
Voglio raccontarvi la breve storia di un’isola, la quale sarebbe ancora visibile da Agrigento se… non fosse scomparsa.
La mattina del 16 luglio del 1831, alla longitudine 12.44 e alla latitudine 37, 11, nella Secca del Corallo, fra Sciacca e Pantelleria, sorse per azione vulcanica una nuova isoletta.
Già dal 25 giugno si parlava di piccole scosse di terremoto che si protrassero sino al 13 luglio, quando con fortissimo fragore di boati fu vista elevarsi in mezzo al mare una colonna di fumo e di fiamme: il vulcano sottomarino aveva aperta finalmente la sua bocca, eruttando scorie e faville e creando l’isola nuova, la quale ai capitani Trafiletti e Corrao, che navigavano in quel mare, apparve emergerne dall’acqua tre o quattro metri: man mano nei giorni susseguenti essa raggiunse i sessanta metri di altezza; con due promienze, una da levante ed una da tramontana, a guisa di due montagne legate insieme; con due laghetti bollenti, di acqua gialla l’uno e rossiccia l’altro; con varii fumaiuoli ed una fenditura da cui sgorgava acqua fangosa e puzzante di zolfo.
Il capitano Corrao di Sciacca con alcuni marinai si avventurò sul luogo nella parte pianeggiante, composta di sabbia fine e calda, che cedeva per circa dieci centimetri al peso della persona.
La notizia volò da un capo e l’altro del mondo e da varie nazioni furono inviati, ad esaminare e studiare il fenomeno, geologi e uomini di scienza, fra i quali gli accademici francesi Jonville e Costant Prevost, che diedero all’isola il nome di Giulia, perché sorta in luglio; il tedesco Hoffman, che fece una relazione al Duca di Serradifalco in una lettera pubblicata nel giornale “La Cerere” di Palermo; il Professore Gemmellaro dell’Università di Catania.
Questo breve squarcio della storia della comparsa dell’isola non è fatto a scopo scientifico o descrittivo, ma per far considerare che se da varie parti accorsero scienziati a scopo di studio, dall’Inghilterra venne inviato subito sul luogo il Cutter Hind, al comando del capitano Jenhouse, il quale, sceso sulla nuova terra, vi piantò la bandiera brittannica e chiamò l’isola Graham.
L’atto commosse il popolo della riviera siciliana ed i cittadini di Sciacca denominarono l’isola Carraa ed anche Sciacca, mentre le autorità ne diedero comunicazione al Governo delle Due Sicilie, protestando contro l’illegale e prepotente violazione compiuta dall’Inghilterra.
Sua Maestà il Re Ferdinando (nostro adorato sovrano, dice un manoscritto) inviò la corvetta bombardiera Etna, il cui comandante, fingendo di prendere i dati precisi di latitudine e longitudine, scese sull’isola che trovò soda e compatta al punto di crederla stabile e permanente, la denominò Ferdinandea e tentò di inalberare la bandiera borbonica, al che sì oppose il capitano Jenhouse.
A questo punto la breve storia ha qualche lacuna; ma è assodata la comparsa di una fregata inglese innanzi all’isola e la discesa dei Signori Giosué Ingham, G. Gill, G., Cullengmorth e capitano Dauglas, mentre contemporaneamente vi si trovavano il capitano Corrao ed alcuni marinai sciacchitani. La contesa era negli occhi e nei gesti, ma il comandante dell’Etna, con molta prudenza, impedì che si venisse alle mani, convenendo col capitano Dauglas che la questione fosse rimessa ai rispettivi governi per essere risolta.
Durante molti giorni i marinai di Sciacca tornarono ogni mattina sulle loro barche a fare atto di possesso e sempre vi trovano i rappresentanti dell’impero britannico; nè mancò mai la protesta contro la violazione e contro l’atto di cupidigia e di frode.
Una mattina, primo ed unico esemplare della fauna dell’isola, sulla cima più alta delle varie prominenze, fu vista ed udita a cantare una tortorella e sostarvi quasi tutto il giorno, come a dimostrare la ferma volontà della timida innocente ad istallarsi sul luogo profanato dalle arpie. Sul tardi alzò le sue ali tornando alla costa siciliana.
Si discusse dai due governi intorno al diritto del primo occupante della res nullius ed intorno alla zona di acqua territoriale su una linea ideale, partente da Pantelleria sino a
Malta, che il Borbone sostenne appartenere alla Sicilia e quindi al Regno, se pur Malta temporaneamente (?) si trovasse in possesso di S. M. Britannica.
La vicenda seguiva un corso lento per le tergiversazioni inglesi ed il componimento non pareva prossimo a raggiungersi.
Uno scrittore del tempo, Salvatore Russo Farruggia, data la politica del Borbone che, siamo giusti, doveva trattare la questione con molta prudenza di fronte alla rapacità ed alla
forza dell’avversario, scriveva: «Alcuni tra il volgo han pensato che il Sig. Jenhouse, che diede il nome all’isola abbia forse occupato la medesima; ma il volgo ignora i princìpii del diritto pubblico. Altronde ciò non è caduto unqua mai in pensiero al Re della Gran Bretagna. In oggi l’isola ha avuto il nome di « Ferdinandea » perché sorta nel regno di Ferdinando II, il nostro adorato sovrano.»
Credeva il Russo Farruggia, ingenuamente, di cavare la soluzione con quell’unqua mai e tacendo il fatto della bandiera. Ma se il volgo, ignorante dei principii del diritto pubblico e pur vigilante, pensava al pericolo, l’Inghilterra calpestava il diritto e tentava il misfatto.
Tentava, ripeto; poiché a togliere ogni dissapore intervenne il vulcano sottomarino che, evidentemente disgustato della lite che era sorta; della quantità dei nomi coi quali gli uomini avevano battezzato la neonata e della pluripaternità che le affittavano, mise in moto le sue forze e le sue fauci e la mattina del 16 dicembre 1831, dopo cinque mesi di studi e di litigi, ringoiava la sua prole, lieta di scomparire nella profondità del mare e serbante il ricordo della rapace anglica prepotenza e quello del saluto che dalla Sicilia le aveva portato la mite tortorella.
Avvenne che, nel 1846, essa ricomparve, appena la testa, forse per vedere se fosse il caso di riemergere intera.
Ma nel 1846 c’erano ancorai Borboni nelle due Sicilie e gli Inglesi a Malta.
Comunque dobbiamo alle forze vindici della natura se a distanza di alcuni chilometri da Agrigento, non si trovi oggi un possedimento, anzi una fortezza inglese.
Io non faccio commenti. Lascio che li facciate voi con la vostra intelligenza e col vostro cuore d’italiani.
Francesco Macaluso, L’Isola Ferdinandea e gli Inglesi. Conversazione radiofonica agli studenti del regio Liceo-Ginnasio di Girgenti.
Finito di stampare a Girgenti 9 aprile 1941