
Mafia: a Palermo le prime richieste di pizzo datate 1897 (2)(Adnkronos) – Nel libro Vincenzo Prestigiacomo coglie l’immagine di una citta’ che vive tra ‘800 e ‘900 lo sfarzo dell’eleganza e dei sontuosi ricevimenti nelle dimore settecentesche. La follia dilapidatrice di una ”societa’ dell’eccesso”, di una nobilta’ che riceve regnanti e magnati dell’alta finanza organizzando feste da ballo che durano fino all’alba, viene turbata dal sequestro dell’undicenne Audry Whitaker e da una pioggia di lettere estorsive, l’odierno ”pizzo”, che colpiscono le famiglie piu’ agiate di Palermo. La mafia e’ espressione violenta del malcontento delle classi umili. Si diffonde in Sicilia subito dopo l’Unita’ d’Italia con personaggi che prendono il nome di campieri, perche’ controllano i campi di ricchi feudatari. E nascono le collusioni piu’ evidenti con il corpo dei ”militi a cavallo”, una forza di polizia addetta al controllo delle campagne. In mezzo ai mafiosi cicalano diverse donne di eta’ avanzata che frequentano chiese e monasteri; tutte godono di buona reputazione. Sul finire dell’800, a causa della crisi agricola, un’imponente massa di contadini emigra in America, tra i quali Vito Cascio Ferro. Negli Stati Uniti il mafioso originario di Bisacquino diventa subito un’eminenza grigia della ”Mano Nera”. Nel 1903 Cascio Ferro rientra in Sicilia e per rimpinguare le casse della mafia impone il ”pizzo” alle famiglie piu’ facoltose. Nel 1909 e’ sospettato di essere l’autore dell’assassinio del poliziotto Joe Petrosino, venuto in Sicilia per tagliare il cordone ombelicale tra la mafia siciliana e quella americana. Il bisacquinese, pero’, viene scagionato dal deputato De Michele Ferrantelli, che afferma di avere ospitato il Cascio Ferro proprio la sera dell’omicidio.
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Palermo 1897: la scoperta negli archivi «Ecco il primo pizzo
della storia siciliana»
Il primo pizzo della storia siciliana
PALERMO
E’ un fossile che arriva dalla preistoria della mafia a raccontarci le storie di oggi, a dirci che tutto è cambiato perché tutto rimanesse com’era. È una «lettera di scrocco» datata 1897, antesignana delle migliaia di richieste estorsive che nel secolo successivo sarebbero piovute sulle teste di imprenditori e commercianti fino a diventare la maggiore voce di approvvigionamento dei «piccioli» di Cosa Nostra: il racket.
Non c’erano i ragazzi di Addiopizzo, non c’erano rivolte delle associazioni degli industriali quando nell’aprile di quell’anno il barone Salvatore D’Onufrio ricevette nel suo Palazzo Castrone di Santa Ninfa una busta intestata al «Distintissimo Cavalieri» e mal affrancata, tanto da costringerlo alla beffa di dovere pagare la soprattassa di 20 centesimi. «Se sabato non mandati 20000 vi tagliamu appezzi a voi e tutta la vuostra famiglia. Stati attentu a non chiamari aiutu di sbirri», c’è scritto. Sotto, la firma con tre croci e una sigla: «Ecco la morte di sicari».
Segreti e sussurri
Una lettera rintracciata dal giornalista siciliano Vincenzo Prestigiacomo che la pubblica nel suo volume, appena dato alle stampe per Nuova Ipsa Editore, dedicato alla «Vita mondana e Mano nera nella Palermo della Belle Époque». «La più antica lettera estorsiva mai conosciuta – dice – testimonianza di un fenomeno molto difficile da documentare. Le lettere, infatti, di solito venivano bruciate». Di sangue blu anche lui, Prestigiacomo, tanto da avere accesso ad archivi, segreti, sussurri di solito custoditi con gelosia dagli eredi dell’aristocrazia di allora.
Nei bauli della famiglia D’Onufrio è riemersa anche la missiva recapitata al barone una settimana dopo (sempre ostinatamente avara di francobolli) e inviata dallo stesso mittente: «Ci deve scusare e perdonare, lei e queste persone che a causa nostra si sono tanto incomodate», si legge. Segno che il nobiluomo – per salvare insieme sia vita che denari – aveva trovato i suoi agganci per scoraggiare i malavitosi, e che la «Morte di sicari» doveva essere una banda di semi-dilettanti. Certo subordinata alla «Mano nera», l’organizzazione venuta dagli Usa che nel 1909 – sotto la guida del boss Vito Cascio Ferro – avrebbe fatto fuori il detective Joe Petrosino.
E già. Perché dietro lo scintillio delle argenterie, le frequentazioni internazionali, l’allure modaiola, l’aristocrazia siciliana paga il pizzo e tace. Il 22 dicembre 1897 una «lettera di scrocco» della Mano nera arriva al principe Gaetano Starrabba di Giardinelli, che sgancia senza fiatare 10 mila lire. Il 12 ottobre 1901 ne piomba un’altra sui principi Gioeni d’Angiò di Petrulla, che ne devono scucire 30 mila. Il cavaliere Sabatino Tramontana subisce la devastazione del suo feudo prima di cedere al ricatto e consegnarlo in affitto ai suoi aguzzini. Mentre alla famiglia più in vista della città insieme con i Florio, i ricchissimi commercianti inglesi Whitaker, tocca patire il rapimento della figlia undicenne Audrey e pagare un riscatto di 100 mila lire. «Se fate di testa vostra, le tagliamo mani e piedi», scrive la Mano nera nel gennaio del 1897.
Sequestro nascosto pure ai familiari più intimi, negato alla polizia, declinato al condizionale da scarni trafiletti sui giornali, assordato dalle feste in onore del banchiere Nathaniel Anselm von Rothschild, in visita in quei giorni a Palermo. «Non ho mai avuto il coraggio di chiedere direttamente a mia nipote la verità, è in atto una congiura del silenzio», scriverà nel suo diario Tina Whitaker, zia della fanciulla.
Giardinieri e cocchieri
Ma c’è anche chi, per così dire, previene, mettendosi in casa – come giardinieri o cocchieri – uomini della malavita in funzione protettiva. «Stallieri di Arcore» ante-litteram. È il caso di Ignazio Florio, l’industriale che fece sognare a Palermo un futuro da capitale europea e che, derubato in casa di quadri e gioielli, chiama a rapporto il guardaporta Pietro Noto, fratello del capocosca Francesco. La refurtiva torna indietro dopo pochi giorni, mentre spariscono dalla faccia della terra i probabili ladri durante una guerra a colpi di omicidi incrociati. Ma c’è pure chi si ribella. I fratelli Edoardo e Samuele Hammet denunciano e si ritrovano la casa sventrata dalla dinamite. La rimettono in sesto e danno una festa, a dispetto della mafia. Un’eccezione. Allora come oggi.
fonte http://lastampa.it/2010/10/24/italia/cronache/cavaliere-mila-lire-o-ti-facciamo-a-pezzi-tPmGRE52ClnZDmCNjH08LP/pagina.html
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La lettera di “scrocco” più antica finora ritrovata, porta la data del 19 maggio 1875
E’ quella che venne inviata al barone palermitano Giuseppe D’Onufrio. E c’è anche la beffa che la missiva non era affrancata e il nobile fu costretto a pagare una tassa di 10 centesimi
Dom, 17/11/2013 – 09:10 — La Redazione
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Immagine articolo – Il sito d’Italia
(di Vincenzo Prestigiacomo) Nei primi anni dell’Unità d’Italia il barone Giuseppe D’Onufrio di Palermo, amministratore di ricche famiglie tra le quali i Bonanno, i Petrulla e gli Angiò, fu taglieggiato da banditi rapaci e ingordi, privi di scrupoli. Dall’archivio privato della sua famiglia è tornata alla luce una seconda lettera estorsiva di denaro datata 19 maggio 1875. La prima, sempre indirizzata al barone Giuseppe, venne ritrovata nell’ottobre 2010 e portava la data del 1897. E c’è anche la beffa che la missiva del 1875 non era affrancata e il D’Onufrio fu costretto a pagare una tassa di 10 centesimi. I nobili anche allora dovettero cedere ai ricatti per evitare ritorsioni.
Si legge nella sgrammaticata missiva: “Vi preghiamo… silenzio, in quanto che, nonstata rispettata giustizzia. Siamo 9 persone in detta disgrazzia la quale siamo alla vera disperazzione. Dunque lei venga pregato di mandare la somma di onci 500. Se non mandate cotesta summa virrà privo della sua vita. Come lei il suo figliolo. La prighiamo di non mancare a questa intima, altrimenti acrisciamo la summa”.
Questo fossile del 1875 fa capire che nulla è cambiato a distanza di 138 anni. A Palermo nell’era di Internet e iphone5 il pizzo continua a pagarsi. Nella solitudine della campagna siciliana dell’Italia liberale i banditi erano i veri padroni della vita dei proprietari terrieri. La cosiddetta “lettera di scrocco” procurava un immediato lucro. Più impegnativo e più rischioso era invece il sequestro di persona. I banditi, come i briganti, erano contadini poveri, organizzati in bande, forniti di cavalli veloci ed armati di fucili e scorrazzavano per montagne e valli. Entravano nelle fattorie e razziavano di tutto. In Sicilia queste organizzazioni non avevano intento politico.
Molti dei banditi erano usciti dalle galere borboniche e con l’Unità d’Italia si diedero alla macchia. Loro coglievano l’immagine di una aristocrazia che viveva nello sfarzo, nell’eleganza e organizzava sontuosi ricevimenti nelle dimore settecentesche. Leccornie e rinfreschi dilagavano e si andava da un ricevimento all’altro con la tavola dei Gattopardi che veniva apparecchiata con argenteria massiccia con stemmi di famiglia, piatti di porcellana di Parigi e tovagliato finemente ricamato da donne dalle mani d’oro.
Sin dai primi anni dell’Italia liberale, con quelle “lettere di scrocco” che arrivavano alle famiglie, i proprietari terrieri facoltosi furono costretti ad assumere guardiani per le loro aziende agricole. Erano uomini di fiducia che avevano compiti di sorveglianza sulle proprietà. Le bande che nacquero in quel periodo avevano in comune il bisogno, la miseria. E dentro il loro cuore covavano un odio feroce contro le famiglie ricche. Nel palermitano erano famose le bande dei “Fratuzzi” di Bagheria, dei “Compari” e dei “Stuppaghieri” di Monreale, dei “Pugnalatori” di Palermo, della “Fontana nuova” di Misilmeri.
A distanza di 22 anni, nel maggio 1897, il barone Giuseppe D’Onufrio veniva colpito nuovamente da una sedicente banda che si firmava “La morte di sicari”: “Se sabbato non mandati 20000 liri vi tagliamu a pezzi a voi e a tutta la vuostra famiglia”.
fonte http://www.ilsitodipalermo.it/content/621-la-lettera-di-scrocco-pi%C3%B9-antica-finora-ritrovata-porta-la-data-del-19-maggio-1875