
Nel 1966 una frana di spaventose dimensioni si abbattè su Agrigento.
Osvaldo Sciascia ricorda quel giorno.
Vi voglio raccontare una storia vissuta da me, in una giornata del 1966, che segnerà la mia vita e quella di altri Agrigentini.
Io non sono uno scrittore ma un semplice muratore , ma voglio raccontarvela lo stesso.
Agrigento 18 Luglio 1966. Era da circa un anno che avevamo il televisore in casa: nel quartiere non erano in molti a possedere il televisore, infatti quella sera come altre sere in casa mia c’erano molte persone che venivano a guardare il programma in prima serata “c’era solo quello dopo il telegiornale” con i miei genitori , non ricordo con precisione che programma andava in onda forse un varietà, ma come tutte le sere io come tutti i bambini di quell’epoca, andavo a dormire dopo il famoso carosello.
Io con i miei fratelli maggiori dormivamo nella stanza adiacente alla cucina, dove c’era il televisore, cosi dal mio letto sentivo la musica che veniva dalla cucina.
Mi addormentai in un profondo sonno dopo una giornata spensierata d’estate, ma la mattina molto presto un boato tremendo ci fece uscire tutti dalle nostre abitazioni spaventati, in tutta fretta andammo verso un piccolo spiazzo, a pochi metri dalla mia abitazione, gli occhi mi posarono per terra dove vidi una crepa di circa tre centimetri o forse più che si allargava ancora, la seguii con gli occhi sgranati si dirigeva su per una scala con i gradini di pietra lavica (di basuli), che formava un cortile con delle case, sia a destra che a sinistra, restai pietrificato quando scoprii che in cima alle scale, invece dell’ultima casa c’erano delle macerie, era quella la causa del boato che avevamo sentito poco prima, sentivo una voce che diceva, “a terra si sta grapennù scappamu” in un attimo si scateno il panico tra gli abitanti del quartiere , chi scappava , a destra e chi scappava a sinistra, anche io preso dal panico scappai verso la scala che portava per la via Marsala feci la discesa e poi la salita che portava al municipio in piazza Pirandello,in un batter d’occhio.
Mi ritrovai scalzo, in mutandine, nella via Atenea davanti alla chiesa san Giuseppe, la gente correva nella parte opposta a quella mia, gridando “cadi un palazzù cadii”, per me erano parole di terrore, pensai subito alla casa nel mio quartiere , la gente si dirigeva verso via Garibaldi e scendere verso il luogo della tragedia, ma la polizia aveva tempestivamente chiuso il passaggio all’inizio di via Garibaldi, per evitare che si creasse più caos di quello che già c’era nei luoghi del disastro.
Quando mi resi conto che ero lontano da casa mia, “scappando non ho dato il tempo ai miei familiari di prendermi per mano “guardandomi intorno sconsolato mi misi a piangere, ma all’improvviso mi sentii prendere per mano, mi girai di scatto spaventato ma con grande gioia vidi mio padre che tranquillizzandomi, mi disse: “non avere paura è tutto finito.”
Si! Era tutto finito la frana aveva fatto tanti danni, palazzi caduti come fuscelli, strade devastate ma per fortuna aveva risparmiato chi abitava in quei palazzi.
Io e mio padre restammo fuori dalla zona, dove c’era il resto della famiglia, solo molte ore dopo riuscimmo a incontrarci, scendendo al campo sportivo, (detto sutta u gass) dove la popolazione ormai sfollata, si dirigeva, incontrammo mia madre e i miei fratelli nei pressi dell’abitazione di una parente di mia madre, fu una grande festa.
Non vidi mai con i miei occhi l’entità della tragedia ero piccolo e nessuno mi ci ha voluto portare, da grande capii che Dio rimediò alla speculazione dell’uomo costruendo palazzi abusivi.
Provvisoriamente, abitavamo in una vecchia casa di campagna nel quadrivio Spinasanta, di proprietà di una zia di mio padre.
Dopo un mese partimmo con la mia famiglia per Torino dove mio fratello il primogenito, era li già da diversi anni con la moglie e la prima figlia. Da li la mia famiglia seguiva la vicenda. Quando la situazione si stabilizzò e le autorità diedero il benestare per rientrare nel nostro quartiere, (in coincidenza della visita del presidente della Repubblica Saragat) mio padre torno ad Agrigento per prelevare il mobilio dalla nostra abitazione e cosi restammo stabilmente a Torino.
Ancora oggi nel 2011 ricordo quel maledetto giorno, per causa di quella frana ho vissuto in una terra che non mi apparteneva, mi sentivo segregato, abituato a stare tutto il giorno in mezzo alla strada a giocare, infatti il destino dopo quindici anni mi riportò di nuovo nella mia amata Agrigento.
Dopo sposato, sono andato ad abitare a Cattolica Eraclea, dove vivo ancora oggi, un paese a pochi chilometri da Agrigento, però quando posso vado sempre nel mio vecchio quartiere Rabato (detto comunemente da noi Rabbateddru), rivivendo sempre quel maledetto giorno che ha segnato la mia esistenza.
Agrigento 19 Luglio 1966, avevo 7 anni.
In ricordo dei miei genitori e dei miei fratelli Lillo e Costantino.
Osvaldo Sciascia
Fonte http://cattolicaeracleaonline.it/2011/11/la-frana-di-agrigento-del-1966-il-racconto-di-osvaldo-sciascia/