Sono scomparsi anche antichi mestieri come quello del “Sagginaro”. Saia stava per Saggina , similmente ad ajna che ancora, ad Agrigento sta per avena. Chi ama i proverbi sa che ancora ad Agrigento la parola “ajna” viene adoperata in un detto molto colorito che parafrasando gli evangelici termini di trave e festuca li sostituisce con “palu” e “nlu d’ajna”.
“Sajaru” era chi lavorava la “saja, la saggina cioè,e un sagginaro se così vogliamo proprio italianizzarlo, ad Agrigento fu molto famoso per la sua longevità . E le madri, la mia compresa, ben augurando ai figli speravano che potessero vivere quantu “u vecchiu Sajaru”.
Questi, per mestiere, intrecciava, proprio con quella saggina, ventagli detti anche “muscaiora” perché oltre a fomentare il fuoco, servivano anche a cacciare via le fastidiose mosche non rare in quei tempi poco rispettosi dell’igiene. E con la cordicella di saggina da lui stesso intrecciata riguarniva i fondi delle sedie e costruiva scope e scopetti di varia foggia e grandezza. Si chiamava Antonio Cirino, era nato a Comitini nel 1796 ma visse per tutto l’intero ottocento proprio a Girgenti ove morì nel marzo del 1901, dopo aver dato luogo ad una simpaticissima vicenda che Luigi Pirandello immortalò nella novella “ Il Vitalizio” edita nel 1902, proprio un anno dopo la morte del protagonista.