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Il caso Agrigento: una configurazione Smart Heritage

30 Dicembre 2016 //  by Elio Di Bella

di Starlight Vattano

 Inquadramento e analisi storico-evolutiva del centro storico di Agrigento

L’interpretazione della trama di percorsi analitici su una porzione della città, quella storica, attraverso una lettura smart del patrimonio definisce lo studio, qui proposto, del centro storico di Agrigento, secondo un processo sistematico che mette in relazione la parte con il tutto e, in questo caso, il centro urbano con la complessità della città contemporanea, per far luce sulla civitas e sull’urbs originarie che hanno definito unitariamente la trasformazione Akragas-Agrigento e le peculiarità tradizionali-architettoniche, che diventano potenzialità capaci di accogliere una nuova idea di rigenerazione del patrimonio.

La ricerca dottorale qui presentata prende in considerazione un’area del centro storico di Agrigento, il quartiere Rabàto, analizzandone le caratteristiche morfologiche e tipologiche per la successiva definizione di un’ipotesi di struttura Smart Heritage che riassume alcuni dei principi individuati nei casi studio analizzati e delle strategie adottate nelle Smart Cities, soprattutto italiane, che hanno già messo in pratica le virtualità di un modello europeo di città sostenibile, nell’ambito della rigenerazione urbana. Di seguito, quindi, verrà affrontata l’analisi storico-urbanistica della città di Agrigento, per procedere con la delimitazione del terzo caso studio della Tesi attraverso uno processo teorico deduttivo che dal generale conduce alla conoscenza del quartiere Rabàto in chiave smart.

La Sicilia posta al centro del Mediterraneo è sempre stata obiettivo di dominazione di numerose culture che ad oggi trovano espressione nel territorio, a partire dalla prima metà del VII sec. d.C., meta dell’espansione e dominazione musulmana (Fig. 1). La città di Agrigento ormai decaduta per il lungo logorio dovuto alle incursioni dei pirati saraceni, nell’anno 828 (Fig. 2) si offrì spontaneamente agli invasori pur disponendo di un valido tessuto difensivo costituito da una forte muraglia che circondava la città, seguendo la cresta del colle, capace di sopportare pesanti sforzi bellici (Di Giovanni 1984). Alla fine dell’Ottocento Agrigento con¬servava la sua immagine arroccata; infatti, il pittore e disegnatore Gaston Vuillier così scriveva di essa: «[…] A me piace quel labirinto di viuzze, le quali presentano ogni tanto, da qualche squarcio, un bel punto di vista sul mare, delle prospettive luminose sulla pianura o dei lembi di cielo turchino […] La città di Agrigento nasce nella preistoria collocandosi su un basamento calcarenitico, questo primo lembo di calcarenite pleistocenica è, di norma, ricoperto da uno strato di argilla, a luoghi più o meno, sabbioso, di colore grigio-giallastro, la cui potenza, assai variabile, è al massimo, di qualche decina di metri. Al di sopra di tali argille giallastre, si ritrova, poi, un nuovo banco arenaceo-sabbioso […] Questo secondo banco è quello sul quale si sviluppa l’area dei Templi greci della zona archeologica» (Vuillier 1897).

Agrigento per lungo periodo mantenne le dimensioni di un castello (Picone 1933); infatti, si presentava come una città ellenistico-romana inscritta all’interno di un quadrilatero forti¬ficato, in parte naturalmente e in parte con opere murarie, ai piedi della Rupe Atenea (Fig. 3), la cosiddetta Acropoli (Caruso 1875), che definiva l’organizzazione urbana dove funzioni residenziali e pubbliche si strutturavano secondo un rigoroso schema a reticolato ippodameo. Da questa configurazione topografica antica consegue che la città medievale occupava la parte sommitale della collina, la quale offriva ai cittadini rifugio e protezione dalle incursioni saracene (Fig. 4). La città di Agrigento, o Girgentil, appartenne sino al ‘900 alle città delle genti tributarie senza rapporto di dipendenza dall’emiro di Palermo e veniva descritta come la città «famosa in ogni luogo, notissima per i suoi giardini e per la produzione del suo territorio» (Palmeri 1850).-

Fu proclamata da Federico II nel 1232 città magnifica sia per la Cattedrale, sia per i palazzi, le numerose chiese, i monasteri e i santuari (Di Giovanni 1999), mentre, Al-ldrisi 2 ne II Libro di Ruggero, così l’aveva descritta: «Girgenti popolosa, fra le più nobili metropoli, frequentata dalla gente che viene e che va, eccelsa e forte la sua rotta, ridente la città di antico incivilimento, famosa in ogni luogo, è una delle principali fortezze per l’attitudine alla difesa e uno dei migliori paesi per il suo territorio. Da ogni parte vi accorre la gente e vi adunano le navi e le carovane e i suoi palazzi superano gli altri in altezza; le sue case fanno meraviglia; i suoi mercati raccolgono ogni sorta di manifatture e ogni specie di merce e di cose vendibili. Che dire dei suoi orti e ridenti giardini e delle tante specie di frutta! I resti di questa antica aborigena città mostrano l’alta potenza dei tempi andati» (Rizzitano 2008).

L’Hisn, o città propriamente detta, fu costruita in prossimità del castello e della Cattedrale, ma furono gli antichi souk, le vie di mercato tracciate dai carretti lungo le quali si svolgevano le attività commerciali, a caratterizzare il primo impianto viario della città storica (Fig. 5). Numerosi shari, vie urbane ed extraurbane, collegavano la cittadella al porto e ai villaggi extraurbani, da esse s’irradiavano i darbi, o vie trasversali, dalle quali si diramavano i vicoli chiusi, o azziqqua. La cittadella arabo-normanna comprendeva l’Hisn (città murata) e la sua forma urbis disegnava la figura di un piede umano (Fig. 6). Il punto di forza del sistema difensivo di fortificazioni era il castello che si ergeva a 351 metri sul livello del mare (Fig. 7), occupando l’area denominata Terravecchia, un tempo segnato da un profondo vallone3. Fondata intorno al 580 a.C. dai Geloi (antichi gelesi) di origine rodio-cretese, era già sede di popoli indigeni che mantenevano rapporti commerciali con egei e micenei; ma la fondazione della polis di Akragas nasce dalla necessità che awertirono i Geloi, circa cinquant’anni dopo la fondazione della colonia megarese di Selinunte, di arginare la sua espansione verso Est.

La struttura morfologica di Agrigento è caratterizzata da due livelli: la collina sulla quale sorge il centro storico e la collina della Rupe Atenea, sulla quale sin dal 1850 è stato awiato il primo processo di espansione urbanistica della città fuori la cinta muraria; tale limite fisico definisce a Nord il quadrilatero che racchiude la città antica di Akragas. Il periodo greco durò circa 370 anni, durante i quali Akragas acquistò grande potenza e splendore, tanto da essere soprannominata da Pindaro “la più bella città dei mortali” (Salvini 1993: 478). Inizialmente s’instaurò la tirannide di Falaride (570-554 a.C.) che fu caratterizzata da una politica di espansione verso l’interno, dalla fortificazione delle mura e dall’abbellimento della città, anche se il massimo sviluppo si raggiunse con Terone (488-471 a.C.); infatti, durante la sua tirannide la città contava circa 300.000 abitanti e il suo territorio si espandeva fino alle coste settentrionali della Sicilia. Divenuta grande potenza militare, Akragas riuscì a sconfiggere più di una volta Cartagine nella guerra per il controllo del Canale di Sicilia e successivamente alla morte di Terone assistette ad un regime democratico (471-406 a.C.) instaurato dal filosofo Empedocle, che favorì la realizzazione di numerosi templi e una grande prosperità economica. La città raggiunse il massimo splendore nel sec. V a.C., prima del declino avviato dal dominio cartaginese 4. Akragas, cinta da mura sin dal secolo della sua fondazione appare delimitata dal costone roccioso dominante il corso dell’omonimo fiume, dal ciglio roccioso sull’Hipsas e dalla Valle dei Templi, ai piedi della quale si estende una vasta pianura alluvionale percorsa dal ramo unificato del fiume Akragas, dove si trovava il porto della città antica (Fig. 8).

La città antica, che comprende la città greca di Akràgas, quella romana di Agrigentum e quella medievale di Giergint, è caratterizzata da una matrice organizzativa e dimensionale risalente all’assetto urbanistico della fondazione greca; infatti, molti aspetti che caratterizzano la realtà storica di Agrigento riguardano le scelte al momento della fondazione di Akragas (Fig. 9) (Piazza 2006: 8). Nella sua storia millenaria la città ebbe quattro nomi: Akragas per i Greci, Agrigentum per i Romani, Kerkent o Gergent per gli Arabi e Girgenti per i Normanni, quest’ultimo rimase ufficiale fino al 1929, quando, durante il periodo fascista, venne utilizzata un’italianizzazione del nome, in ultimo assunse l’attuale denominazione di Agrigento. Dei Romani non si ritrova nessuna traccia sul Colle di Girgenti, pertanto si può supporre che, in quel tempo, esso sia stato abbandonato, essendo venute meno le ragioni del sistema difensivo costituito dalle alture (Colle di Girgenti e Rupe Atenea), estendendosi la città romana nella vallata attestata a Sud alla collina dei Templi.

A partire dal 590 viene documentata la presenza dei giudei ad Agrigento, il cui quartiere sorgeva attorno alla Sinagoga (o Meskita, termine arabo) luogo dove si celebravano gli atti della vita ebrea; inoltre, nell’area della giudaica oltre alla Sinagoga insistevano la scuola, l’ospedale, i bagni pubblici, i mattatoi e il cimitero.

A partire dalla fine del sec. VIII d.C. si assiste al declino del periodo romano imperiale, a causa delle invasioni vandaliche iniziate intorno al sec. V d.C. e ancora di più della minaccia islamica preceduta dalle aggressioni piratesche, non essendo ancora esistenti spedizioni organizzate da parte dei governatori musulmani d’Africa. Agrigento fu assediata nell’829, saccheggiata e forse completamente distrutta, ma fu definitivamente occupata nell’840 e ripopolata prevalentemente da Berberi delle tribù di Howwara e di Wedzagia, che ne faranno la loro capitale e vi rimarranno fino alla loro espulsione dall’Isola nel 1015. La presenza musulmana coincide, inoltre, con il trasferimento del porto chiamato il caricatore di Girgenti, il quale, se per un verso fa assumere alla città una posizione d’avanguardia dato che, insieme a quello di Mazara, diviene punto di scambio durante la lunga dominazione, dall’altro le permette di assumere un ruolo di supremazia commerciale, data la mancanza di altri punti di approdo lungo la costa meridionale dell’Isola (Fig. 10). Affermava il filologo Julius Schubring che «lo scopo della fondazione di Acragante è semplice: questa città doveva essere un nuovo anello nella catena delle greche colonie che orlavano la costa meridionale della bella isola, e soprattutto una mano tesa all’estrema Selinunte fondata da quelli di Megara Iblea e tra barbari nemici traente una vita continuamente in armi. Le epoche storiche di questa potente città sono le seguenti:

–              Dalla fondazione alla prima distruzione per opera dei Cartaginesi (580-406 a.C.), nella quale hanno particolare importanza i tempi di Falaride, degli Emmenidi e di Empedocle;

–              Un tratto oscuro fino al suo risorgimento colla nuova colonizzazione di Timoleone cogli Eleati (406-338 a.C.);

–              Rifiorimento della città fino alla sua caduta in mano dei romani ed alla susseguita distruzione per opera del Cartaginese Cartalone (338-255 a.C.);

–              Il periodo Romano dalla seconda guerra punica fino all’anno 476 d. C. Nell’anno 828 Girgenti cadde in mano degli Arabi, nel 1087 in quelle dei Normanni: e così, come una città insignificante, passò per tutte le vicissitudini della storia del medioevo» (Schubring 1978).

Nel 1087 Ruggero il Normanno assediò la città di Girgenti, restaurandone le mura e il Castello, e dopo 259 anni di dominio arabo venne restituita alla fede cristiana, sulla scia di quanto imponeva la politica dell’epoca5. I Normanni concentrarono nella direzione Ovest-Est, i più importanti e maggiori edifici di quell’epoca: la Cattedrale (che, nei secoli successivi, verrà più volte modificata e ingrandita), l’Episcopio e il Castello (edificio di origine araba). Ma la minaccia delle ricorrenti incursioni con saccheggio della flotta angioina e il timore di una lunga guerra dall’esito incerto tra Aragonesi e Angioini, indusse la popolazione a munirsi di una più estesa cinta muraria che difendesse la città contro ogni attacco nemico.

Così tra il 1294 e il 1299 la cinta muraria arabo-normanna che racchiudeva la cittadella Ruggeriana, fu ampliata per iniziativa di Federico Chiaramonte circondando, definitivamente, la città (Di Giovanni 1997).

A questo proposito le chiese e i conventi diventano i centri dei borghi o quartieri in cui viene suddivisa la città, che tuttora la denominano. Il Papato imponeva una certa distanza fra i conventi e le chiese per evitare di avvolgere la città all’interno di una rete di edifici; infatti, il fervore delle costruzioni sacre risponde alla immediata domanda della ricettività e della insufficienza delle chiese di quel tempo. La città s’ingrandì dal declivio occidentale del colle di Girgenti verso oriente comprendendo tre distinti borghi o quartieri, detti allora rabàti: San Francesco, San Pietro e San Michele. Le mura seguivano in prevalenza la cresta del Colle di Girgenti, alla quale molto spesso si addossavano, risultando per buona parte a strapiombo, in modo da costituire postazioni naturali che non necessitavano di opere di difesa. L’altopiano di roccia arenaria in cui sorge Agrigento presentava, sul lato orientale, una orografia complessa con andamento fortemente scosceso e quindi più vulnerabile ai pericoli di un attacco nemico angioino dall’esterno; fu eretto per tale motivo un bastione sul fronte costituito da torri a pianta quadrata sporgenti dalla linea delle mura. Le torri furono rialzate e rafforzate, le porte ridotte ad un solo fornice e le principali di esse dotate di una controporta interna unita a quella esterna con una corte delimitata da muri in modo che tutto il complesso assumesse l’aspetto e le funzioni di una fortezza a sé stante.

Accanto alle porte principali furono realizzate le postierle, piccole aperture per facilitare il traffico che diventava sempre più intenso all’interno della città; inoltre, i Chiaramonte realizzarono una efficace opera di difesa per rinforzare e modificare la natura del luogo, dove questo presentava insenature più o meno profonde (Collura 1961).

La minaccia di una invasione turca in Sicilia portò lo sviluppo di nuovi caricatori e il moltiplicarsi di castelli e di torri in un tessuto a maglia che tendeva ad infittirsi; in questo scenario, il recupero demografico e le esigenze di arredo urbano costituivano nuovi stimoli e iniziative. Già nel 1406 era stata consentita l’espropriazione di piccole abitazioni o casalini vuoti per la costruzione di palazzi e abitazioni (Idrisi ). L’esigenza del decoro urbano si coniugava anche con l’avanzamento economico e la crescita demografica della città, mentre all’interno del perimetro della città o del feudo popolato, il castello e la torre rispondevano alle esigenze interpretative del potere oltre che alla funzione abitativa vera e propria (Fig. 11).

Ma se l’edilizia medievale dei nobiles insisteva nella fascia urbana, dentro la cerchia delle mura della città, quella araba era ubicata nel Rabàto, sobborgo extramoenia abitato dai civitantes (contadini che vivevano nell’ambito cittadino con risorse provenienti dalla terra), al quale si accedeva attraverso la Porta del Rabàto e del Borgo, chiamata successivamente Porta di Mazara (probabilmente alla fine del sec. XVII o all’inizio del sec. XVIII), a seguito dello sposta-mento verso Sud-Ovest della guarnigione militare spagnola che, dai vetusti palazzi adibiti ad alloggi per militari, venne trasferita nei quartieri di San Giacomo e di San Crispino.

Il XIV secolo, che gravita nell’orbita della grande famiglia dei Chiaramonte, contribuì a dotare, quindi, la città d’importanti edifici civili e religiosi. Tra la seconda metà del XVII e la prima del XVIII secolo Agrigento vive un periodo di particolare sviluppo, promosso da due Vescovi, i più grandi feudatari del luogo: il Gioeni, che fa costruire l’edificio del Monte Frumentario per sostenere l’attività agricola dei contadini e il Vescovo Lucchesi Palli che istituisce la Biblioteca Lucchesiana della città. Intorno ai secoli XVI e XVII una serie di vicissitudini provocarono nella città di Agrigento un lungo periodo di crisi che si protrasse sino al XIX secolo; in particolare, la crisi del porto, i cui sintomi erano già stati avvertiti all’inizio del sec. XVI, derivò dalla perdita del monopolio portuale e di mercato sul mare e dalla fondazione di nuovi comuni nei feudi baronali, insieme al loro popolamento a scapito della città. Nel sec. XVII vennero realizzati limitati interventi di demolizione di fabbricati per allargare le strade, procedendo con la realizzazione di piazze pubbliche da adibire a nuovi luoghi per le attività commerciali, ciò fu dovuto anche al fatto che gli spazi pubblici per i mercati e le fiere risultavano, fino a quel periodo, ubicati nel quartiere extra moenia del Rabàto.

La trasformazione ottocentesca della città, soprattutto quella effettuata a partire dalla seconda metà del secolo XIX, iniziò ad alterare il patrimonio urbano, sostituendo parzialmente l’antico tessuto medievale con nuovi edifici, piazze, strade e cortili. È l’epoca dei grandi sventramenti operati soprattutto nell’arteria principale, chiamata Strada Maestra, degli ampliamenti edilizi avviati in nome di un generalizzato rinnovamento urbano che vede la demolizione di alcuni edifici civili e religiosi; infatti, nel secolo XIX s’intervenne su quasi tutto il versante settentrionale delle mura e molte abitazioni del quartiere a Nord del centro storico (San Michele) furono ricostruite, utilizzando le pietre delle antiche mura di cinta (Fig. 12).

Ciò fu possibile perché già da tempo si coltivava l’idea di abbattere mura e porte della città, a prescindere dal degrado in cui si trovavano, con l’obiettivo di allargare la strada principale che convergeva nella Strada Maestra fino al Rabàto così da realizzare una nuova arteria viaria che si innestasse con la via riunificatati. Questo periodo di rinnovamento urbano, i cui segnali s’iniziarono a cogliere agli inizi del sec. XIX, non riguardò soltanto demolizioni delle parti antiche, ma insieme a queste erano state fissate nuove regole edilizie e urbanistiche, derivate dalle ultime leggi borboniche esemplificate nel Regolamento del Consiglio Edilizio della città di Girgenti del 1858 (7). Le nuove riforme amministrative, apportate nel campo urbanistico e architettonico, venivano ad arricchirsi o scontrarsi con le realtà locali; difatti, nuovi impulsi e correnti stilistiche fermentavano nel Regno delle Due Sicilie, scontro che si manifestò anche nel modo di concepire lo stile del rinnovamento architettonico e l’organizzazione sociale e urbanistica della città.

Nel sec. XIX si verificarono notevoli interventi di ristrutturazione del patrimonio edilizio storico, insieme ad un processo di espansione della città fuori dalle mura; inoltre, per agevolare la circolazione, vennero demolite porzioni di architetture storiche, modificando sensibilmente le quote di strade e piazze; altri interventi che segnarono la traccia della nuova cultura urbana caratterizzata dall’uso dei boulevards fu la creazione della strada alberata di grande valenza panoramica, insieme alla realizzazione del giardino pubblico della città.

Tra la fine del sec. XIX e i primi decenni del sec. XX vennero realizzate alcune importanti opere pubbliche lungo la sequenza degli spazi aperti che fanno da cerniera tra il centro storico e la città ottocentesca: un sistema di pia77e che costituiva l’area nevralgica, in cui si concentravano attività e funzioni direzionali e commerciali, oltre che i poli della mobilità territoriale.

In sintesi, il tessuto urbano attuale spiega come la città si sia sviluppata per gradi sulla collina di Agrigento, secondo una dinamica urbanistica nella quale si riconoscono tre momenti principali:

1)            la dominazione Normanno-Sveva, che occupa la zona Ovest della collina di Agrigento, identificata con la cittadella fortificata (nota come Terravecchia);

2)            il dominio dei Chiaramonte, che si afferma prima nei quartieri a Nord-Est (San Michele) e a Sud-Est della collina di Agrigento (San Pietro e San Francesco);

3)            l’influenza della Controriforma e del Barocco che si manifestano come affermazioni di episodi architettonici privati e soprattutto religiosi, conferendo alla città il carattere di civitas proprio di una città vescovile.

La cinta muraria 8, compresa la parte più antica posta a Nord-Ovest, rimarrà tale fino al suo abbattimento, avvenuto gradualmente nella seconda metà del sec. XIX, quando vennero distrutti i lati Nord-Est e Nord-Ovest, insieme alla demolizione delle cinque torri (Dufour 1992). La restante parte meridionale, invece, venne demolita negli anni ’20 del ‘900, per realizzare la stazione ferroviaria nel 1933. La struttura edilizia attuale risulta costituita da isolati dal perimetro irregolare, di spessore variabile, alti due o tre piani, delimitati dalla trama degli spazi aperti che assumono la configurazione di assi viari, cortili, giardini pensili e ripidi vicoli. Gli spazi aperti costituiscono il sistema di accesso alla residenza, spesso definito da scale esterne con andamenti multiformi, mentre i cortili, su cui si affaccia il tessuto edilizio residenziale minore, sono stati spesso il risultato di pesanti trasformazioni di corti interne di edifici palazziali, quasi del tutto scomparsi. La trama viaria, che sembra scavata nella continuità del costruito, è costituita in realtà da due sistemi interconnessi: la rete primaria, costituita dai percorsi in direzione Est-Ovest che segue l’andamento delle curve di livello come l’asse principale della via Atenea e la rete secondaria costituita dai percorsi Nord-Sud, strutturata mediante ripide scale, cordonate e passaggi voltati, cui fanno da sfondo, verso Sud, il mare e il paesaggio della Valle dei Templi.

Lo studio del centro storico in analisi costituisce sicuramente la prima fonte di conoscenza, per l’interpretazione dei fenomeni storici urbani, in quanto esso diviene luogo di accumulazione di testimonianze urbanistiche ed edilizie di particolare pregio e perché conserva nella sua stratificazione architettonica elementi caratterizzanti le culture susseguitesi: dagli abitanti in grotta, alle vestigia greco-romane, alle fortificazioni arabe, normanne, sveve e aragonesi, ai palazzi, ai conventi del Vice Regno e della Controriforma, alle manomissioni e alle imitazioni ottocentesche e novecentesche del passato. Questo approccio diretto può rendere possibile sia la diversificata datazione del tessuto urbano sia la comprensione dei processi evolutivi e delle strutture urbane che devono essere tutelate e recuperate.

Nel 909 la città di Agrigento è abitata dalla popolazione Berbera9. L’area urbana, come scrive il geografo Al-Idrisi, era costituita dall’Hisn e dal Rabàd, si trattava cioè di una città racchiusa all’interno della cinta muraria e di un sobborgo formato da case costruite con terra seccata al sole e paglia, sostenute da un basso zoccolo, oltre che da grotte incavate nella roccia di tufo arenario. Al-Idrisi nel suo trattato geografico affermava: «qui l’abbondanza è tanto prodigiosa che tutte le grosse navi, nonostante il gran numero che vi approda, in pochi giorni fanno il carico con ciò che sopravanza dai mercati»10. Gli Arabi diedero l’impronta della civiltà musulmana alla città; infatti, l’intricata rete di strade e di quartieri deriva dallo schema urbano islamico, mentre il sistema distributivo della casa araba, pur nella sua semplicità assoluta, rivela uno spazio adibito ad accogliere una vita riservata all’intimità della famiglia: il cortile intorno al quale si organizzano le stanze che lo circondano per tre lati e l’ingresso esterno che, per ragioni di riservatezza, non era in asse con quello interno (Fig. 13). Nella città raccolta dentro le mura, che la rendono simile ad una fortezza, la vita sociale di relazione e soprattutto di lavoro, si svolgeva nelle strade: stretti ed affollati souk, le vie mercato lungo le quali si svolgevano le attività commerciali della città, che rispecchia  vano i quartieri e l’organizzazione delle corporazioni di mercanti e di artigiani.

Si tratta di strette strade tortuose nelle quali, oltre ai pedoni e ai cavalieri, transitavano anche greggi, mandrie, asini e cavalli. Inoltre, alla città murata, l’Hisn, si appoggiava occupando pressoché tutto l’altopiano che si estendeva a Sud-Ovest, il Rabàd, costituito dai grubi, le tipiche abitazioni rupestri incavate nel tufo e dai pagliari (Fig. 14), a forma di cupola a bulbo, montati su una base di roccia sulla quale si sviluppa un telaio in legno coperto di paglia e terra seccata al sole”.

Il quartiere Rabàto, detto anche Santa Croce, costituisce ancora oggi l’estrema propaggine occidentale della città di Agrigento in corrispondenza di una delle porte della città, confermando l’antico ruolo d’insediamento limite tra la città murata e il territorio circostante. Il Rabàto (sobborgo fuori le mura, dal termine arabo rabàt) si forma a partire dal sec. IX, durante la dominazione in Sicilia delle popolazioni musulmane. Nato come prima espansione extra moenia, il quartiere presenta una struttura insediativa complessa, consolidatasi nel corso del sec. XVII, durante il quale si fondono i caratteri tipo-morfologici di derivazione islamica con quelli di matrice latina e cristiana.

Il quartiere si formò attorno alla chiesa omonima (Santa Croce) tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento, quando dal Rabàto furono cacciati gli ultimi arabi per decisione del Re Filippo II nel 1599 (Cremona 1927).

Detto anche Rabatello (Di Bella 1996) o Borgo, risultava abitato dagli artigiani che lavoravano l’argilla e il cuoio, da braccianti agricoli e da piccoli proprietari terrieri che vivevano in case povere costituite da un unico ambiente non finestrato (catojo), mentre i più abbienti possedevano anche una stanza a primo piano destinata a soggiorno e camera da letto alla quale si accedeva da una scala esterna (Modica 1987); le abitazioni avevano muri in pietrame assemblato con malta di gesso, i solai e le coperture erano realizzati con travi in legno e tavolato (Picone 1988) (Figg. 15-16).

Nel sec. VIII l’incubo della minaccia musulmana, le dimensioni della cinta muraria dell’antica Akragas e la facile raggiungibilità dal mare, costrinsero i pochi abitanti rimasti ad abbandonare il sito storico verso (‘Acropoli caratterizzato dal preesistente sistema di fortificazioni risalente al periodo ellenico (Fig. 17). Con l’espansione urbana del colle di Agrigento, si compie il passaggio dalla città antica a quella moderna; infatti, si vede sorgere la parte murata (hisn) nel punto più alto della collina, immediatamente sopra la contrada del Balatizzo dove, più tardi, si sviluppò un insediamento abitativo di tipo troglodita, il cosiddetto Villaggio del Balatizzo, di cui oggi rimane qualche sezione di cisterna a campana (Figg. 18-19). Il geografo Al Muquaddasi, nel secolo XIV rivela che già in epoca prece¬dente alla conquista normanna, la città era suddivisa tra il Rabàd (città fuori le mura) e I’-Hiscin (città murata).

Il Villaggio del Balatizzo, compreso nell’area del Rabàd, in epoca musulmana si estendeva probabilmente verso Nord, nell’attuale quartiere Santa Croce, e verso Est nell’area dove furono alzate le mura meridionali della città.

I berberi, insediatisi nel borgo occidentale della città (nella loro lingua detto appunto Rabàd) vennero espulsi nel 1015 dalla città. Industriosi e laboriosi, resero fertili i campi e lavorarono anche nel campo industriale, ma quando Ruggero il Normanno cinse la città di fortificazioni, il Rabàd rimase extra moenia e nel 1315 le mura furono distrutte, a seguito delle lotte fra Musulmani e Cristiani e delle guerre civili fra i seguaci di Enrico VI e di Tancredi.

La porta che immetteva nel Rabàto venne chiamata Porta di Mazara, contaminazione della voce araba EI Maha ‘assar (che vuol dire torchio o trappeto), riferita al sito dove avveniva la lavorazione della canna da zucchero e della ceramica invetriata.

Tracce di tradizione islamica si riscontrano sia nella tipologia edilizia sia nella morfologia urbana, conservando comunque parte del primitivo modello costruttivo, specialmente relativamente alle cosiddette case terrane e a quelle dette solarate.

Tra i secoli XV e XVI si verificarono numerosi eventi devastanti per il nuovo perimetro murario che cingeva la città, il quale escludeva solo il quartiere Rabàto, poichè quest’ultimo era munito di una cinta propria (composta dall’allineamento di case a sud e da muri naturali e dirupi a Nord-Ovest). Tra la seconda metà del sec. XVII e la fine del sec. XVIII un’ulteriore ricostruzione interessò la città dentro le antiche mura, ma soltanto per singoli edifici, senza intaccare l’antico tracciato viario, mentre nel Rabàto la ricostruzione interessò radicalmente tutto l’assetto urbano e architettonico dell’antico quartiere12. Vennero, infatti, realizzati edifici ex novo che sostituirono quelli costruiti tra i secoli XIII e XVI, al posto delle antiche abitazioni scavate nella roccia e risalenti al periodo berbero (fornite di cisterne a campana) (Miccichè 1996). Una seconda fase di ricostruzione del Rabàto fu quella che interessò il collegamento tra le due Porte della città, il cui principale asse viario (la Strada Maestra del Rabàto)”, aveva come riferimenti quella del Borgo (che nel sec. XVIII veniva chiamata di Mazara) e la Porta Cannone.

Il quartiere non riuscì a divenire luogo privilegiato della nobiltà agrigentina e della borghesia, la quale preferì continuare ad abitare dentro le mura chiaramontane anche a seguito dell’incremento demografico; inoltre, si continuò a realizzare un tipo di architettura prettamente agricola, venendo a mancare alla città quelle indispensabili condizioni di autonomia economica e amministrativa che consentivano regole certe e generali per una edificazione pianificata. Questo vuoto, creato anche da un mancato sviluppo della borghesia, avvia un lento processo di trasformazione del tessuto urbano che vede adeguare a nuove e sopravvenute esigenze sia relativamente alla singola casa sia agli edifici, occupando spazi nei cortili o nei giardini, creando sopraelevazioni e tutto quel tessuto che è diventato il luogo di accumulazione di testimonianze edilizie e architettoniche che rivela tipologie costruttive autoctone.

  Morfologia urbana, tipologia edilizia, tecniche costruttive tradizionali

La struttura edilizia del quartiere Rabàto è costituita da isolati che solitamente comprendono una doppia fila di abitazioni a schiera con muro di spina in comune, ma anche da isolati di forma irregolare, all’interno dei quali le abitazioni si aggregano intorno ad articolati cortili, posizionati a quote diverse e raccordati tra loro da un complesso sistema di scale (Fig. 20). La particolare conformazione altimetrica del sito presenta i prospetti rivolti a monte, in genere a due elevazioni e quelli a valle fino a quattro elevazioni, nonché alcuni vani seminterrati o sca Nel 1087 Ruggero il Normanno assediò la città di Agrigento realizzando il castello dentro la cinta muraria araba e proteggendo la città dai pericoli delle rivolte dei saraceni, decidendo di lasciare fuori il Rabàto (rabàd) (Dalli Cardillo, Sciangula 1997), il quartiere arabo che si adagiava in tutto l’altopiano a Sud-Ovest della cittadella fortificata, abitato dai villani saraceni che vivevano in città con i proventi della terra. Il Rabàto era un sobborgo fuori le mura, con i grubi, tipiche abitazioni rupestri scavate nel tufo (Fig. 21). Se l’edilizia medievale dei nobiles insisteva nella fascia urbana, quella araba era ubicata, infatti, nel Rabàto, sobborgo extra moenia abitato dai villani civitantes, cioè dai contadini (Diana 1913).

Il sistema viario del Rabàto è costituito da una sequenza di percorsi orientati in direzione est-ovest, secondo l’andamento delle curve di livello, con sezioni stradali variabili e da un sistema che interseca il precedente, costituito da ripide scalinate e cordonate disposte in direzione Nord-Sud, attraversato dal tracciato della via Garibaldi (Fig. 22), mentre ad Est scavati nella roccia.

Il quartiere presentava accanto alla porta, alla fine del Settecento, una torre circolare che fungeva da sistema difensivo”, ma non perdurando ragioni per quel tipo di difesa militare, nel sec. XIX la torre venne demolita e nell’area dove essa sorgeva furono costruite abitazioni civili munite di cortili, ora non più esistenti. Nel seguito all’abbassamento della Via Garibaldi (un tempo chiamata Strada Maestra) e del successivo livellamento, anche la porta fu demolita15. Il tessuto urbano oggi è caratterizzato da una griglia irregolare che conserva più chiaramente i caratteri arabi, presentando molti cortili chiusi e tecniche costruttive tradizionali, quali la casa del borghese solerata, cioè un’abitazione costituita da due piani e ambiente unico con tetto a due falde la cui unica apertura era la porta d’ingresso (Fig. 23); la zona giorno era posta a piano terra, mentre la zona notte era al piano superiore raggiungibile mediante una scala di legno (Cremona 1925).

A seguito di una pesante speculazione edilizia e della frana nel 1966 il quartiere venne lentamente abbandonato, alcuni edifici vennero demoliti, sebbene, ad oggi, il Rabàto mantenga il suo assetto tardo medievale, con strade strette e tortuose, caratterizzate dalle tipiche forme costruttive siciliane, quali i dammusi e le ghittene (antiche case in gesso), che sporgono sui cortili, secondo lo stile proprio dei villaggi arabo-berberi nordafricani e altri elementi architettonici ormai non più riscontrabili nei nuovi quartieri (Fig. 24). Il Rabàto presenta, infatti, numerosi cortili chiusi rispondenti all’esigenza della famiglia araba di svolgere la vita quotidiana verso l’interno (Amico 1859). Una definizione associata a quest’area del centro storico di Agrigento è quella di antica casbah araba, con la quale si designa un agglomerato edilizio arabo formato da grotte, che aveva la sua massima concentrazione sulle pendici sud-occidentali del Colle di Girgenti nella Contrata Balatizzo (Librici 1999).

  Una configurazione Smart Heritage per il quartiere Rabàto

Sul percorso che sta portando le città italiane a candidarsi ad essere Smart Cities, un ruolo decisivo lo sta giocando il progetto europeo Smart Cities and Communities. Attraverso i due bandi europei mirati alla creazione di progetti pilota nella ricerca sulle città intelligenti, il pro getto Smart Cities and Communities, nel Marzo 2012 ha incentivato ad investire in innovazione e tecnologia, attraverso la condivisione, l’aggregazione e la collaborazione fra pubblico e privato, tutte quelle città che hanno voluto confrontarsi con le sfide di sostenibilità ambientale e risparmio energetico attuali, attraverso l’implementazione di tecnologie di ultima generazione. Infatti, il progetto sulle Smart Cities ha trovato esplicazione attraverso due bandi: il primo relativo alle regioni del Mezzogiorno (comprendendo anche Sardegna, Basilicata, Abruzzo e Molise) per creare start-up di progetti pilota nella ricerca industriale; il secondo è stato destinato alle città del Centro-Nord. Quello delle città intelligenti è stato un progetto nazionale di governo che ha rappresentato un punto di coordinamento di diverse strategie di settore e che ha consentito la costituzione di una piattaforma di integrazione sia tra le politiche di diversi Ministeri sia tra i diversi livelli della pubblica amministrazione, in ambito nazionale, contribuendo alla linearizzazione, alla semplificazione ed al coordinamento della governance degli strumenti di sostegno al-l’ in novazione.

Nell’ambito del Piano Integrato di Sviluppo Territoriale (PIST) e del Piano Integrato di Sviluppo Urbano (PISU) del Novembre 2009, su 35 progetti proposti, 5 hanno riguardato, nell’ambito del PIST, la città di Agrigento, mentre fra i 21 progetti presentati nell’ambito del PISU sono stati proposti interventi di rigenerazione su alcune strade del centro storico e sull’incremento del sistema informativo territoriale comunale. L’ipotesi di riconfigurazione smart per uno dei quartieri più significativi del centro storico di Agrigento, il Rabàto (Fig. 25), parte da queste premesse, anche a seguito dello studio affrontato sulle strategie smart adottate dagli esempi internazionali ed Euro-Mediterranei riportati nel presente lavoro, con l’obiettivo di evidenziare la stretta relazione che intercorre fra la città preesistente, intesa come potenziale Smart City e l’inconsapevole intelligenza dei sistemi urbani ereditati e che oggi, all’interno di macro-concetti quali quello della sostenibilità e delle città intelligenti, si devono confrontare con nuovi elementi urbani, sempre più tecnologici e trasparenti.

Lo studio morfologico del sistema urbano di Agrigento mette in evidenza la conformazione di questo complesso sistema urbano (Fig. 26), che induce ad un ripensamento urbano del centro storico a partire da un’area di studio specifica, quella del quartiere Rabàto appunto, in cui risultano presenti gli elementi necessari per una possibile configurazione Smart Heritage (quindi di un patrimonio intelligente), in linea con le nuove politiche europee di smartness urbana, per raggiungere gli obiettivi fissati sul risparmio energetico e sulla creatività delle città del futuro (Figg. 27-28).

Le caratteristiche del centro storico di Agrigento, su cui la proposta smart può basare i propri principi di base sono: il tessuto fitto e compatto, la prevalenza dei pieni sui vuoti, le strade strette e morfologicamente determinate dall’edilizia che li definisce e gli spazi aperti la cui forma è data dalla presenza di uno o più edifici di diverse dimensioni (edifici del potere quali la chiesa e il palazzo comunale).

Queste parti, che si contrappongono al tessuto ripetitivo dell’edilizia, diventano luoghi identitari, gli stessi che Aldo Rossi definisce elementi primari (Rossi 1995: 69).

Il sistema viario, per naturale conformazione, si presta all’idea di un collegamento tra il sistema dei cortili e delle piazze, che ad oggi vengono recuperati lentamente ed in maniera disomogenea (Figg. 29-31). L’ipotesi di riconfigurazione intelligente riguarda, nello specifico, il recupero delle funzioni primarie degli spazi del commercio, della socializzazione, della cultura e dell’arte attraverso la configurazione di una connessione fra il tessuto delle piazze, dei cortili, dei percorsi verticali e orizzontali e degli elementi architettonici principali, dentro cui si sviluppa una matrice virtuale che permette una ulteriore connessione fra i vari layer individuati. Si tratta di quella dimensione digitale rap-presentata oggi dalla partecipazione alla realtà urbana di molte città, che attraverso pratiche smart, quali Living-Labs, crowdsourcing e coworking, richiedono l’attiva partecipazione del cittadino creativo promotore del nuovo disegno urbano fatto di strati preesistenti e piani virtuali che si appendono ad essi.

Nel caso specifico, la proposta di riconfigurazione smart per l’area del Rabàto parte dalla descrizione dell’area-studio con cui è stata rappresentata la città, in modo da renderne espliciti gli elementi costitutivi e le loro relazioni, mettendone in luce al contempo il potenziale di trasformazione in relazione ad una questione specifica: gli spazi aperti.

Attraverso questa descrizione è stata sostituita all’immagine della città, dedotta dall’esperienza quotidiana, da un lato e dalla cartografia convenzionale dall’altro, una nuova forma non del tutto definita e, proprio per questo, aperta alla trasformazione. Nell’area studio esistono dei momenti urbani peculiari in cui, attraverso precise operazioni, è possibile intervenire sulla forma degli spazi aperti, sulla dimensione e sulle loro relazioni.

Il passaggio successivo coinvolge le prime questioni derivanti dall’ipotesi d’introdurre una nuova funzione nel tessuto storico.

In questa fase s’individuano ipotesi di varia natura:

– funzionale, la reintroduzione del commercio, nelle sue diverse forme, nel centro storico costituisce il movente economico della sua riqualificazione;

–              urbana, la riqualificazione del Rabàto passa per l’introduzione, all’interno del tessuto compatto, di un più ampio e fruibile sistema di spazi aperti, pubblici o privati, ad uso pubblico, smart e partecipato;

–              tecnologica, l’introduzione delle nuove funzioni architettoniche deve avvenire attraverso una controllata riduzione/redistribuzione della densità dell’isolato (elemento costitutivo fondamentale di questa parte di città), con l’introduzione di principi di sostenibilità per il risparmio energetico e di monitoraggio dei consumi (smart meter, smart grid), da una parte e con il retrofit degli edifici esistenti dall’altro.

Attraverso le rappresentazioni grafiche delle analisi proposte vengono messi in relazione gli aspetti del disegno urbano che raccontano gli elementi della città storica e l’inserimento del nuovo layer virtuale delle ICTs di connessione fra questi spazi. Gli elementi analizzati per l’ipotesi di configurazione smart hanno riguardato: l’orografia, il tracciato viario, gli isolati, i pieni/vuoti.

La morfologia del territorio si presenta alquanto complessa per l’area che riguarda il centro storico, data la presenza di diversi salti di quota che influenza la tipologia edilizia e la disposizione della stessa sul territorio, nonché il sistema viario. Quanto a quest’ultimo è stato individuato un sistema di vie principali e secondarie, le prime adiacenti alle curve di livello, le seconde perpendicolari alle stesse, spesso definite da scale necessarie al superamento dei salti di quota.

L’intersezione dei tracciati determina una forma pressoché irregolare degli isolati, c-stituiti da case di due o tre livelli con struttura centripeta, cioè caratterizzate dalla presenza di corti interne (Fig. 32). Afferma l’architetto Oswald Mathias Ungers che «le città sono composte da diversi strati e sovrapposizioni che si integrano vicendevolmente o si contraddicono diametralmente. I sistemi presi di per sé […] sono elementi della complessità della struttura urbana. È possibile separarli rendendoli disponibili e operativi; possono essere integrati, completati o modificati; ogni singolo sistema influenza, disturba o modifica quello vicino […] I conflitti, frammenti, contraddizioni sono il criterio caratteristico della città come layer» (Ungers 1997: 52), una separazione, quindi, fra sistemi urbani ed elementi della struttura-città storica che permette di modificare e inter-venire sulle contraddizioni individuate.

Oltre le analisi preliminarmente effettuate sono stati portati avanti dei ragionamenti legati alla presenza di elementi primari, o più nello specifico punti fissi (Rossi 1995), (il Seminario, il Duomo, il Teatro, i Palazzi storici) (Fig. 33) individuati dai percorsi che li re-lazionano con l’area studio. Il commercio deve riattivare le risorse disponibili e attrarne di nuove, integrandosi con attività legate al turismo e alla collaborazione creativa delle persone. Quindi, in termini di nuova configurazione Smart Heritage, l’ipotesi suggerisce l’opportunità d’integrare negli edifici un certo numero di funzioni diverse (botteghe artigiane, negozi, bar, ristorante, alberghi, residenze).

 Rispetto all’ipotesi urbana, la configurazione smart può costituire una riflessione sulle forme dello spazio aperto nel centro storico, a partire dai suoi caratteri permanenti, per come sono stati individuati nel processo di descrizione dell’area-studio.

Gli spazi aperti sono stati differenziati in quattro tipi:

–              le piazze, contraddistinte dalla presenza di uno o più edifici che ne definiscono la forma;

–              gli slarghi, determinati dall’intersezione irregolare di un certo numero di isolati che comporta un allargamento della sede stradale;

–              le anse, una sorta di scavo sul bordo degli isolati;

–              le corti e i cortili, all’interno degli isolati, a volte direttamente accessibili dall’esterno attraverso passaggi pubblici.

Questi elementi connettivi vengono ripensati come i luoghi in cui si sedimentano le at¬tività culturali, creative e di collaborazione, attraverso laboratori all’aperto che portano i principi latenti della nuova configurazione smart (Fig. 34). Essi si trasformano in luoghi che segnano i punti identificativi dei percorsi urbani del Rabàto e attraverso tecnologie smart (Qr-code, NFC, mappe virtuali, ricostruzioni digitali e BIM) coinvolgono la partecipazione dell’utente nel ridisegno degli spazi da visitare e conoscere: strade strette, slarghi, piazze e cortili diventano elementi di un unico progetto, quello dei percorsi, del commercio e della residenza che confluiscono negli spazi della cultura e dell’aggregazione.

Rispetto all’ipotesi architettonico/tecnologica, l’ipotesi di riconfigurazione smart costituisce una riflessione sul rapporto fra tipologia architettonica, morfologia urbana e tecniche costruttive adottate per rintracciare il modo in cui lo spazio pubblico aperto si articola in relazione al principio tipologico dell’edificio e parallelamente al modo in cui il progetto tecnologico risponde ai nuovi requisiti di risparmio energetico attraverso prati-che di retrofit dell’esistente (Fig. 35).Queste misure di base permettono di ottenere diverse soluzioni come: la realizzazione di registratori di energia (energy scans); la mappatura dei risparmi energetici relativi alle attività commerciali legati all’illuminazione, al riscaldamento e al raffreddamento all’in-terno dei locali; l’implementazione di smart metersche misurano il consumo di energia e possono essere connessi ai dispositivi di misurazione del risparmio energetico; l’integrazione di sistemi d’illuminazione a risparmio energetico, il cui uso può essere ridotto durante alcune ore del giorno; la realizzazione di fermate dei mezzi pubblici fornite di sistemi d’illuminazione a risparmio energetico (con il minimo impatto ambientale dalla produzione al riciclaggio); in ultimo, i processi di riorganizzazione logistica attraverso sistemi di reti smart che monitorano e gestiscono i flussi di traffico all’interno del tessuto urbano. Alcuni isolati, in cui si associno posizione strategica rispetto ai tracciati viari e costituzione edilizia in evidente stato di degrado o di difficile compatibilità con il tessuto, possono essere integrati con spazi aperti sul bordo o spazi aperti all’interno, in relazione con la strada; inoltre, spazi aperti all’interno, separati fisicamente dalla strada, ma da questa raggiungibili attraverso gli spazi pubblici interni dell’edificio, possono diventare tracciati che definiscono una nuova funzione connettiva fra parti di città (fra tracciati viari e isolati).

Come scrive Pierluigi Nicolin, per comprendere la città sarebbe necessario deco-struirla cioè osservarne i valori del discontinuo (Nicolin 1999: 76), allo stesso modo è stata considerata una porzione più ristretta della città, quale quella del quartiere storico e dell’isolato, per condurre una operazione di analisi e di ricomposizione degli elementi caratterizzanti l’area-studio (punti fissi, sistema di piazze, tracciati viari adiacenti all’isolato) capaci di far dedurre le nuove funzioni urbane smart e favorire la costruzione di un nuovo layer urbano, quello digitale-aggregativo, all’interno del patrimonio storico del Rabàto di Agrigento.

Note

1)            Girgenti fu il nome siculo di Agrigento che, nella letteratura araba fu mutato in: G.R.H.N.T., G.R.G.N.T.,Girgant, Kelkent, Gherghent, Gergent, da cui Girgenti, nome conservato sino al 1926 quando assume quello attuale di Agrigento.

2)            Al-Idrisi celebre letterato, geografo e poeta, era stato invitato dal re Ruggero 11 di Sicilia a Palermo, dove aveva realizzato una raccolta di carte geografiche note con il titolo “Il libro di Ruggero”. Dopo aver viaggiato per tutti i Paesi del Mar Mediterraneo, si era stabilito a Palermo presso la corte normanna di Re Ruggero Il, intorno al 1145. 3)11 suo perimetro rilevato in pianta dal grafico redatto nel 1578 da Tiburzio Spannocchi, senese, consigliere di Filippo 11, riporta un disegno che comprendeva una superficie di 22 ettari.

4)            Tracce storiche di riferimento sono le testimonianze di tre fonti antiche, precisamente Polibio (11 sec. a.C.), Diodoro (I sec. a.C.), Polieno (11 d.C.). Polibio affermava che «l’Acropoli è posta sopra la città verso il punto dove sorge il sole ed è limitata all’esterno da un inaccessibile burrone; nella parte interna una sola porta immette nella città. Sulla cima fu eretto il Santuario di Atena e quello di Zeus Atabirio, come presso i Rodi, fondatori di Akragas»; inoltre, la struttura urbanistica della città è esplicitamente lodata da Polibio, il quale ne fornisce questo sintetico quadro descrittivo: «La città di Akragas differisce dalla maggior parte delle città non solo per le cose già dette, ma anche per la sua fortezza e soprattutto per la sua struttura. Sorge, infatti, a 18 stadi (circa 3,2 km) dal mare, così che nessuno viene privato dei vantaggi che questo offre».

5)            La composizione etnico-culturale della città presentava l’elemento latino in netta minoranza, la comunità araba in consistenza, quella israelita pari a poco meno di 1/7 della popolazione.

6)            Nella prima metà dell’Ottocento la nuova politica di risanamento architettonico e di espansione urbana ed extra urbana fu portata avanti dal Consiglio Edilizio di Girgenti, che formulò e impose nuove norme edilizie; questi provvedimenti furono adottati grazie alle nuove leggi borboniche, recepite nel 1816, a seguito della breve esperienza della legislazione murattiana nel Regno di Napoli.

7)            Fra gli interventi proposti più interessanti nel Regolamento del Consiglio Edilizio della città di Girgenti del 1858, art. 11 si fa riferimento ad una “pianta geometrica” della città.

8)            11 centro storico era cinto da mura intervallate da porte e da nove torri, dal disegno di autore anonimo del 1584, si rileva una rara immagine della città medievale, circondata da una cinta muraria e da un tessuto urbano poco differenziato; inoltre, a differenza di altre città siciliane come Palermo, Trapani e Siracusa (che presentano fortificazioni fortemente rimaneggiate alla fine del 1500 con bastioni e baluardi) le mura di Agrigento risultavano assolutamente verticali, ma oggi quasi tutto il sistema della cinta murata è stato distrutto da pesanti interventi di trasformazione urbana.

9)            La Sicilia venne conquistata tra 1’827 e 1’878 dagli Arabi della dinastia degli Aghiabidi. Dopo la caduta degli Aghiabidi, nell’anno 909, gli emiri di Sicilia divennero autonomi. Durante questo periodo ci furono però delle insurrezioni molto simili a una guerra civile, generate dalle profonde differenze tra Arabi e Berberi. A Palermo (a maggioranza araba) e ad Agrigento (a maggioranza berbera) scoppiarono rivolte armate. I Fatimidi che sostituirono gli Aghlabidi in Nord Africa riuscirono solamente durante la reggenza di al-Q1lim (934-946), il secondo imam, a riconquistare il predominio in Sicilia.

10)         Cfr. Idrisi A., L’Italia descritta nel libro di Re Ruggero, Amari M., Schiaparelli C. (trad.), Roma 1883.

11)         Questa zona era popolata dai berberi Kutamah, fedeli alla dinastia fatimida, che eccellevano nelle armi e nella pastorizia.

12)         11 quartiere era stato già in parte abbandonato nel 1523 e del tutto disabitato dopo il 1624.

13)         La “Strada Maestra del Rabàto” fu così definita nel Catasto Borbonico del 1839.

14)         Di essa rimane un disegno del Desprez del 1785, riportato in un libro di Vivant Denon e Saint-Non, Vojage Pittoresque.

15)         «Testimonianza ulteriore dell’abbassamento di Via Garibaldi (ex Strada Maestra del Rabàto) è quello che rimane di un elegante portale chiaramontano incastonato nel muro e situato ben più in alto del livello stradale. Si tratta di un portale trecentesco cieco, con le classiche modanature chiaramontane nelle due ghiere segnate a zig zag. Non si conosce esattamente a quale chiesa appartenesse ma è certo che il portale faceva parte delle due vicine chiese trecentesche del Rabàto, San Luca o San Giuliano, demolite nel 1583 per la costruzione del primo convento dei Mercedari Calzati (Convento della Misericordia chiuso nel 1666). In Miccichè C., La mera-viglia delle pietre…cadute, Sarcuto, Agrigento 2005.

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Categoria: Storia AgrigentoTag: agrigento, rabato

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