
Il « Libro Verde » e lo Statuto Municipale
Sebbene la costituzione politica di una nazione possa apparire anche dal contenuto delle sue memorie storiche, tuttavia non vi è mezzo più adatto e più diretto a tale scopo della conoscenza, dell’esame delle leggi e degli statuti, che a quella nazione appartengono; poiché essi, oltre a regolare le azioni civili, hanno immediatamente stabilito l’ordine pubblico e le forme politiche della gestione del potere, sia per ciò che riguarda i sistemi di giurisdizione, quanto per quelli di amministrazione.
Per l’oggetto del presente studio, quelle leggi sono rappresentate principalmente dalle normanne e dalle sveve, comprese nel Libro delle Costituzioni, quindi da quelle dei re Aragonesi, con-tenute nei Capitoli del Regno, ed infine dalle Consuetudini, quali statuti particolari delle popolazioni siciliane.
Queste popolazioni, infatti, vissero un tempo con pochissimi regolamenti e con particolari statuti, circoscritti entro le mura dei propri territori o villaggi; poiché le leggi primitive, riguardanti la costituzione politica della nostra isola, non potevano regolare gli infiniti e molteplici casi privati dinnanzi agli usi civili ed ai costumi derivanti dalle diverse forme di vita associata.
Da ciò, appunto, nacque l’esigenza di avere ogni popolazione le sue particolari norme consuetudinarie, affidate soltanto all’uso costante, quindi «jus non scriptum», le quali compilate, poi, in forma autentica e redatte per iscritto, vennero ad arricchire le fonti del nostro diritto pubblico e privato.
La Città di Agrigento, quando cadde sotto il dominio normanno, aveva — come abbiamo vi-sto — diversi nuclei di cittadini già avviati a vivere secondo leggi, magistrature e ordinamenti propri, che diedero origine a quelli successivamente trascritti nei vari documenti e diplomi ufficiali.
Fermiamo pertanto la nostra attenzione particolarmente sulle leggi municipali, sulle consuetudini e sui privilegi della Città di Agrigento, dei quali la cittadinazùnza ha goduto fino al 1817-19, epoca della pubblica-ione dei Codici Napoleonici, e che riscontriamo riprodotti nel cosiddetto: « Libro Verde » dell’Archivio Comunale di Agrigento
Il « LIBRO VERDE », volume « in folio » del secolo XVII, rilegato in pelle verde, — (detto perciò: Libro Verde) — contiene, all’inizio, la copia di un Transunto delle Consuetudini, ed anche i Privilegi della Città dal sec. XIV al XVII.
Composto da trecento fogli, scritti sino a pagina 201 da unica mano, è intitolato: « Libro di tutti li privilegi, consuetudini e particolari ordinationi di questa magnifica città di Girgenti », raccolti ed ordinati in tempo dell’invittissimo e Cattolico Signor D. Filippo Quarto d’Austria, re di Spagna, ecc… nostro signore, per li Spettabili Signori Giurati D. Andria del Porto, Geronimo Seta, Gaspare de Fide e Nicolao Antonio Pancuccio dell’anno secunda Indizione, 1634.
In questo testo ci occuperemo della parte dello Statuto Municipale che tratta del Consiglio civico.
LO STATUTO MUNICIPALE: Il Consiglio Civico.
II popolo, i giurati, il capitano, si adunino nell’atrio dello antico convento di S. Francesco d’Assisi, al suono della campana (ut moris erat), indi il banditore chiami a votare a schede secreto ».
II Consiglio Civico, quindi, era la riunione di tutto il popolo e dei giurati per decidere sugli affari di grave importanza. In questa adunanza funzionava il consiglio elettorale, che si componeva dagli anziani, dai mercadanti, dai buoni cittadini e dai capi delle arti e dei mestieri, e che, col metodo dello « squittinio », nominava gli ufficiali municipali, scrivendo una polizza che veniva esaminata dall’intero Consiglio Civico.
Nelle città demaniali presiedeva alla elezione dei magistrati municipali un commissario della Corte reale (Gregorio: op. cit. pag. 313).
Dalla votazione venivano esclusi i baroni ed i militi, per antico ordine del re Federico, nè essi potevano concorrere ad uffici municipali nelle terre demaniali.
Ma non essendo possibile che ciascun cittadino desse sempre e personalmente il suo voto, nell’anno 1408 si ordinò che nelle città fossero aggiunti dei consiglieri quanti erano i giurati, da durare in carica un anno. Da quell’epoca quasi tutte le città, ed in seguito anche le terre, ottennero la istituzione del «Consiglio Comunale».
La città di Girgenti chiese nel 1423 che dodici gentiluomini della città, scelti « per scarfiam », fossero i consiglieri del Comune, che dovevano intervenire nel consiglio assieme agli ufficiali. Questa elezione era un mezzo escogitato per evitare che i chiamati a far parte del Consiglio Civico si rifiutassero a venire a quelle adunanze, ciò di cui la città si lamentava. Il re non vide di buon occhio l’introduzione di quella novità e, adducendo che nelle altre città maggiori ed uguali a Girgenti non v’erano consiglieri eletti in quel modo, dispose che si continuasse come sino allora si era fatto e come si usava anche nelle altre città. — (Genuardi: «Il Comune nel Medio Evo in Sicilia »).
La convocazione del Consiglio Civico avveniva, in genere, il giorno festivo, dopo gli uffici divini o anche nel pomeriggio, nell’atrio dell’ex convento di S. Francesco d’Assisi, « ad sonimi campanae, ut moris erat ». Quell’ex convento, dunque, è stato la prima sede comunale; così come, del resto, lo furono quasi tutte le Matrici della Sicilia, ove si conservavano le scritture, giacché successivamente, come abbiamo visto, i Giurati disposero di una « domus juratorum ».
L’unione di questi due elementi, casa comunale e chiesa madre delle città o dei primi casali, stava quasi a simboleggiare quella superiore unità spirituale, che fece della civiltà medioevale una civiltà essenzialmente cristiana.