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Agrigento via atenea

La Via Atenea, la Chiazza di Girgenti: negozi, bar e case di tolleranza di qualche decennio fa

29 Dicembre 2016 //  by Elio Di Bella

Agrigento via atenea

Nel corso dei secoli precedenti, Girgenti aveva lentamente spostato il suo centro dal Duomo fino all’attuale via Atenea (’a chiazza), che a tutt’oggi costituisce la nostra city, e soprattutto nel primo cinquantennio del ’900.

È una via tortuosa che va da Porta di ponte alla piazza Municipio, fino ad una ventina di anni fa era pavimentata con lastre di lava indistruttibili e letteralmente disintegratesi dopo che si provvide a divellerle, non so con quanto discernimento, per ricoprirla con un manto d’asfalto.

È la via dei negozi, dei caffè, dei circoli.

Rifacciamoci comunque al primo ventennio del secolo e cerchiamo di rivederla aiutandoci un po’ con le testimonianze un po’ con la fantasia. Direi che oggi i giovani difficilmente potranno immaginare come si svolegsse la vita nella nostra principale arteria e aggiungerei che anche le persone anziane dovranno fare un notevole sforzo per riportarsi col pensiero a quel che avveniva cinquant’anni addietro. Bisognerebbe prendere le mosse da una abitudine che tuttavia perdura e cioè quella del passeggio pomeridiano, oggi estremamente fastidioso, caotico e tormentato dalle numerose automobili che non cessano mai di innervosire i pedoni desiderosi invano di procedere serenamente o per gli acquisti o per un momentaneo bisogno di distensione. Esigenza frustrata anche dai ragazzi che, procedendo come se mai dovessero incontrare ostacoli, vanno inesorabilmente a sbattere contro le spalle dei passanti, senza mai chiedere scusa. Peccato che un tizio famoso per la sua vocazione alla mano morta sia morto con tutta la mano perché avrebbe avuto la gioia di sentirsi strusciare da avvenenti ragazze senza andare incontro a quei guai che il pericoloso hobby gli procurò.

Agrigento via atenea
Agrigento via atenea

Una folla del genere via Atenea fino al 1950 non l’avrebbe avuta neanche durante la processione del Venerdì Santo o di S. Calogero. Siccome però dobbiamo occuparci di quanto succedeva agli inizi del secolo, come abbiamo già detto, rileviamo che in quel periodo l’attività deambulatoria era un privilegio degli appartenenti alle famiglie bene. Nei giorni feriali, al cader del sole e all’accendersi dei meravigliosi lampioni verdi a gas, via Atenea si popolava di una cinquantina di persone, la percentuale maggiore era costituita dai rappresentanti del sesso forte per lo più giovani e da un numero esiguo di signorine che dovevano stare attentissime al contegno, che era molto facile incorrere nei giudizi durissimi da parte di coloro per i quali il fatto che una donna si facesse vedere frequentemente al balcone, magari per prendere una boccata d’aria, era più che sufficiente per definirla puttana senza mezzi termini, quindi è facilmente opinabile che molto coraggiose dovessero essere quelle che spesso si facevano vedere in giro, per le quali il pericolo maggiore era, nella stagione stiva, quando dovevano passare dinanzi al circolo degli impiegati civili essendo i soci accomodati sulle sedie poste lungo il marciapiede che in quel punto veniva ad assumere la forma di una piazzetta.

La maldicenza, diceva press’a poco Voltaire, è sale dell’intelligenza e di questo sale a Girgenti ce n’era fin troppo.

Si racconta che, fino all’ora di chiusura, alla farmacia Cacciatore si attardavano tre, diciamo, amici, che per tacita convenzione, avevano deciso di separarsi sempre contemporaneamente per evitare che i due rimasti assieme avessero la possibilità di sparlare il terzo ed ancora che uno dei tre, mentre stava bevendo, avendo visto passare un neocornuto, al fine di impedire che i suoi colleghi ne dessero per primi notizia e per non rinunziare alla soddisfazione che l’acqua gli dava, con la mano fece il gesto inequivocabile che gli assicurava il privilegio della priorità nel comunicare un fatto che, nel giro di pochi giorni, sarebbe divenuto di pubblico dominio.

Il raccolto via vai era raramente disturbato dalle carrozze di Pignocco, Siracusa, Maltese, Quartararo, Bennici, cocchieri pubblici il cui introito più rilevante era costituito dal servizio che prestavano alla stazione ferroviaria distante un paio di chilometri dal centro e qualche volta dalla carrozza del barone Giudice la persona più facoltosa di Girgenti al punto da essere divenuto un detto popolare : « e chi sugnu u baruni ludici? » per significare che una certa spesa non si poteva fare, e spesso si trattava di qualcosa di estremamente risibile come poteva essere l’acquisto di un capo di abbigliamento molto modesto.

Gli uomini circolavano impeccabilmente vestiti, sempre in giacca, colletto duro, cravatta e cappello anche d’estate; uscire a capo scoperto era assolutamente inconcepibile, le donne indossavano gonne lunghissime che arrivavano a coprire i piedi; per i giovani dell’epoca era una fortuna poter vedere una caviglia femminile quando la proprietaria della quale doveva salire in carrozza.

Va onestamente detto che le amministrazioni comunali dell’epoca erano abbastanza sagge da non consentire che in via Atenea fossero istallate macellerie e pescherie.

Agrigento via atenea
Agrigento via atenea

La vendita del pesce avveniva al piano Lena (chianu Lena) dove erano 6 lastre di marmo, sulla superficie delle quali era infisso una sorta di braccio in ferro per la bilancia, poggianti su trespoli anch’essi in ferro battuto, lavorato con apprezzabile impegno artigianale. All’imbrunire i pescivendoli Errore, Moncada, Alaimo, dopo aver versato il pesce sulle stesse lastre, si mettevano allegramente ad «abbanniari » la mercanzia mentre, nelle vicinanze, un certo Niculà a sua volta « abbanniava » la carta con cui avvolgere il prodotto acquistato.

Nelle serate del giovedì e della domenica, durante l’inverno a piazza Gallo e durante l’estate all’emiciclo Cavour, la banda municipale diretta dal maestro Balletti, allietava le orecchie degli agrigentini che di quelle circostanze profittavano per sfoggiare i vestiti nuovi confezionati in genere da due sartorie, abbastanza rinomate, come quelle di Micciché e Calzarano, portati a casa dei clienti, nelle vigilie festive, da ragazzetti che reggevano la confezione ed un cartoccio della stoffa rimasta che sarebbe dovuta servire per qualche eventuale spiacevole bisogna.

D’inverno le signore, non senza aver prima ben programmata la cosa, sedevano al caffè Savoia e Romeres, mentre al circolo dei nobili i soci avevano la possibilità di osservare quanto accadeva nella piazza antistante e tra questi si sarà trovato un personaggio abbastanza singolare e singolare per le qualità negative: a costui veniva un malanno quando si accorgeva che qualcuno spendeva più del necessario e ciò non per una naturale tendenza all’austerity bensì per l’invidia che gli rodeva il fegato e chè una volta lo stimolò al punto da schiaffeggiare fin giovane che, essendo d’estrazione operaia, aveva osato portare un abbigliamento che solo ad un aristocratico o tutt’al più ad un borghese si addiceva. Erano però episodi sporadici e quindi non da compromettere irreversibilmente la salute di questo imbecille, violento e zotico.

La domenica la funzione religiosa aveva un che di mondano, le chiese frequentate dall’elite cittadina erano quelle di S. Francesco e S. Pietro: in particolare quest’ultima durante la messa delle n, nelle altre, per lo più periferiche, andavano i popolani, specie nelle prime ore del mattino, dopo di che si ammucchiavano in Piazza S. Giuseppe per l’ingaggio della manodopera; la sera, al solito, la concludevano nelle taverne.

Nel corso della settimana i luoghi di ritrovo oltre i circoli erano le farmacie Miceli, Nastri, Bon- figlio, Cacciatore, Averna; un gruppo di intellettuali, formato dal cav. Gubernatis, dal dott. Bonfiglio ed altri, si riuniva alla biblioteca comunale dove, durante le sue capatine a Girgenti, s’intratteneva Luigi Pi- randello che, specialmente dal Gubernatis, attingeva notizie e curiosità varie per farne poi l’uso che sappiamo.

Le case di tolleranza Oliveri, Bianca, Traina, Pasta erano abbastanza frequentate e nei salottini delle più rinomate si trattenevano più a lungo del necessario i clienti di un certo tono e questo perché prima di procedere all’operazione finale amavano elaborare discorsi che ritenevano di elevato livello.

Sabato e domenica erano giorni destinati alle visite, nel corso delle quali, per la gioia dei bambini che a quella tortura erano sottoposti e che non aspettavano altro, lenivano offerti dolciumi e vermouth se d’inverno o gelati se d’estate ed in questo caso la gioia degli anzidetti bambini raggiungeva il tetto.

casa di tolleranza

Si deve obiettivamente riconoscere però che la vita scorreva in modo meno barbino di quanto non scorra oggi ma su ciò torneremo e per non esser fraintesi. C’era poi flirt quel che volgarmente era chiamato « il fare all’amore»; per inciso è da dire che il vero significato di questa espressione cominciò ad esser noto verso gli anni ’60, quando le parole di certe canzonette non offrirono nessuna possibilità di equivocare sulla funzione che veniva a condensarsi in quei precisi termini; ai famosi piscitelli di Marechiaro, si dava una connotazione nettamente romantica; flirt che il più delle volte consisteva nella reciprocità degli sguardi «innamorati e schivi» è il caso di dire.

I rapporti sentimentali talvolta venivano stabiliti attraverso inserzioni pubblicate sui giornali cittadini; ne trascrivo qualcuno cfr. « Mancu ti viu » del 25 giugno 1911 : « passeggio Cavour mostrami giornale seguendovi cosa mi indichi mezzo corrispondere. Nerovestito» e «Siluro» del 13 aprile 1919: «Palermo – tuo lungo ostinato silenzio rendemi disperata non so più cosa fare per ottenere tua risposta. Sono venuta due volte costì mi è stato impossibile pescarti. Se veramente non mi vuoi dimmelo chiaro. Mi ucciderò 78 ». Quest’ultima un po’ granguignolesca, entrambe illuminanti abbastanza per renderci conto del tipo di società.

C’erano poi i cosiddetti viveurs la cui razza si è estinta pochi anni fa con la morte dell’ultimo illustre epigono, il clou della loro esibizione avveniva in parallelo a quella dell’avant-spettacolo e nei palchi di proscenio del «R. Margherita».

Sull’impiego del tempo libero delle popolane c’è poco da dire; spidocchiavano i bambini a furia di pettine stretto, dopo aver cosparso la testa sospetta di una nauseosa emulsione di olio ed alcool.

Di Gaetano Riggio

Categoria: Agrigento RaccontaTag: agrigento, via atenea

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