La storia della storia dell’architettura in Sicilia parte dalle creazioni siciliote per giungere all’architettura moderna
Silenziosamente come è stato meditato e scritto, è apparso il libro più interessante fino ad oggi scritto sull’architettura di Sicilia: libro di sintesi e di ricerca ad un tempo in cui tante le questioni, le più dubbie, delicate sui rapporti, sulle derivazioni, sulle trasformazioni dell’architettura siciliana sono esposte con una limpidità assoluta e con il contributo continuo di una personale opinione, che, anche quando non può essere, allo stato attuale delle conoscenze, definitiva, rappresenta il più sicuro orientamento per una posteriore risolutiva indagine.
Libro di pensiero e di dottrina, senza che l’uno s’imponga e l’altra affatichi, libro anche di amore verso una forma d’arte creata dalla Sicilia, tra le più universali ed eterne.
Questa storia della storia dell’architettura in Sicilia parte dalle creazioni siciliote per giungere all’architettura moderna.
Centocinquantaquattro pagine (Giuseppe Laterza, Bari), serrate, asciutte, senza un periodo superfluo, in un esposizione consequenziale che non lascia possibilità di distrazioni e di dubbi. Non che sull’architettura di Sicilia mancano contributi notevolissimi ma perché il problema dell’architettura siciliana, nella sua continuità non è stato mai affrontato.
È soprattutto la continuità dell’architettura siciliana, che risulta nitidamente segnata come un solco diritto e sicuro che si trovi improvvisamente in una campagna cui il cammino dilettevole si smarrisce di attimo in attimo; dapprima, la continuità della tradizione romana rimasta durante il periodo bizantino nel siracusano, e nel catanese, nel messinese: poi appena ricevuto l’apporto delle forme architettoniche più adatte al culto cristiano rielaborate nella Calabria, l’affermarsi della magnifica architettura siciliana, mirabilmente eclettica e latina, architettura che emigra dalla Sicilia e sale in tutta la costa amalfitana, mentre gli altri elementi gotici già infiltrati per mezzo dei cistercensi dell’architettura religiosa e per volontà di Federico nell’architettura militare, si vanno lentamente sviluppando.
Sviluppo del tutto originale nel secolo XIV per la forza della tradizione normanna che si impone sulla influenza aragonese, sì da imporsi a questa tradizione che continua ad imporsi trionfalmente nel ‘400, alimentando quell’eclettismo genialissimo di cui si fa esponente Matteo Carnalivari, di cui con felicissimo intuito è definita la personalità.
Dell’architettura di questo secolo, come del ‘500 ricca di elementi tradizionali, di elementi rinascimentali di origine lombarda di mantenuti sospiri verso il decorativismo catalano, di indecisioni e di turbamenti, l’indagine mira a stabilire legami e rotture con l’architettura italiana e, sempre, a dimostrare una siciliana attività architettonica continuamente desta e, di provincia in provincia, in modo efficiente.
Sensibilità che si afferma nel seicento, nella pronta accettazione e nella rapida affermazione della esuberanza barocca, ora eccedente, ora vigilata e controllata, ora del tutto trasfigurata per opera degli architetti locali, la cui operosità, ancora non del tutto vagliata, non poteva consentire al Calandra una risolutiva e definitiva sintesi dei valori molteplici del barocco siciliano.
Le risonanze, ad esempio, della pianta della Chiesa del S. Salvatore di Paolo Amato e della pianta della chiesa di S. Francesco Saverio a Palermo, nella architettura della provincia di Palermo, come nella chiesa di S. Maria di Loreto a Petralia Soprana, nella Chiesa del S. Salvatore a Polizzi Generosa, la penetrazione di una corrente borrominiana nell’architettura dei paesi delle Madonie; la grande influenza esercitata da Giacomo Amato nella preparazione del neoclassicismo il posto occupato dall’architetto Amico nell’architettura trapanese, violentemente scenografiche, come il chiarimento di tutte le altre personalità di artistici barocchi, tutto questo esige un lavoro di analisi che si impone come compito agli studiosi locali, come si esige una maggiore indagine su quel neo-classicismo siciliano che è ben diverso non soltanto dal neo-grecismo di Leone De Fourny, ma di tutto il neoclassicismo nordico, di origine dottrinaria, intellettualistica.
Ma il pregio del libro è proprio di offrire agli studiosi spunti, idee, problemi da sviluppare ed approfondire con la personale collaborazione, non già nel ritenere in definitiva chiarita la storia dell’architettura di Sicilia.
Resta, ad esempio, ancora incerta la formazione dell’architettura romanica siciliana limitatissima essendo la documentazione architettonica del periodo compreso fra le ultime forme romane e le prime romaniche, né potendosi escludere l’appor-to di qualche elemento arabo o inglese resta anche da osservare la precedenza della Chiesa della Magione rispetto alla Cattedrale di Monreale, che ne sviluppa la pianta non mutandola, restano infinite curiosità scientifiche ma il suscitarle, l’additarne le possibili soluzioni è già opera di efficace contributo per la conoscenza di una delle più appassionanti manifestazioni artistiche dello spirito siciliano quale è l’architettura.
Dalla quale forse bisognerà staccare risolutamente la decorazione pittorica plastica per evitare confusioni ed errori perché costruzione e decorazione in Sicilia si orientano in modo diverso, la prima costantemente mantenendo compostezza e rigore classico di piante, di strutture ed evolvendo in modo lentissimo ritmi tra volumi e spazi e presentando una evoluzione storica apparentemente ritardataria ma in realtà logicamente progressiva, anche se affascinata fino al tardo ‘500 dai modelli romanici;
la seconda completamente indipendente dalla costruzione, fantastica, a volte audace, a volte ritardataria come il decorativismo rinascimentale rispetto alle costruzioni gotiche, il decorativismo gotico rispetto alle costruzioni rinascimentali, a volte opera di raffinati scultori, altre volte abbandonate ad ingenue maestranze; indifferente alle esigenze costruttive, vera e propria decorazione.
Errori, incertezze ed equivoci nella storia dell’architettura siciliana sono generati assai spesso dalla inframittenza della decorazione nella vera e propria architettura, o meglio dal nostro giudizio, che modernamente orientandosi verso una sintesi architettura-decorazione è inconsapevolmente tratto a considerare l’architettura alla luce di questa nostra esigenza, come se in tutti i secoli e in tutte le regioni essa debba attuarsi in tale sintesi.
Ma lo spirito siciliano si manifesta in tutta la sua miracolosa schiettezza e immediatezza espressiva proprio in questo dissidio tra architettura e decorazione in cui si espresse l’eterno dissidio dell’animo siciliano, che si manifesta, in pianto, in gesti, in parole, in sguardi, in canti, in colori, in festosa tragica apparenza e poi serra nel chiuso segreto del cuore i valori eterni della misura, dell’equilibrio, della severa e rigida umanità.
Maria Accascina, LA STORIA DELL’ARCHITETTURA IN SICILIA, in Giornale di Sicilia, 15 Maggio 1938