“…In lacu Agrigentino oleum supernanat nec longe inde collis Vulcanius, in quo qui divinae rei operantur, ligna vitae super aras struunt ,nec ignis opponitur in hanc congeriem…” ( Nel lago agrigentino non lontano dal colle di Vulcano galleggia olio, coloro che svolgono cerimonie religiose dispongono sugli altari i legni della vita , neppure il fuoco si oppone a questo composto).
Queste poche righe dello storico Solino costituiscono una delle poche e frammentarie testimonianze lasciateci dagli scrittori antichi su un culto a Vulcano, dio del fuoco, ad Agrigento, che molto probabilmente si teneva nel tempio dedicato allo stesso nume.
Il tempio dunque si trovava presso un lago, ma difficile dire se nel brano viene indicato un lago naturale o un lago artificiale realizzato dagli Agrigentini nel V secolo a.C. perché il piccolo bacino non c’è più da molto tempo e di esso non parlano quasi più le fonti posteriori. Solino dice che presso il lago i sacerdoti operavano magici riti durante i quali venivano posti sull’ara dei sarmenti, che, quantunque verdi, ardevano vivacemente e se la fiamma toccava i sacrificatori senza bruciarli, era segno che gli dei avevano gradito le offerte.
Sul fatto poi che sul lago era visibile anche dell’olio galleggiante molti hanno fatto le più curiose congetture.
Lo storico di Sciacca Tommaso Fazello ritiene di avere individuato il tempio di Vulcano in quello che sorge sulla collinetta opposta al tempio dei Dioscuri, nel fondo detto La Meta, raggiungibile attraverso un viottolo e presso cui si trovano anche le tracce dell’antica Colimbetra.
Il visitatore non vede che due colonne (in origine erano 34) senza capitelli e gli esigui tratti dello stilobate, poiché solo questo è rimasto dell’antica costruzione dorica, esastilo periptera, con cella tripartita realizzata probabilmente nel V secolo a.C.
La sua lunghezza era di metri 37,89 e la larghezza di metri 19,26.
Per i listelli tondeggianti aggiunti alle scanalature delle due colonne ancora ritte alcuni studiosi pensano ad influssi ionici o che addirittura il tempio fosse d’epoca romana, ma si tratta di considerazioni errate.
D’altra parte gli studi su questo tempio sono molto recenti. Non ebbe neppure la considerazione della commissioni borboniche che studiarono in lungo e in largo la Valle dei Templi e solo nel 1928 l’archeologo Pirro Marconi portò alla luce le strutture dopo che il capitano Hardcastle acquistò il podere su cui il tempio sorge.
Da tali scavi è stato possibile anche individuare un tempietto preesistente che era stato inglobato nella cella dai costruttori agrigentini quando costruirono il cosiddetto tempio di Vulcano.