
Nel 689 a.C. colorii rodio-cretesi, guidati rispettivamente da Antifemo e da Entimo, dopo aver combattuto contro la città sicana di Onfake, fondarono Gela (Licata), dal nome del fiume così chiamato alla foce dai Siculi, che nel loro linguaggio significa caligine, fenomeno che si può osservare ancora oggi, all’alba, negli inverni rigidi.
Alle sue sponde la Pizia di Delfi indirizzò i coloni per la fondazione della città, tenendo conto dei rapporti commerciali e culturali esistenti tra Sicani e Greci fin dall’epoca minoica.
Il fiume, come allora per i Cretesi, costituirà la via di penetrazione verso l’interno dell’isola prima per i Geloi (fine VII secolo a.C.) e poi per gli Akragantini (VI secolo a.C.) che colonizzeranno numerosi centri indigeni tra i quali Kakyro (Monte Saraceno). Alla colonizzazione mitica dell’epoca minoica seguì quella storica che lasciò tracce indelebili in un territorio importante per la sua posizione strategica.
el 581 a.C. coloni geloi, guidati da Aristinoo e Pistillo, fondarono Akragas (Agrigento), dal nome dell’omonimo fiume. Tiranni di Gela furono Cleandro, Ippocrate, Gelone e Gerone – questi ultimi si trasferirono a Siracusa, impadronendosi del potere – e Polizelo. Nel 424 a.C. si celebrò a Gela un congresso che riportò la pace tra le città siceliote doriche ed ioniche. Nel 405 a.C. Gela venne distrutta dai Cartaginesi. Ripopolata da Timoleonte di Corinto nel 338 a.C., venne distrutta definitivamente nel 282 da Finzia, tiranno di Akragas, che deportò gli abitanti nella nuova città di Finziade (Terranova di Sicilia, odierna Gela), dove nel 508 a.C. lo spartano Dorieo aveva fondato Eraclea, subito dopo distrutta dai Cartaginesi. Nel 310 a.C. presso rimerà i Siracusani, guidati da Agatocle, vennero sconfitti dai Cartaginesi.
Nel 264 a.C. sulle rovine di Gela venne costruita dai Geloi, rientrati da Finziade, la città di Alicua, dal fiume Alico (Salso), nome subentrato a quello glorioso impostogli dai Siculi al loro arrivo nell’isola. La presenza del Greci nel territorio è documentata per prima su monte Poliscìa, Identificato con l’Ecnomo, nella cui sommità era stato collocato il toro di bronzo, simbolo del dio fluviale Gela, che passò alla storia come il toro di Falaride. Su questo monte, alla foce occidentale del Salso Imera, fu fondata Gela, la cui vita fu limitata alla fase iniziale (VII secolo a.C.).
A sud-est un santuario greco (VII-V secolo a.C.), un thesmophorlon, considerate le statue fittili raffiguranti Atena Lindia ed altre divinità ctonie, Demetra e Kore, conferma la permanenza dei Geloi in quella che In seguito sarà ricordata come una semplice borgata.
A sud-est del santuario, sulla spiaggia, nel luogo conquistato dai coloni rodio-cretesi, chiamato Lindioi II, una necropoli con sepolture ad enchytrismòs e ad inumazione testimonia la loro presenza di poco anteriore alla fondazione della città.
La meravigliosa baia Mollarella o Monachella (mólos Gliela) in parte costituisce l’antico porto fluviale di Gela arcaica, oggi insabbiato a causa dell’interruzione del ramo occidentale del Salso Imera, nei pressi dello Stretto, che sarebbe opportuno ripristinare per un suo recupero di notevole interesse storico-ambientale.
Dall’area di un santuario greco della contrada Casalicchio (VII-IV secolo a.C.), dedicato a Demetra e Kore, provengono i numerosi reperti custoditi nel Museo Archeologico (statuette fittili delle dee ctonie, terracotte votive e frammenti di statuette fittili di Atena Lindia). Al periodo greco arcaico appartengono i tre xoana di contrada Tumazzo (VII secolo a.C.), che costituiscono i i soli esemplari di scultura in legno che si possono ammirare dell’arte greca, di grande importanza per l’intera Sicilia, i frammenti di ceramica protocorinzia della contrada Caduta (VII secolo a.C.), i reperti della contrada Jafi o Gaffe consistenti in frammenti ceramici a decorazione geometrica (VII secolo a.C.), una lekythos a figure nere, ceramica corinzia ed un frammento di cratere a figure rosse con sileno (VI secolo a.C.), il phrourion di monte Sole (VI secolo a.C.), inserito in un contesto paesaggistico-ambientale di eccezionale bellezza, il phrourion della contrada Falamandrina (VI secolo a.C.), nelle cui vicinanze si trova una tomba, interamente intagliata nel calcare e di notevoli dimensioni, detta del guerriero, i resti della città con la cinta muraria pseudo megalitica di monte Mandranova (VI secolo a.C.), identificata con Er-besso II, abitata fino al III secolo a.C., la necropoli di portella di Corso dalla quale provengono corredi tra i quali lekythoi a figure nere (VI secolo a.C.) ed a figure rosse (V secolo a.C.), lekythoi ariballiche con figure muliebri (IV secolo a.C.), una lekythos ariballica corinzia a fasce parallele brune e figure zoomorfe sulla spalla, e la fattoria della contrada Landra (VI-IV secolo a.C.), accanto ad una sorgente che nasce in una galleria scavata nella roccia, presso la quale sono stati rinvenuti due grandi pithoi (V-IV secolo a.C.). Nel rione Marina, alla foce orientale del Salso Imera, venne trasferita Gela, che visse la sua storia tra luci ed ombre (VI-III secolo a.C.).
alcuni facoltosi Alicualol, costruendovi le loro ville. Considerati i buoni rapporti ed i luoghi di comune frequentazione, è probabile che gli abitanti di Mattorio abbiano convissuto con quelli di Gela.
Del V secolo a.C. sono la cinta muraria e parti di fortificazioni nei pressi del Castel Sant’Angelo. Tra I reperti più interessanti sono da elencare l’amia del VI secolo a.C., la statua marmorea di Demetra del V secolo a.C., l’Iscrizione geloa su pietra del V-IV secolo a.C., conosciuta come Kaibel 256, con cui il senato di Gela premia con corona d’ulivo il ginnasiarca ed undici efebi del Gymnasium, i monili d’oro del IV-III secolo a.C. A Monserrato si conservano ancora blocchi calcarei, che potrebbero appartenere ad un insediamento militare greco di controllo della zona, la cui struttura è compromessa dalle vicine abitazioni.
Di origine greca è l’acquedotto Fontanella, molto simile, per tipologia costruttiva, a quelli di Agrigento e Siracusa descritti da Biagio Pace, utilizzato anche in periodi successivi.
Monte Disusino accoglie nel pianoro una città di origine sicula, esistente nel IV secolo a.C., identificata con Eruke (Callia, in Microbio, Saturnali V, 19, 25, 6), di cui sono evidenti tratti della cinta murarla, che si estende per 6 km circa, con tre porte e resti di alcune abitazioni in discreto stato di conservazione. Una città del IV-III secolo a.C. con ambienti abitativi e parte della cinta muraria, che si sviluppa per 3,5 km circa, si trova a poggio Marcato d’Agnone, i cui scavi meritano di essere ripresi per completare la ricerca sistematica del sito e conoscerne meglio la struttura urbanistica.
Sul monte Aratato del Muro è identificata la città di Ariaito, ricordata dalla Cronaca Lindia XXV, Lindos II, 171 per un grande cratere con epigrafe offerto dal Gelol ad Atena Lindia come parte del bottino di quella città.
Aratato del Muro fa presupporre la presenza di mura ed in ogni caso di difese naturali, come la parete a nord-ovest che scende a perpendicolo per un centinaio di metri.
Presso l’antica colonia rodio-cretese Plinio ricorda un lago sulle cui rive cristallizzava il sale e Solino afferma che non lontano da Gela era un lago che con il suo cattivo odore teneva lontani coloro che vi si avvicinavano (lago Mollaka). Solino ricorda inoltre presso Gela un lago, le cui acque erano salutari agli uomini e nocive ai serpenti (Petrulla dei laghi).
Meritano di essere ricordati i campi geloi (piana di Licata) decantati da Virgilio nel III libro dell’Eneide. Interessanti erano i thesauroi di Gela ad Olimpia e Delfi. Al santuario di Zeus era stato donato da Gerone un elmo bronzeo etrusco, mentre al santuario di Apollo una statua bronzea a grandezza naturale (1,80 m) dell’auriga con quadriga, dedicata al dio da Polizelo per la vittoria nei giochi pitici (474 a.C.). In vari siti archeologici insistono emergenze architettoniche e manufatti di epoca greca, consistenti in fortificazioni, abitazioni, palmenti, silos, cisterne, tombe, pinakes, che attendono di essere inseriti in un programma di tutela e di salvaguardia, se non si vuole assistere alla loro definitiva scomparsa, come è avvenuto per il grandioso leone, simbolo di Ercole, scolpito nella viva roccia allo Stretto. Tommaso Fazello, che lo vide, così lo descrive: “Correndo poi di continuo il fiume Salso ed entrando fra terra nel paese Geloo, per uno stretto canale che è tra i colli, lascia da man destra un’alta rupe, chiamata volgarmente Rocca Stritti, nella cui cima è scolpito in pietra viva l’immagine di un gran leone, d’antichissima maniera, il quale si vede dai viandanti dalla via comune e da quei che sono nel paese di Gela”. Anton Mario Serrovira nel suo manoscritto ci informa che il leone fu distrutto nel 1600 da Emanuele Figueroa, capitan d’armi spagnolo, sperando stupidamente di trovarvi dentro un gran tesoro. Dal leone deriva il nome di Licata (leo kata = città presso il leone), abbandonando quelli storici legati al fiume Sicano-lmera-Gela-Alico.
di Angelo Schembri in Agrigento Nuove Ipotesi n.2 marzo-aprile 2005