciò una bonba a mano che ferì gravemente i carabinieri.
Usai morì subito, Canepai venne soccorso, e poi fatto prigioniero.
L’episodio non ebbe riscontri. Fu difficile per gli americani proseguire da quel lato verso Agrigento, che appariva ben difesa, per cui preferirono aggirarla da Canicattì ed entrare da nord est, mentre la città veniva bombardata dal mare e dal cielo per colpire i centri di possibile resistenza.
Obbiettivi militari erano la ” Crispi ” il distetto militare e la scuola elementare. La città resistette quasi 2 giorni con alcuni cannoni in postazione a Cannatello ed il treno armato (che aveva il compito di difendere il porto di Licata e che spesso arrivava fino ad Agrigento) che si trovava nel tronco di binario vicino alla galleria di contrada Caos che però venne spezzonato e mitragliato finché un colpo ben centrato non lo spezzò in due costringendo i soldati ad abbandonarlo.
Giorno 8 Luglio 1943, era stato dichiarato in città lo stato di emergenza dato che le truppe Alleate avevano consolidato la loro posizione nella pianura adiacente al centro abitato di Licata ed ora si stavano per muovere verso il capoluogo.
Alle ore 6 comparvero all’orizzonte alcuni aerei nemici che, giunti nel cielo della città di Agrigento, sganciarono una serie di bombe.
I destinatari del carico erano i soldati tedeschi che avevano trovato sistemazione nella colonia agricola dell’ospedale psichiatrico, dove avevano realizzato alloggiamenti ed avevano depositato armi e munizioni in loro dotazione. Fu un pomeriggio terribile e sotto le macerie di alcuni padiglioni del manicomio trovarono la morte il dottor Raimondo Diana, che ricopriva la carica di direttore amministrativo, e l’ economo ragioniere Vincenzo Pinto.
La città rimase sconvolta da questo avvenimento.
Fino ad ora la guerra era stata un fatto lontano.
Mai però si sarebbe immaginato che si arrivasse a sganciare le bombe nel nostro centro abitato.
Vero è che il mito dell’ inviolabilità del nostro territorio era stato smontato con altri bombardamenti avvenuti in precedenza a Porto Empedocle ed in altre località strategiche dell’ isola, ma il cielo agrigentino fino a quel momento era stato salvaguardato e sembrava che nulla potesse turbare la tranquillità che malgrado tutto fino a quel momento continuava a regnare all’ ombra dei templi.
Questi ultimi, per inciso, furono opportunamente protetti per l’ interessamento del soprintendente all’ antichità dell’ epoca il dottor Pietro Griffo. Due giorni dopo, il 12 luglio, verso le 9 del mattino, 36 quadrimotori americani “Liberators” tornarono sopra le teste degli agrigentini volando con il sole alle spalle per rendere più difficile il compito della contraerea e potere agire in tal modo senza subire eccessivi danni.
In particolare gli aviatori alleati volevano colpire la stazione ma venne centrato in pieno il ricovero di via Pirandello dove aveva cercato riparo dalle bombe un numero di persone che forse non riusciremo mai a conoscere, ma si pensa che fosse superiore a mille.
Il prof. Mario La Loggia racconta che nei registri dello stato civile figurano ufficialmente riconosciuti dall’ufficiale sanitario dell’epoca, il dott. Giovanni vadalà, solo 185 individui.
Il ragioniere Nicolò Gallo, attento raccoglitore di notizie di vita cittadina, afferma che le vittime sarebbero state ufficialmente 343.
Le bombe distrussero anche quasi tutto il vecchio storico Liceo “Empedocle” e l’interessante museo di storia naturale che vi era annesso.
Del prof. Beniamino Sciascia , illustre maestro di latino e greco per tante generazioni di giovani, che quella mattina si era recato a scuola, non si trovò alcuna traccia. Eguale sorte toccò al prof. Vito Contrino che insegnava nel vicinissimo Istituto Magistrale. Ad essi è stata dedicata una salita cittadina.
Questa non fu l’ unica zona colpita,anche i quartieri di San Michele, di via Duomo, di via Porcello e di via Garibaldi subirono gravi danni dagli aerei alleati il giorno 15, mentre dal mare arrivarono le navi che facevano fuoco contro la nostra città.
I morti rimasero tra le macerie rendendo l’ aria maleodorante, senza contare molti vecchi e bambini che morivano di fame.
Le bombe avevano distrutto scuole, uffici, cose e altro.
Ci vollero molti anni prima di tornare alla vita di prima. Il dottor Ermogene La Foresta, a quel tempo tredicenne, racconta: “Per sentirci più sicuri ci rifugiammo nelle gallerie ferroviarie insieme ai soldati. Quando gli americani sbarcarono, uscimmo dalle gallerie e ci vedemmo venire incontro ai soldati che offrivano cioccolatini e caramelle ai bambini”.
A Girgenti il passaggio al governo fascista non ebbe contraccolpi perché molti uomini politici non ebbero problemi a cambiare partito. Questo cambiamento non traumatizzò il popolo, perché restarono gli stessi uomini a gestire la comunità agrigentina e la vita continuò senza scossoni e senza colpi di scena. Ad ogni modo cambiarono molte cose nel modo di amministrare la città.
Le figure umane che si alternarono in questo periodo furono di vario spessore, ma colui che spiccò di più fu il conte Alfonso Gaetani. Al posto del sindaco Mussolini aveva nominato il podestà; il primo fu Ignazio Altieri che valorizzò molto San Leone, il lido di Agrigento. Un altro podestà che si rese attivo fu Ottavio Lo Presti, in questo stesso periodo Mussolini venne ad inaugurare Via S.Nicola e parlò alla folla.
Altri podestà che governarono a lungo furono l’avvocato Corsini ed il commissario Ugo Moncada. Con l’arrivo degli alleati e la caduta del regime fascista la figura del podestà scomparve e si tornò presto a quella del sindaco. Nel 1943 l’avocato Mario Bonfiglio venne nominato dal prefetto Pancamo sindaco di Agrigento, per gestire la città nel difficile periodo dell’emergenza.
Il dopoguerra fu molto difficile e la ricostruzione impegnò notevolmente tutte le forze cittadine. Anche le scuole in quel periodo vissero anni difficili.
Questo lavoro è stato molto interessante ed istruttivo, ci ha permesso di conoscere gli avvenimenti della nostra città che non si trovano sui libri di storia ma che costituiscono la nostra storia.
Numerose sono le testimonianze delle esperienze e vicissitudini di uomini e donne comuni. Essi hanno raccontato la loro storia, non sono i grandi avvenimenti e le grandi battaglie, ma la vita di tutti i giorni vissuta ogni giorno con la sensazione che avrebbe potuto essere l’ultimo.
• 1940: Nella prima parte di quest’anno Agrigento vive un periodo di tranquillità e di pace, ma già nel mese di giugno l’unione fascista degli industriali emanò le disposizioni per la predisposizione di rifugi di fortuna, che fu guidata dal prefetto Alfredo Carpaci.
Il 10 giugno anche gli agrigentini ascoltarono, in piazza Vittorio Emanuele, il discorso di Mussolini che annunciava l’entrata in guerra accanto alla Germania e contro la Francia e la Gran Bretagna.
Il 18 luglio venne inaugurata la sede per la sezione delle Forze Armate, e alla stazione il 9 ottobre venne aperto un posto di ristoro per i militari in transito.
Con il passaggio al governo fascista il sindaco venne sostituito dal podestà.
• 1941: Nei primi di maggio molti universitari agrigentini, risposero al richiamo alle armi deciso dal capo del governo, e partirono 11 luglio.
• 1942: Ad Agrigento gli effetti della guerra iniziarono a farsi sentire, e i generi alimentari vennero razionati e distribuiti con l’utilizzazione della tessera.Tanto che nelle macellerie si utilizzò il metodo della vendita della carne in ordine alfabetico, per evitare le estenuanti attese. Ad aprile vi fu la raccolta di lana, per indumenti da inviare ai soldati al fronte.
• 1943: Per Agrigento questo fu l’anno che determinò la fine del fascismo e l’arrivo degli Angloamericani. Una pioggia di bombe si abbattè sulla città provocando vittime e devastazioni. Subito dopo i bombardamenti giunsero in città le truppe Alleate, che nominarono come prefetto Antonio Pancamo, che a sua volta nominò Mario Bonfiglio.
• 1944: Il 18 maggio scoppiò un deposito di munizioni in contrada Caos, la deflagrazione scoperchiò la casa natale di Pirandello distruggendola parzialmente.Il 10 maggio anche la nostra città salutò la fine della guerra, e a metà di luglio venne inaugurata la casa del soldato.