A Racalmuto si sentì parlare per la prima volta di “Mafia” nel 1882 quando le Forze di Polizia sferrarono il primo colpo a questa potente organizzazione malavitosa.
Tutto era cominciato sedici anni prima, quando due proprietari terrieri, Salvatore Scimè detto Cicolino e Calogero Mendola, vennero sequestrati dopo un po’ di tempo a Racalmuto si mormorava che i due mezzadri fossero stati assassinati dalla “Mafia” e i loro cadaveri occultati.
Un giovane brigadiere dei carabinieri di nome Ignazio Calisto, Comandante della Stazione Carabinieri di Racalmuto, avviò le indagini tra le molte difficoltà dovute all’omertà e si rese presto conto che dietro la scomparsa di Salvatore Scimè e Calogero Mendola vi era una vera e propria organizzazione che controllava ogni attività economica e non ammetteva concorrenti. Il Brigadiere Calisto nel 1882 arrestò numerosi esponenti, persone insospettabili della nascente borghesia agrigentina, vecchi nobili, ma anche preti e agiati proprietari terrieri.
Dagli interrogatori emersero misfatti di ogni gene dell’organizzazione e venne soprattutto alla luce l’esistenza di una ramificata cosca mafiosa con un organigramma ben strutturato, di cui si individuarono anche i componenti più importanti che presto emersero come responsabili di molti dei crimini che si erano verificati nell’intera provincia e rimasti fino ad allora impuniti. Alla fine delle indagini fu possibile conoscere il luogo di sepoltura di Salvatore Scimè e Calogero Mendola: una buca di una zolfatara abbandonata
Gli autori materiali del duplice delitto avvenuto sedici anni prima furono identificati dai carabinieri, si trattava e dei mafiosi Nicolò Bartolotta e Alfonso Centura. Il primo si era stato già assicurato alla giustizia durante la prima retata ed era in prigione; il secondo era riuscito a fuggire ed aveva fatto perdere le tracce, divenendo latitante.
Le indagini furono lunghe e difficili, ma finalmente Brigadiere Calisto un confidente della polizia rivelò che il 9 gennaio 1884 il Centura in una casa in contrada Fiumite, a Naro. Con un “blitz” venne catturato.
Dalle indagini sulla cosca mafiosa intanto si scopri che un tale ex minatore Calogero Castiglione, latitante, era autore di svariate rapine, un tentato omicidio, e altri reati commessi nel territorio di Castrofilippo e Canicattì, dove era particolarmente temuto.
Il mafioso riusciva a farla franca grazie alla conoscenza del territorio e perché godeva di molte protezioni nell’ambiente dei minatori.
Finalmente grazie alle indagini si venne a sapere che il Castiglione aveva trovato alloggio in una capanna in contrada Gibellina e, dopo una serie di appostamenti, venne acciuffato. Per questa e per le altre imprese, al Brigadiere Calisto venne concesso l’encomio solenne.
fonte Notiziario storico dell’Arma dei carabinieri, anno 2, n. 2