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Vues de Girgenti - Porta di Ponte 1860

Porta di Ponte ad Agrigento nell’Ottocento

19 Settembre 2014 //  by Elio Di Bella

PORTA DI PONTE E I GIARDINETTI
PORTA DI PONTE E I GIARDINETTI

Prima che ti descriva, o lettore, come ti ho promesso, taluni luoghi dell’interno della città, e che ti dia qualche notizia che possa appagare il naturale tuo sentimento di curiosità, fermiamoci un poco col pensiero nel piano anticamente detto di Porta di Ponte.

Ti presenterò alla fantasia l’immagine di quel piano con tutto quello che esso conteneva, e che offriva allo sguardo del visitatore prima del 1860, perchè in quel tempo nulla esisteva di tutto ciò che, di buono e di bello, ora si vede in quel luogo.

Il forestiero che veniva a Girgenti dalla strada rotabile, tuttora esistente a nord del palazzo della provincia, perchè non era stata ancora costruita l’altra sottostante, o da quella vicino la chiesa di S. Calogero, riceveva le prime brutte impressioni della città.
Il piano era slivellato per rialzi ed avvallamenti e ingombro quasi sempre di piccoli sassi, di ciuffi di erbe, e qua e là di cespugli. Luridi e mal costruiti erano i casolari, detti stazzoni, dei vasellai, o meglio dei fabbricatori di brocche, di tegole e di mattoni di fattura grossolana, che esistevano sparsi in un numero di nove, alcuni sul suolo sul quale ora sorge maestoso il palazzo provinciale, con accanto ammassi di paglia, formati a pagliai, detti burgi, e mucchi di rottami di tegole, di brocche, e di materiali, provenienti dalle fornaci, e altri lungo la linea del palazzo Scaglia, soprastante alla strada rotabile, la quale li traversava:

laido era il lago con acqua di pioggia stagnante in tutto l’anno, là dov’è oggi il piano presso la banchina della villa, il quale si era col volgere degli anni formato dagli stoviglia’ per la estrazione della creta loro bisognevole per la fabbricazione degli oggetti del loro mestiere, e la cui acqua serviva per impastarla e manipolarla: brutto era che presso a poco esisteva nel punto in cui e oggi il pubblico giardino e la purus della città: sgradevole alla vista e pericoloso per la pubblica igiene era il fondaco vicino l’ingresso della città, per ricovero degli animali e dei vetturini, e nauseante per le ondate malsane di aria di cattivo odore, che da esso emanavano; e laide erano le altre case vecchie deformi e sconnesse accanto al fondaco.

Vues de Girgenti – Porta di Ponte 1860

Nel declivio verso il piano, dov’è la gradinata della Villa Garibaldi, che in quel tempo non esisteva, vi era il Calvario con tre crocioni piantati su tre grandi piedistalli di aspetto meschino. In quel luogo, in ogni anno, nel Venerdì Santo, si commemorava dai Girgentini la commovente morte di Gesù Cristo, e in quel luogo accorreva un gran popolo per assistere a quella sacra funzione, che ora si fa dentro la cattedrale. Quel Calvario fu demolito, quando la decuria deliberò di far sorgere la villa su quel versante, e venne costruito invece, con forma migliore, dentro un semicerchio scavato nella montagna, quasi di fronte alla Porta di Ponte, nel punto sud del cantone dell’attuale caserma dei carabinieri.

Al lato della porta della città, ov’é il palazzo Caratozzolo, vi era la casa Argento, costruita a casaccio, composta di alcune camere, una soprapposta all’altra, e qualcuna a canto, grandi e piccole, senza ordine e di sconcio aspetto. Di seguito a quella casa, lungo la scalinata alpestre che conduce alla chiesetta della Madonna degli Angeli, esisteva un alto e grosso muro, il quale si prolungava in su per un centinaio di metri. Era un avanzo delle mura colle quali i Chiaramonte, che furono per lungo tempo signori di Girgenti, e possenti in tutta l’isola e fuori in armi e per ricchezze, avevano cinta nei primi anni del 1300 con alte e grosse mura e con torri quadrate a sud tutta la città. Di queste mura e torri si vedono tuttora gli avanzi nella via Ravanusella, vicino la chiesa di San Pietro e presso la chiesa di Santa Lucia.

E qui non so trattenermi dal dirti, che quelle mura e quelle torri, che in quel punto della città erano per secoli sopravvissute all’ azione del tempo intere e in buono stato, e che avrebbero potuto essere un monumento ammirabile del medioevo, furono dai nostri padri non curate e trasformate, una in bottega di fabbro ferraio, qualcun’altra in deposito di paglia, quella che esisteva presso la chiesa di Ravanusella, che fu distrutta nel 1849, adibita per lungo tempo da macello, e le altre cinque, tuttora esistenti in cattivo stato, totalmente abbandonate.

Ed è stata noncuranza imperdonabile, anzi vandalismo! Dall’altro lato della Porta di Ponte, a sinistra di chi entra, vi era, e vi è tuttora, il palazzo Mendolia, presso il quale, verso sud, si estendeva una valle con piante di fichi d’India, detta La Nave, perchè ne aveva la forma, la quale ora in parte è stata colmata di terra per ampliare il piano e in parte esiste ancora. Nel punto settentrionale di essa, presso il piano, vi era una pubblica villetta irregolare e graziosa, con arboscelli e varie piante di fiori, la quale si allungava sino alla strada vicino la chiesa di San Calogero, dove era l’ingresso. A nord era costruita una banchina, lunga circa cento metri e larga tre, che serviva per pubblico passeggio. Quel giardinetto pubblico, ch’era il solo punto gaio di quel luogo, e su cui gli occhi del riguardante si posavano piacevolmente, era stato costruito nel 1850, per opera di Pasquale Flores, colonnello di un reggimento di fanteria, che aveva stanza nella città, dai soldati agricoltori e giardinieri, per rendersi popolare e ad un tempo attirarsi la simpatia dei girgentini, e ciò dopo che aveva fatto rintracciare una piccola vena di acqua, sorgente presso quel luogo, che per tradizione si diceva perduta.

Ma quella villetta sorrise per poco tempo ai cittadini, perché, per deliberazione del consiglio comunale del 24 maggio 1864, fu interamente coperta con sterri e con altri materiali per l’ingrandimento del piano.
Salendo la strada rotabile, vicino la semplice e graziosa chiesa di San Calogero, si vedevano: a destra il monte, che si vede tuttora, tutto coperto di piante di fichi d’India e di cespugli, senza case e di aspetto selvaggio; presso l’attuale caserma dei carabinieri un’altra casa sconcia di stovigliaio con tutto l’occorrente del mestiere; e sull’alto del monte, sul fondo dell’orizzonte, la chiesa con il convento di San Vito, oggi carcere giudiziario.

Ti ho ricostruito, o lettore, a brevi tratti il piano di Porta di Ponte, qual era prima del 1860, e ti ho fatto vedere con gli occhi della mente, ciò che conteneva. Tutto in quel piano era deformità, confusione e miseria all’infuori della simpatica villetta, che, presso la chiesa di San Pietro, si estende sino alla strada vicino la scalinata innanzi la chiesa di San Calogero.

E quelle deformità e tutte quelle miserie non potevano durare lungo tempo e dovevano sparire, e di fatti sparirono. La civiltà con i suoi lumi e colle sue idee del buono e del bello cammina sempre, e la sua luce penetra ovunque in modo che nessuno ostacolo si può opporre al suo cammino.

Le case rozze e luride dei costruttori di brocche e di mattoni furono abbattute nell’anno 1858, e sul suolo medesimo su cui erano state erette, si pose in quell’anno la prima pietra dell’imponente palazzo della provincia; la casa deforme di Argento fu distrutta nel 1868, quando s’incominciò ad edificare la magnifica Porta Atenea; il fondaco fu diroccato nel 1869, il trappeto demolito, il lago colmato, il Calvario tolto, il muro medioevale, attaccato alla porta, abbattuto nel 1899, quando furono costruiti i bei palazzi Caratozzolo e Scaglia; tutto il piano fu ben livellato e ampliato con riempimenti nel 1870, sui marciapiedi degli spaziosi viali si piantarono alberi, e nel 1872 prima, e poi nel 1876 sorsero una dopo l’altra le quattro belle villette pubbliche, ornamento leggiadro e ridente di quel luogo. E il piano di Porta di Ponte, oggi Piazza Vittorio Emanuele, è ora uno dei luoghi più belli e ameni di Girgenti. L’opera dell’uomo civile e amante del luogo nativo ne cambiò totalmente l’aspetto, e ne fece uno dei vaghi gioielli della città.

E possiamo con soddisfazione affermare che se Girgenti prima del 1860 riceveva all’ingresso i suoi visitatori in abito da stracciona, ora li accoglie in abito da signora.
E non ti sarà al certo discaro, o lettore, se fermo per un pò di tempo ancora la tua attenzione sulle cose di questo piano. Ti darò alcune notizie che non ti riusciranno noiose.
La prima pietra del Palazzo della Provincia, di questo grande e superbo edifizio, fu posta, come ti ho sopra detto, dal vescovo di Girgenti, Loiacono, nell’anno 1858, con grande solennità e coll’intervento di tutte le autorità del comune. Il fine della costruzione era quello di farne un grande ospizio di beneficenza, e ne era stata approvata la spesa per tale oggetto col real decreto del 16 maggio 1853,l’idea dell’ospizio fu in seguito abbandonata, e il palazzo venne invece dato agli uffici dell’amministrazione provinciale e della prefettura. La costruzione del bel fabbricato della caserma dei carabinieri, che con elegante adorna il piano, fu incominciata fin dall’anno 1873 dal ricco negoziante di zolfi Giovanni Vadala, per sua abitazione; ma, per gravi perdite subite in commercio, questi non arrivò a compierla, sicché rimase incompleta sino a pochi anni addietro, in cui, dagli eredi, venduta alla provincia, fu completata nel 191o destinata a caserma dei carabinieri.

L’altro grande edifizio, ch’è accanto, e che adorna quell’ampio viale, è l’archivio notarile distrettuale, fatto costruire appositamente dal municipio di Girgenti l’anno 1889, per la conservazione degli atti, dei repertori e delle carte dei notari defunti, o che cessano dall’esercizio nel distretto. È un locale ampio ed adattatissimo al fine al quale fu destinato. Contiene ad un di presso settantamila grossi volumi di atti notarili, che incominciano dall’anno 1470. Costò ottantamila lire.
La Villa Garibaldi, posta in un sito ameno, piacevole trattenimento dei cittadini fu costruita nel 1850. L’intendente, che oggi si dice prefetto, Palizzolo, per conttrapporre la sua generosità a quella del colonnello Flores, il quale aveva fatto costruire dai suoi soldati la villetta, che non doveva sopravvivergli, e per dimostrare che le autorità governative prendevano interesse alle cose dei cittadini concepì l’idea e propose alla decuria, oggi consiglio comunale, di costruire una pubblica villa nel luogo dov’era l’antico Calvario, sul pendio occidentale della Rupe Atenea. La proposta fu accettata, e la villa nacque. Per curare le piante e i fiori fu fatto venire nell’Agosto del 1853 un fiorista da Palermo, e nel 1855 gli fu costruita la casa di abitazione, ch’è quella unita alla chiesetta della Madonna della Grazia.

villa-garibaldi
villa-garibaldi

E quella splendida villa, adorna di alberi e di bellezza di vegetazione, con larghi viali, con piazzette areate, con belli orizzonti e inondata di sole, si è abbellita ed arricchita con isvolgimento progressivo di alberi, di piante, di fiori e di altri ornamenti, ed è oggi un locale ameno ed attraente.
Nel centro dell’emiciclo, dove prima del 1860 sonava tutte le domeniche la banda musicale per diletto dei cittadini, prima che fosse stato compiuto l’emiciclo Cavour del passeggio pubblico, nel quale ora si va più volentieri, furono collocati un mezzo busto di Empedocle, opera dell’illustre scultore Villareale, e quattro statue di marmo, che rappresentano le quattro stagioni, le quali furono dono generoso del principe di Aragona. Quel mezzo busto di Empedocle fu tolto da quel luogo, e trovasi esposto nel nostro museo archeologico, e ad esso venne sostituito quello di Garibaldi, dell’eroe simpatico e popolare, su cui la lue della gloria non tramonta mai, e il cui nome affascina l’anima di noi italiani. La villa fu ora battezzata: Villa Maria Teresa; poi, per deliberazione del consiglio comunale del 1 Luglio 1860: Villa Garibaldi.

Sul punto alto a sud-est della villa erano la chiesa ed il convento di San Vito, che furono trasformati in carcere giudiziario. La trasformazione avvenne nel 1864.
Prima il carcere del circondario era sul monte vicino la chiesa diruta d’Itria, ad ovest della porta Bibirria, dove oggi sono la chiesa di Santo Alfonso e il serbatoio dell’acqua del Voltano. Consisteva in piccole stanze, in alcuni cameroni ed in una grande corte, dove i carcerati malvagi e meno tristi stavano quasi tutti insieme. Era una grande scuola di mutuo insegnamento di vizi, di mafia e di corruzione.

Non ti recherà noia, se ti presento di passata alla immaginazione anche l’immagine tetra del carcere di San Vito. Quella prigione, circondata di alte mura, costa di un primo piano, e conserva ancora la forma della sua origine. È formata di lunghi corridoi, aventi a destra ed a sinistra celle di pochi metri quadrati, antiche abitazioni di frati, nelle quali stanno in tre o in quattro detenuti. L’aria e la luce entrano in quelle celle da un piccolo foro. L’entrata e i corridoi sono chiusi da grandi porte di ferro a graticola, che si aprono e si chiudono alle spalle di chi entra con sinistro stridore, e sono guardate giorno e notte dai guardiani. È una prigione durissima, dalla quale è impossibile l’evasione del carcerato. E vedi la perversità del destino!

Quella chiesa destinata al culto dei santi, dove i fedeli convenivano per innalzare al cielo le loro preghiere, nella quale i sacri riti, le sacre immagini e i religiosi cantici raddolcivano i costumi e destavano soavi emozioni; e quel convento, rifugio silenzioso di frati religiosi, e che fu abitazione del beato Matteo Cimarra, girgentino, frate dotto ed eloquente, il quale nel 1442 fu vescovo di Girgenti; dopo circa sei secoli, perchè erano stati costruiti nell’anno 1432, divennero asilo di ladri, di assassini, di grassatori, di briganti, di violatori dell’innocenza, di gente, in breve, lorda di ogni sorta di delitti. E in quel fabbricato, dove prima del 1860 si pregava e si adorava, ora si impreca e si bestemmia !

di Francesco paolo Diana (1912)

Categoria: Agrigento RaccontaTag: agrigento racconta

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