
Qual è il più importante contributo di Socrate nella storia del pensiero europeo ? Le risposte a questa domanda sono state molte. Alcuni studiosi pensano che Socrate ci abbia dato una diversa concezione dell’anima, rispetto ai pensatori e ai poeti a lui precedenti.
Una concezione che da Socrate in poi ha sempre dominato il pensiero europeo. L’anima secondo Socrate l’anima sarebbe la parte più importante della persona e il suo compito supremo per la vita è quello quindi da valorizzare al massimo, da rendere migliore.
L’anima da Socrate non è intesa come sostanza spirituale, ma come sede dell’intelligenza normale e della volontà. L’anima dunque diciamo coincide con la personalità consapevole, che può essere saggia, insensata, virtuosa, malvagia, secondo l’educazione, la cura la disciplina che riceve e ha ricevuto.
Da qui l’appello di Socrate al dovere di ciascuno di curare la propria anima, di renderla migliore, coltivando il pensiero e la condotta razionale, diventando capaci di giustificare razionalmente ciò in cui si crede. Così che la filosofia diventa giustificazione razionale delle nostre scelte di carattere intellettuale e morale.
Ma come curare la propria anima ? Il metodo, la strada migliore secondo Socrate consiste proprio nel discutere con gli altri, nel dialogo. La discussione stessa e conoscere la propria anima. Però non si discute da soli, ma con gli altri e attraverso gli altri.
In questo modo è possibile specchiare la propria anima nell’anima altrui, perché il proprio bene è il bene comune che sta nel costruire sè insieme agli altri, ciascuno in rapporto all’altro. In tal modo si prende consapevolezza di sé, della libertà propria, della libertà altrui leggiamo nell’Apologia, il testo tramandatoci da Platone della difesa di Socrate nel tribunale di Atene: “per l’uomo il bene più grande è quotidianamente ragionare delle virtù e di quegli argomenti sui quali mi avete udito discutere, di esaminare me e gli altri. La vita senza esame è indegna di essere vissuta”
Quindi riteneva Socrate che la sua funzione fosse quella di fare da svegliarino ai suoi concittadini. E per questo lui andava in giro nelle piazze a svegliare gli ateniesi e l’effetto di questa azione di Socrate, stando a quanto ci racconta nei dialoghi Fedone e Convito era straordinario. Leggiamo anche solo una parte del bellissimo elogio che fa di Socrate uno che lo ascoltava attentamente, Alcibiade: “Io di lui solo provo vergogna perché riconosco in me stesso che non sono capace di controbattere ciò che lui pretende non si debba fare; ma, appena mi allontano da lui, sono vinto dall’ambizione di onori pubblici.
Lo tradisco come schiavo fuggitivo e lo abbandono, e quando lo vedo, mi assale la vergogna per le cose che mi ha fatto riconoscere.
E spesso sarei felice se non fosse piú tra i vivi!
Ma so bene che se ciò avvenisse, ne sarei piú angosciato, cosí che non so proprio cosa farne di quest’uomo”.
Ma Socrate non era un dottrinario, non era moralista e neppure un santo. Egli, molto più di umilmente era uno che sapeva di non sapere. Ecco perché egli diceva di fare il mestiere di sua madre, che era quello della levatrice e di aiutare gli altri, a partorire la verità hanno dentro di sè.
Questo aiuto avveniva proprio attraverso il dialogo, così nel Fedro leggiamo “lo studio serio rivolto a questi argomenti diviene molto più bello quando uno, avvalendosi della dialettica e prendendo un’ anima adatta, vi pianti e semini discorsi scientificamente fondati, che siano in grado di venire in aiuto sia a se stessi sia a chi li ama e che non siano sterili, ma abbiano un seme da cui nascano altri discorsi, in altre indoli, capaci di perpetuarlo e di rendere felice, quanto più é possibile a un uomo, colui che ne é depositario”.
Ecco perché egli credeva tanto nel dialogo fino al punto da non voler scrivere nulla, in quanto riteneva l’arte dello scrivere non così capace come il dialogo di riuscire a curare l’anima, di riuscire a aiutare il prossimo a fare chiarezza in se stessi insieme.
Alcune testimonianze in tal senso leggiamo anche in un altri dialoghi di Platone. Ascoltate: “Chiunque entra in dimestichezza con Socrate e, diciamo così viene a far parte dei suoi interlocutori, qualunque sia l’argomento di cui si sia preso a ragionare, trascinato dalle parole di lui, non riesce in nessun modo a liberarsene se non caschi prima a rendergli conto di se stesso, di come viva, di come abbia vissuto anteriormente. Certo quando ascoltiamo discorrere qualche altro, sia pur un bravo oratore, su altri argomenti, starei per dire che non ce ne importa nulla.
Ma quando si ascolta te … restiamo stupefatti e affascinati … In realtà, quando lo ascolto, il cuore mi balza forte in petto, molto più che agli invasati dal furore coribantico … Quando, al contrario, ascoltavo Pericle, o altri bravi oratori, capivo che, per parlare, parlavano bene, ma non provavo niente di simile, non si scompigliava l’anima mia, non si incolleriva come se mi fossi trovato in servaggio” fine delle citazioni.
Ciò che importa a Socrate è di porre nell’animo del suo interlocutore il turbamento, di porlo nel dubbio, nell’oscillazione, di intorpidirlo come avviene a chi tocca la torpedine marina. Qui assume significato la celebre domanda di Socrate : che cosa ? tanti esperti parlano di bene, di virtu, di santità, di cultura, ma questo bene, questa virtu, questa santità cosa sono ? E qui vi rimando alla lezion precedente sul Socrate e il concetto.
Abbiamo detto quanto importante dfosse nella nell’opera educativa di Socrate la definizione, il concetto, rendersi conto del significato, del peso delle parole che usiamo, chiarirle attraverso il dialogo durante il quale è possibile trovare l’accordo con se e con altri perché il dialogo è chiarimento di ciò che si pens, a di ciò che si vuole scoprire perché il vero sapiente sa di non sapere