Certo Agrigento, famosa per i suoi templi, non lo è altrettanto, né potrebbe onestamente esserlo, per le sue costruzioni civili degli ultimi due secoli: il motivo sarebbe da ricercare forse nell’ambito socio-culturale della nostra città, espressione di un ambiente prevalentemente piccolo-borghese, impiegatizio e contadino.
Le abitazioni civili appaiono in genere molto trascurate con arbitrarie intrusioni, fatte dai nuovi proprietari, nei vecchi prospetti. Né diverso è il discorso che si può fare per le chiese: tutte noi abbiamo visto nascere una rosticceria lungo il muro della chiesa di san Pietro, tutte abbiamo atteso da decenni che venisse ricomposta la bella facciata barocca della chiesa del Collegio di Maria, le cui pietre rimosse sono state numerate e conservate (ma è poi vero? ci possiamo credere ancora?).
La mia chiacchierata dunque, perché altro non è, non vuole essere una « ricerca del tempo perduto » sia perché non attiene alla sfera dei sentimenti, ma alla curiosità di conoscere luoghi e cose di un tempo troppo remoto per noi. sia perché quello che verrete a conoscere non penso proprio che possa dare adito a rimpianti. Da un certo punto in poi, e solo per qualcuna di noi. la curiosità per quello che « c’era prima » si vestirà di ricordi e forse anche di nostalgie.
E a ridestarli potrà essere la menzione della bella Villa Garibaldi, la verde collina con la sua maestosa e comoda scalinata d’accesso e i suoi viali ombrosi e l’emiciclo nel quale prendeva posto la banda cittadina, o della Villetta Maggiotto che si trovava nello spiazzo, dove oggi sorge l’Albergo Amici e tutte quelle costruzioni (dall’Auditorium alla casa Malogioglio) che l’hanno brutalmente soppiantata, sostituendosi alle aiuole, alla fontana rotonda e al chioschetto con sedili e fiori (gazebo diciamo noi oggi, berceau lo chiamavano più dolcemente le nostre mamme). (E come per incanto al ricordo ritorna in bocca il sapore ncn della delicata « madeleine », ma del robusto panino imbottito con cui, nei bei pomeriggi di sole, vi si andava a far merenda).
Villetta Maggiotto che si trovava nello spiazzo, dove oggi sorge l’Albergo Amici0 ancora la menzione, dicevo, del teatro Regina Margherita dove i nostri genitori puntualmente partecipavano ogni anno a quel rito, fatto di mondanità e di cultura insieme, che era la stagione lirica.
Non vorrei cadere nel luogo comune del « laudator temporis acti » e d’altra parte Agrigento non è mai stata « Fiorenza dentro della cerchia antica ». ma ragionevolmente penso che la nostra città, agli inizi di questo secolo e forse anche per un buon terzo di esso, abbia avuto un tono di vita culturale e civile più elevato di quello che è toccato di vivere a noi ed ai nostri figli
Infatti ad eccezione delle Panatenee che da tre anni vivificano le nostre estati, e di qualche spettacolo non sempre di rilievo, i nostri figli non hanno mai assistito in città ad uno spettacolo teatrale degno di questo nome.
Ma penso ormai che sia venuto il momento di cominciare questa nostra visita della città a ritroso nel tempo, prima ancora che nascessero le cose che ho ricordato e che da tempo sono state anch’esse cancellate, partendo proprio da quella piazza dove un tempo si apriva l’ingresso della Villa Garibaldi.
Bisogna andare indietro di centotrentacinque-centoquarant’anni: parliamo di Girgenti prima del 1860.
villa garibaldiSulla odierna Piazza V. Emanuele, nel pendio della collina su cui sorgerà la Villa Garibaldi, si trovava il Calvario; tutto il piano di Porta di Ponta non era livellato e fino al Calvario era ingombro di sassi, di erbe, di casolari luridi, detti stazzoni sparsi dove oggi sorge la Prefettura e lungo la linea del palazzo Scaglia, al di sopra della odierna via Gioeni: e in mezzo rottami di tegole, di brocche, di materiale in genere proveniente dalle fornaci e ancora una sorta di lago con acqua piovana stagnante, da cui veniva tratta la creta e la cui acqua serviva per impastarla.
« Brutto il fabbricato detto ‘trappeto’. sgradevole il fondaco che serviva da ricovero di animali e vetturini presso l’ingresso della città » (Diana). A destra della vecchia porta, dove oggi sorge il palazzo Caratozzolo. sorgeva la casa Argento, il cui abbattimento non può destare rimpianti se è vero che era brutta e mal costruita. Di seguito correva, per un centinaio di metri, un grosso muro, avanzo delle mura chiaramontane ed altri avanzi di esse si trovavano in via Ravanusella presso la chiesa di S. Lucia, mura che furono trascurate sempre, in parte abbattute e le cui torri furono adibite a botteghe (una ospitò a lungo il macello). A sinistra della Porta sorgeva il palazzo Mendolia, il pendio a sud di esso era una valle di fichidindia, mentre verso est si allungava, giù fino alla strada che corre lungo la chiesa di san Calogero, una villetta nella cui parte superiore si trovava un marciapiede, lungo cento metri e largo tre, che serviva da pubblico passeggio. Il giardinetto era nato nel 1850 per interessamento di Pasquale Flores, un colonnello del reggimento di fanteria che aveva stanza in città.
Per non essere da meno, l’intendente Palizzolo decretò che sulla collina, sul cui fianco sorgeva il Calvario, nascesse la villa comunale, Villa M. Teresa, più tardi Villa Garibaldi, e per curarne i fiori e le piante, fu fatto venire da Palermo un fioraio e nel 1855 gli fu costruita la casa di abitazione, attaccata alla chiesetta della Madonna delle Grazie. Casa e chiesa che alcune di noi ricordano ancora sicuramente.
In tale occasione il Calvario venne trasferito sulla collina di fronte a Porta di Ponte, dentro un semicerchio scavato nella roccia. La collina era selvaggia, coperta di fichidindia e cespugli e in alto vi si trovavano la chiesa e il convento di san Vito, poi trasformati in carcere.
Il 1858 segna un grande rivolgimento urbanistico per la nostra città: le rozze case dei vasai furono abbattute, il piano fu sistemato, il lago colmato e, con grande solennità, fu posta, dal vescovo Lo Jacono, la prima pietra di quello che sarebbe dovuto essere un grande ospizio di beneficienza e che fu poi il Palazzo della Provincia.
Nel 1864 fu abbattuta la casa degli Argento e per allargare la piazza anche la villetta, che aveva fatto costruire il colonnello Flores, fu coperta di terra. Una delibera del Consiglio civico del 17-5-1867 ordinò l’atterramento della vecchia Porta di Ponte che avvenne nell’ottobre del 1868 e in sostituzione di essa fu costruita la nuova Porta Atenea. Tutto il piano fu livellato nel 1870 con riempimento e marciapiedi spaziosi e tra il 1872 e il 1876 sorsero, una dopo l’altra, le quattro villette.
Nel 1899 infine fu abbattuto il muro chiaramontano attaccato alla porta allorché vennero costruiti i palazzi Caratozzolo e Scaglia. Per mettere la nuova porta in linea con il tratto della via che giungeva fino alla casa Granet, fu espropriata e tagliata un parte della casa Mendolia, già ricordata.
Varcatala porta, la città non offriva certamente un aspetto gradevole: subito a destra la salita Madonna degli Angeli, erta ed impraticabile senza ciottoli, né gradini; a sinistra la strada di san Pietro niente più che una trazzera.
Il tratto di strada che giungeva fino alla casa Granet, denominato Piazza Piccola, aveva poche e luride, oltre che povere, botteghe di generi alimentari e tanto povere dovevano essere anche le altre che la gente faceva i suoi acquisti nel mese di maggio in occasione della festa del Patrono, allorché la via della Cattedrale si riempiva di baracche ricche di ogni tipo di merce.
Nel 1854 il Consiglio civico ordinò la demolizione di tutte quelle luride botteghe, prima fino alla Piazza Piccola, in seguito fino a san Domenico; anche la chiesa di san Giovanni, vecchia e cadente, fu abbattuta e al suo posto sorse l’ospedale civico e presso ad esso, non sappiamo quando, un teatrino intitolato ad Empedocle (un magazzino con una fila di palchi: così lo ricorda Diana nel 1913).
via ateneaPalazzi degni di menzione lungo la via Atenea, erano dapprima quelli di Sala (poi Noto-Biondi). Carbonaro, Costa, Panitteri, Celauro, Caruso, Contarini, Seminerio e Montana.
Mancavano gli edifici per la pubblica amministrazione tanto che l’ufficio postale, fino al 1860, era allogato al pianterreno del palazzo Contarini e la buca nel piccolo vano d’entrata.
La strada, che saliva dalla porta fino alla casa Granet e discendeva poi fino alla casa Caruso, venne basolata nel 1841 in occasione della venuta di Ferdinando li in Girgenti: il resto era coperta di ciottoli logorati dagli zoccoli degli animali sicché nel 1870 ne fu eseguito il livellamento e in seguito venne lastricata con i basoli di lava del Vesuvio. Anche l’attuale Piazzetta Cacciatore, già Piazza Grande, fu abbassata di due metri nel 1872 (architetto Sciascia), per livellarla al piano stradale.
Venne costruita la casa Velia, che fino al 1860 era un casolare in parte diroccato; la strada proseguiva con casette basse e povere e terminava con il Circolo dei Nobili. Di fronte, sulla destra, si allargava in un emiciclo con sedili che fu concesso ad Antonino La Lumia a condizione che vi fabbricasse «un albergo decente (per sostituire forse il vecchio Centrale che insieme alla Locanda Bella Napoli costituiva l’unico albergo della città?) con una bottega da caffè ». (Hotel Gellia e negozio Altieri).
Di seguito vi erano la chiesa e il convento di sant’Anna che, con il palazzo neogotico dell’Orologio, oggi Camera di commercio, ma Casa comunale fino al 1867, formavano lo stretto omonimo: un corridoio lungo otto metri e largo due e mezzo, ove si adunavano i mendicanti.
Questo stretto sboccava presso la scalinata ellittica della chiesa di san Giuseppe, che ingombrava metà della strada, sicché, per ovviare a ciò, nel 1863 la scala stessa venne modificata.
Di fronte alla chiesa: il piazzale del Circolo Empedocleo (costruito nel 1835 su disegno di Raffaello Politi), detto Piazza della Riconoscenza, con al centro una bella statua di Francesco I, opera molto pregevole del Villareale. (La statua era stata commissionata nel 1826 per scongiurare il pericolo del minacciato smembramento del Val di Girgenti, per il quale i distretti di Girgenti e Bivona sarebbero stati aggregati a Caltanissetta e il distretto di Sciacca a Trapani. Il re si convinse a revocare il decreto nel dicembre del ’28 e il popolo festante gli dedicò la piazza sebbene non fosse né acciottolata né basolata). La strada proseguiva in discesa fino al convento di san Domenico presso al quale, nel 1845, venne costruito un teatro con una fila di palchi e il loggione con ingresso dirimpetto al portone del palazzo Zirafa, teatro che in seguito, diviso in stanze, fece parte della nuova Casa comunale. Non si attuò mai il progetto della costruzione di un grande teatro nel piazzale san Sebastiano.
Un altro teatro simile al teatrino Empedocle, già ricordato, appartenente a R. Politi, si trovava al pianterreno della sua abitazione in via Carnevale (oggi via Fodera).
Ed ancora un’ultima curiosità: nei primi del secolo la città aveva finalmente molte botteghe, 427 fanali a gas 16 guardie municipali, 50 spazzini che tenevano pulita la via principale (prima per appalto doveva essere pulita solo il mercoledì e il sabato, le altre strade una volta al mese) e. dulcis in fundo. il Voltano forniva 70 litri di acqua potabile al giorno per abitante.
il resto, parafrasando Dino Compagni, è – “Cronica delle cose occorrenti ne’ tempi nostri”