Con molto moltissimo malincuore, son tornata :-) E ho una caterva di foto, piccole osservazioni, appunti e ricordo da mettere in ordine (perché è bello sì viaggiare ma alla fine il tempo di raccontare in contemporaneo nun c’è proprio stato, quindi da oggi e ancora per un paio di giorni cerchiamo di sanare gli arretrati… :-). Bene, Agrigento quindi… Ci siamo andati proprio perché non c’eravamo mai stati, e perché questa lacuna ci sembrava particolarmente vergognosa. Chi c’è stato ci dirà se l’ha vissuta allo stesso modo ma per me il primo impatto con l’agrigentino era composto dai seguenti elementi: 1) guardi il mare e pensi che dall’altra parte c’è la Tunisia, insomma l’Africa, wow!! :-) 2) guardi la città da lontano e ti sembra una specie di manhattan a scala ridotta, e la cosa un po’ t’intimorisce 3) poi fai 3/4 volte il giro di tutte quante le rampe e tangenziali che sono state appese e costruite intorno alla città perché persino il navigatore non ci capisce niente, e un po’ ti chiedi com’è sta cosa che in Sicilia spesso e volentieri le indicazioni stradali non ci siano (poi magari ci sono ma v’assicuro che tutte le volte in cui giravamo senza navigatore finiva che ci perdevamo)… 4) quando poi finalmente ti avventuri in centro (cioè quando finalmente l’hai trovato :-), sbagliando con curo l’orario di transito, ti ritrovi in una bolgia che poco avrebbe da invidiare al traffico sul lungotevere nelle ore di punta 5) siccome prima di arrivare lì uno non hai idea di come sia conformata ‘la valle dei templi’ che nella maggior parte delle guide e pubblicazioni turistiche viene circondata da aggettivi quali ’stupenda’ e ‘meravigliosa’, quando poi ti accorgi che i templi si stagliano sullo sfondo della manhattan di cui prima e che altro che ‘valle’ li tutto intorno la speculazione edilizia da tempo s’è data alla pazza gioia, un pochino rimani, come dire, stupito… A parte tutto questo però, come spesso in Italia (v. Roma :-), c’è da dire che sotto sotto ciò che è bello è proprio bello, e dalla parti di Agrigento di bello ce n’è, avvoglia… Vi lascio un po’ di immagini, per le spieghe storiche vi lascio leggere su wikipedia :-)) (invece, se andate li in loco, consiglio caldamente la visita dei templi con guida ufficiale, veramente molto interessante :-)
Ecco, caso vuole che già diverse volte amici e conoscenti mi avessero parlato del famoso couscous dolce delle monache cistercensi di Agrigento. Capite che la cosa era intrigante: non solo per via delle monache di per sé (che già da solo in effetti suscitano curiosità e timore) ma anche perché il couscous dolce in questione sembra praticamente mitico: non si trova da altre parti, non lo fa nessun altro, i cuochi non sanno come replicarlo, chi lo ha assaggiato lo ha adorato ma non è in grado di dire di cosa potrebbe essere composto di preciso ne come potrebbe essere stato preparato, insomma, sul quel particolare e non riproducibile couscous dolce delle suore agrigentine planava un fitto – e quindi attraente – velo di mistero. Sicché era del tutto impensabile non fare una pausa fra la visita a un tempio e l’altro per andare a perdersi nei vicoletti del centro, alla ricerca del misterioso dolce :-)
In realtà l’iter di per sé non è poi tanto complicato: la cosa più difficile è di trovare un posteggio per la macchina, poi basta chiedere indicazioni per il monastero Santo Spirito. Una volta lì (magari visitatelo pure, prima, è molto bello :-), si bussa al citofono della porticina a destra dell’ingresso principale, dopo qualche minuto la porta si apre, e entrate in una specie di piccola anticamera, vuota. Dopo un po’ di attesa (sapete, di quelle attese un po’ nervose, quando siete in un luogo di cui non conoscete le regole e in cui non sapete cosa accadrà), e dopo aver guardato attentamente tutte le icone e preghiere affisse in quella piccola stanza bianca, appare dietro a una piccola grata una suora minuscola e anziana che si scuserà gentilmente di avervi fatto aspettare (no, non ci sono foto della suora, non mi sembrava il caso… :-). Voi intanto balbettate le solite scuse rispettose e un po’ imbarazzate e concludete con una formula alla sesamo-apriti: ’siamo venuti per i dolcetti’, aggiungendo un quasi spensierato ‘per caso avete anche il couscous dolce oggi?’… E quasi che non ci speravate (aspettavate in realtà delle congiunzioni astrali sfavorevoli, vi eravate già convinti dell’esistenza di complotti intergalattici destinati a privarvi del mitico couscous, quasi come se fosse troppo bella l’idea di poter assaggiarlo per davvero…) e invece no, la suora annuisce gentilmente, vi chiede se mezzo chilo di ciascuno vi va bene (non avete idea di quanto rappresenti mezzo chilo di dolciumi cistercensi ma non vi sembra il momento di mettervi a discutere, annuite beotamente, se vi avesse proposto di portarvene via 5 chili avreste probabilmente annuito allo stesso modo grato e meravigliato). Da lì, è fatta: contare una decina di minuti (la suora si allontana sulle pantofole a preparare chissàddove i vostri vassoietti, immaginate cunicoli e enormi cucine medievali con mortai smisurati e giganteschi ricettari incunaboli – ma magari la vostra immaginazione si sta un po’ imbizzarendo…), e infine procedete agli scambi di rito (soldi, pacchettini col nastrino, monete ecc), salutate e ringraziate calorosamente. Al finale l’operazione vi prenderà circa 20 minuti, e in scambio di 22 euro porterete via due pacchettini: l’uno contenente 500 g di couscous dolce, l’altro 500 g di dolcetti misti… E uscendo da lì vi sentirete stranamente leggeri e felici… :-)
E come sono quindi allora sti famosi dolci delle suore di Agrigento?! Beh, sono niente male :-)) I dolcetti da un lato sono, almeno per noi, i migliori mai assaggiati in Sicilia (dici niente!), e per un motivo molto semplice: sono molto poco dolci. In sostanza, nonostante le forme siano varie, le componenti di questi dolcetti sono poche, si tratta in pressoché tutti i casi di mandorle e pistacchi tritati in modo più o meno fine (e abbinati fra di loro o no, dipende), con certo delle aggiunte di zucchero e forse farina ma in quantità minime, insomma, questi dolcetti hanno il buon sapore pieno di mandorle/pistacchi, un sapore molto autentico, e non risultano quindi stucchevoli e esageratamente dolci come invece spesso capita. E quindi anche solo per i dolcetti, il viaggio ne valeva la pena. Il couscous invece, beh, non l’ho capito manco io :-)) Sembra sia composto veramente di semola, cioè, il sapore tipico della semola incocciata del couscous c’è, solo che la semola sembra ‘impastata’ con una forma di pasta di pistacchi (e il tutto è umido al punto giusto, non si tratta quindi di aggiungere semplicemente dei pistacchi tritati a della semola già cotta, il procedimento è diverso ma non so immaginate quale sia… :-), in ogni caso, la sostanza pistacchiosa del couscous assomigliava molto alla pasta di pistacchi di alcuni dei dolcetti di prima, solo che era perfettamente amalgamata e incorporato alla semola. Oltre al pistacchio, il couscous contiene delle micro gocce di cioccolato, e viene decorato con un po’ di ciliege candite, e anche qui, l’insieme è dolce ma con parsimonia, proprio come piace a noi, gradevole da mangiare e nient’affatto pesante o stucchevole :-) Bene, non ci resta quindi che trovare una volontaria che vada a farsi suora al monastero di Santo Spirito al fin di carpire i segreti di fabbricazione di tutto questo bendiddio…? :-))
Un altro luogo che ci era stato caldissimamente raccomandato era la scala dei turchi, il sito si trova a Realmonte, accanto alla ridente cittadina di Porto Empedocle (non la definirei esattamente ‘ridente’ però essendo la città ha dato i natali a Pirandello e a Camilleri il rispetto ci sembra doveroso, anzi, avete notato cosa c’è scritto fra partentesi sotto il nome del comune?!… :-). In sostanza, si passa da porto Empedocle, si segue il mare verso ovest e lungo la strada a un certo punto spunta il lido della scala dei turchi: scendete da li in spiaggia (ci saranno una trentina di metri di dislivello) e seguendo la spiaggia vi potete avvicinare a questa stramba scala di marnia, levigata, bianca e naturalmente antiscivolo. Un posto davvero curioso e decisamente bello da vedere :-)
Infine, per ripigliarci da tute queste scoperte, ci voleva una cenetta al mare, o piuttosto a San Leone (che sarebbe in qualche modo lo scalo di Agrigento): siamo stato al Caico, una trattoria di pesce che esiste da quasi 60 anni, segnalata fra le osterie d’Italia Slow Food oltre che da un paio di gentili amici su twitter e facebook :-)). Siccome io sono fissata (anzi, dovrei dire ‘drogata’ anzi non sapete quanto è difficile farne a meno da due giorni) abbiamo iniziato con la caponata e le panelle (che se non me li mangiavo una volta al giorno non mi sentivo bene, anche se a posteriori abbiamo un po’ rimpianto il non aver assaggiato gli antipastini misti che intravvisti da lontano sembravano piuttosto interessanti :-)), poi pasta con gamberi rossi e pomodorini (mi sono pure fatto spiegare la ricette, che è piuttosto semplice e classica, eppure i sapori erano complessi e avvolgenti, io non capire, sarà la materia prima, sob :-) e una grigliata di pesce che era semplicemente ottima. E approfitto per salutare Marco Maccarone, l’ultima generazione in cucina, per la sua gentilissima accoglienza, le lunghe e appassionanti considerazioni sul couscous, il tonno e la caponata – e anche per averci fatto scoprire la birra al vialone nano De Tacchi ;-)) Insomma, non ci avevo mai pensato ma visto che in qui giorni ho mangiato gamberi a gogo, oltre che per le panelle, il pane, la caponata e le arancine, la Sicilia e sopratutto la sua costa sud è una stupenda terra promessa per gli amanti dei gamberi rossi… (fra cui io, aahhhh…. :-))) To be continued…
Scritto da Sigrid lunedì 27 settembre 2010