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tempio di giunone

Perche si dice incinta ? Il rito del matrimonio nel tempio di Giunone ad Agrigento

28 Aprile 2019 //  by Elio Di Bella

I Greci attribuivano l’origine del matrimonio alla musa Erato che ne regolò il cerimoniale. Ad Atene la legge vietava ai cittadini di rimanere scapoli. Il legislatore di Sparta riservava agli scapoli condanne particolari: ogni inverno i magistrati li condannavano a correre nudi per la pubblica piazza, cantando versi che li mettevano in ridicolo.

L’età del matrimonio variava secondo le leggi di ogni stato del mondo greco: da un massimo di trenta anni ad un minimo di venti per l’uomo; dai ventiquattro ai quindici per la donna. Nell’età classica il matrimonio era diventato esclusivamente un accordo combinato tra genitori o mediatori di professione (paraninfi), e la dote assume una importanza fondamentale.

Dopo la promessa di matrimonio, si celebravano le nozze con la massima solennità e pubblicità, poiché non esistevano registri pubblici e solo la testimonianza di chi aveva assistito poteva garantire che l’unione era legittima. La cerimonia nuziale durava tre giorni. Nel primo la fidanzata dava l’addio alla sua vita di fanciulla, consacrando ad Artemide, dea della fanciullezza, i suoi giocattoli.

Sempre nel primo giorno sia lo sposo che la sposa, nelle rispettive case, si bagnavano con l’acqua del fiume. Il secondo giorno era quello del matrimonio vero e proprio. Si incoronavano le porte delle case degli sposi. Le donne di casa intanto vestivano e agghindavano la sposa.

La cerimonia cominciava con una processione che in primo luogo aveva il carattere di una parata di grande attrattiva. Questa dopo aver percorso il suo itinerario per strade e piazze cittadine, terminava sulla spianata all’aperto in cui si trovava l’altare di Hera protettrice. Qui si offriva ad Hera, che corrisponde alla Giunone dei Romani, come simbolo della dolcezza che doveva regnare tra essi, una agnella alla quale era stata tolta la bile con le altre interiora.

Però, prima di immolare la vittima, dice Plutarco, si faceva la prova di aspergerla con l’acqua fredda, e se l’animale tremava sotto l’improvvisa doccia, la festa si rinviava. (Fig. 1).

La sposa vestiva una tunica senza orli, larga fino ai piedi, semplice e bianca, tenuta da una cinta (nodo di Ercole) che faceva aderire sino alla vita (fig.2).

figura2

Terminato il sacrificio il sacerdote prendeva la destra degli sposi ponendola l’una sulla altra; era questo il momento più solenne del matrimonio in cui gli sposi si scambiavano reciproca promessa di vivere felicemente. (Fig. 3).

figura 3

Qui, dopo alcuni mesi, gli sposi ritornavano per la cerimonia di ringraziamento, che consisteva nell’offerta alla divinità della cinta della verginità della sposa, diventata troppo stretta a causa della gravidanza, e il cui nodo, chiamato “nodo di Ercole”, per l’unione che doveva essere indissolubile, secondo il rito, doveva essere, sciolto dallo sposo alla presenza di amici parenti e curiosi. (Fig. 4).

Poi aveva inizio il banchetto nuziale. Alla fine del pranzo la sposa, secondo le disposizioni che risalivano a Solone, mangiava la mela cotogna, alludendo come sembra che la grazia della sua bocca e della sua voce sarebbe stata armoniosa e dolce, come si conveniva ad una moglie.

A sera inoltrata la sposa veniva condotta a casa dello sposo sopra un carro tra suo marito e un paraninfo, amico di lui. Gli amici accompagnavano gli sposi con le fiaccole, cantando l’Imeneo, cioè l’inno nuziale con l’accompagnamento della musica dei flauti. Antistene di Agrigento, festeggiò le nozze di sua figlia invitando tutti i cittadini; la sposa fu accompagnata da un corteo di circa 800 carri e una folla di cavalieri; alla sera per conto del padre, tutta la città venne illuminata nel migliore modo che si poteva in quei tempi. Egli fece coprire tutti gli altari dei templi e tutte le strade di fascine secche e quando venne dato il segnale da una fiammata in cima alla rocca, si accesero contemporaneamente tutti i fuochi.

Nel corteo nuziale alcune fanciulle precedevano la sposa portando una conocchia con la lana ed un fuso con lo stame e si portavano anche un vaso d’orzo per indicare il dovere della sposa di attendere alle cure domestiche.

Lo sposo gettava delle noci ai fanciulli, come oggi si usa gettare i confetti, per indicare che ormai rinunciava interamente ai trastulli fanciulleschi. Il terzo giorno la sposa , nella sua nuova casa, riceve la visita, i doni dei parenti e del padre.

La monogamia era la regola; solo Priamo rappresentò una eccezione. Il matrimonio si contraeva in inverno, nei mesi di Gennaio, Febbraio.

Giuseppe Di Giovanni

In “Terza Pagina” quindicinale di informazione Anno I n.2 Agrigento 16 novembre 1984, p.3

Questo rituale spiega bene perché si dice “incinta” parlando di una donna in attesa:  dopo alcuni mesi, gli sposi ritornavano per la cerimonia di ringraziamento, che consisteva nell’offerta alla divinità della cinta della verginità della sposa, diventata troppo stretta a causa della gravidanza, e il cui nodo…doveva essere, sciolto dallo sposo alla presenza di amici parenti e curiosi.

Categoria: Agrigento RaccontaTag: agrigento, tempio di giunone, valle dei templi

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