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La rivolta di Santa Margherita Belice del 4 e 5 marzo del 1861

8 Marzo 2023 //  by Elio Di Bella

Fonti storiche

“Topi, Cavour, liberali nel Risorgimento siciliano (1860-1861)” di Giuseppe Montalbano jr

 “Santa Margherita Belice nella storia siciliana – Genesi del Gattopardo” di Salvatore  e Giuseppe Scuderi.

 Il Dr. Giuseppe Montalbano fu fatto assassinare a Santa Margherita di Belìce il 3 Marzo 1861 dal ceto agrario-baronale-borbonico, sia per la sua attività in favore dell'”Unità” d’Italia, sia per la sua attività in favore delle classi lavoratrici.

Fu la scintilla che scatenò l’ira e lo sdegno di tutto il popolo di Santa Margherita e il Paese, nelle successive 36 ore fu teatro di una violentissima rivolta nota ad oggi come “La sommossa Margheritese del 4 e 5 Marzo 1861”.

“…e successi un 4 e 5 di Marzu…”

Per i Margheritesi, soprattutto i più anziani, questa espressione è sinonimo di uccisioni, tumulti, sconvolgimenti sociali, arresti, lutti, processi. Nel tempo, però, è divenuta un “modo di dire” del luogo, sempre più spesso, privato del suo significato storico, politico, sociale. La popolazione di Santa Margherita, allora è stata divisa da gravi antagonismi che l’hanno condotta ad avvenimenti drammatici, di estrema gravità. Tali fatti del 1861 maturarono in un periodo turbolento, della storia italiana e siciliana, segnato dal malcontento delle classi più bisognose, successivo all’impresa garibaldina.

Allora il Dr. Giuseppe Montalbano, in una lettera del 21 novembre 1860, diretta al colonnello Giuseppe Oddo scriveva: “Il conte Cavour vuole piemontizzarci”. L’ordinamento regionale autonomo della Sicilia elaborato dal Minghetti venne accantonato, vennero applicate nuove tasse e le terre demaniali dei Comuni, promesse da Garibaldi a chi aveva combattuto non vennero più distribuite. Fu istituita la leva militare obbligatoria. Per frenare il fermento delle popolazioni siciliane a poco servirono l’incameramento e la vendita dei beni ecclesiastici. Quanti avevano sperato che il nuovo regime avesse cambiato in meglio la situazione si accorsero che “tutto era rimasto come prima”.

In questo quadro storico, in sede locale avveniva che il Dr. Giuseppe Montalbano, rientrato a Santa Margherita con lo scioglimento dell’esercito meridionale, si adoperò per la rivendica dei tre feudi di casa Filangeri di Cutò, in possesso della principessa Giovanna Filangeri, che, per testamento del nonno, il principe Nicolò I Filangeri, sarebbero dovuti passare al Comune, quindi assimilabili a beni demaniali. Il principe Nicolò I Filangeri nel tentativo di dissuadere suo figlio Alessandro IV dal frequentare l’amante Teresa Merli Clerici, per testamento del 1829 e del 1837 aveva stabilito che i beni sarebbero passati in proprietà ai figli che questi avrebbe avuto con la moglie Maddalena Barretta. Nel caso non avessero avuto figli, i tre feudi Aquila, Ficarazzi e Calcara a lui in usufrutto sarebbero passati al Comune di Santa Margherita per distribuirli ai contadini.

Ma Alessandro IV non ebbe figli con Maddalena Barretta, mentre da Teresa Merli Clerici, aveva già avuto Nicolò e Margherita. Dopo la morte della moglie e sposata la Clerici, nacque Giovanna Filangeri (nonna dello scrittore Giuseppe Tomasi di Lampedusa 1896-1957) alla quale, ritenuta legittima, fu attribuito il possesso dei feudi, in contrasto con le volontà testamentarie del nonno. Morto Alessandro IV, il possesso formale dei beni, curati da un amministratore, era di Giovanna Filangeri allora undicenne. Giovanna con la madre ed i fratelli prevalentemente risiedevano a Palermo. I maggiori interessati a contestare la rivendica dei terreni sostenuta dal Montalbano erano i gabelloti, che, detenendone il possesso reale ne ricavavano considerevoli entrate. Così, in questo contesto, preceduto da alcune minacce, di cui vi è traccia nella corrispondenza inviata al colonnello Giuseppe Oddo, nella notte del 3 marzo 1861, matura l’uccisione del Dr. Giuseppe Montalbano. Ciò fu subito la causa della sommossa del popolo contro i sospetti mandanti.

Ucciso il Dr. Montalbano, dopo il suo funerale, si scatenò l’assalto al Circolo dei Civili e poi al Municipio, con lo scoppio di una mina che lo fece crollare parzialmente. Avvennero altri otto omicidi ed altrettanti ferimenti. L’ordine fu ristabilito solo dopo l’arresto di 10 indiziati, ma la sentenza della Corte di Assise di Girgenti del 3 giugno 1864 si concluse complessivamente, con 21 condannati dei quali, quasi tutti appartenerti alla povera gente. La sommossa fu popolare e politica. Le cause: l’accumularsi dei rancori contro la classe dominante e dispotica del passato regime Borbonico continuava a prosperare nel nuovo regime Sabaudo.

Giuseppe Scuderi

Ai moti rivoluzionari di Palermo del 12 gennaio 1848 parteciparono il margheritese Giovan Battista Di Giuseppe e il Montevaghese Dott. Giuseppe Montalbano. Nel 1849 la rivolta fu sedata e il Dott. Montalbano venne arrestato ed esiliato in un paese lontano almeno 100 chilometri da Montevago. Poi gli venne consentito di stabilirsi in Santa Margherita. Il Di Giuseppe, invece, riuscì a fuggire e raggiungere il Piemonte. Nel 1860 Giovan Battista Di Giuseppe fece parte dei Mille che seguirono Garibaldi in Sicilia. Il Dott. Montalbano, dopo lo sbarco di Garibaldi a Marsala, formò una squadra di Picciotti e si unì a Partanna alla colonna del Colonnello Oddo per raggiungere Garibaldi a Palermo.

In quel periodo agiva in Sicilia, depredando e uccidendo in paesi e borgate una banda capeggiata da Santo Mele. Appena arrivata alle porte di Santa Margherita venne circondata dalle Guardie Nazionali e dalla popolazione e arrestata. Solo Santo Mele riuscì a fuggire. In seguito venne preso e riconosciuto dai Garibaldini e fucilato dopo un sommario processo.

Il Dott. Giuseppe Montalbano, nel 1861, rientrato a Santa Margherita, cominciò a sostenere la rivendica dei feudi Calcara, Ficarazzi ed Aquila lasciati da Nicolò I, affinché venissero tolti a Giovanna Filangeri e assegnati al Comune. Ma gli affittuari di tali terreni, la sera del 3 marzo 1861, lo uccisero. L’indomani, 4 marzo, dopo l’accompagnamento funebre, i sostenitori del Montalbano, capo del Partito Popolare locale, ne vendicarono l’uccisione, assaltando il municipio e il Circolo del Civili e il giorno 5 fecero esplodere una mina che provocò il crollo di un’ala del Palazzo Municipale. I rivoltosi, durante la sommossa, uccisero ben sette persone: Michele Di Giovanna, Giuseppe Di Prima, Francesco Neve, Giuseppe e Leonardo Cattano, Pietro Giambalvo e Costantino Chetta. Un giovane di quindici anni, Antonino Randazzo, fu ucciso da Don Pietro Giambalvo mentre dal tetto del Municipio sparava contro la folla dei rivoltosi. La maggior parte dei sette uccisi erano completamente estranei al delitto Montalbano.

La rivolta fu sedata con l’intervento di circa quattrocento tra soldati, carabinieri e componenti le Guardie Nazionali dei paesi vicini. Vennero arrestate più di sessanta persone. Nel 1864 ci fu la sentenza con la condanna di ventidue persone: una a dieci, tre a quindici e due a venti anni di lavori forzati e sedici ai lavori forzati a vita. Quei tragici eventi sono ancora ricordati con alcuni versetti: “Chianciti Donna Marta, chianciti a chiantu ruttu, vistitivi di luttu, chi lu pudditru è mortu e nun ritorna chiù”. Donna Marta era la moglie di Pietro Giambalvo, soprannominato “lu Pudditru”, ucciso dai rivoltosi perché ritenuto uno dei tre responsabili del delitto Montalbano. Altri versetti ricordano la morte di Costantino Chetta, un innocente, bravo e bel giovane, ucciso per sbaglio: “Chianci la so mamma, lu visu ch’era fino, a sulu annintuvarlu lu beddu Costantinu”.

I fatti del 4 e 5 di marzo 1861 portarono grave danno e desolazione nella popolazione margheritese, specie nelle famiglie dei più dei sessanta arrestati. L’agitazione degli animi durò a lungo. Molti abitanti lasciarono il paese, sicché il numero della popolazione diminuì considerevolmente. Nel 1861 venne tolta dalla Piazza Municipio la statua che ora si trova nel rialzo a destra entrando nella Villa Comunale. Allora per l’esistenza di quella statua la piazza era chiamata “Lu chianu di lu pupu”.

Elio Di Bella

Categoria: Storia ComuniTag: provincia di agrigento, santa margherita belice

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