
La storia sacra di Akragas, si può dire, si snoda interamente sulla collina meridionale, la famosa “Collina dei Templi”.
Essa accolse i segni della religiosità dei primi coloni, almeno a partire da una generazione dopo la fondazione, e i primi culti furono per le divinità ctonie Demetra e Kore, con recinti e sacelli (alcuni di risonanza cretese) e altari rotondi con bóthros centrale in gran numero.
Infatti il settore occidentale della collina si presenta articolato in tre parti, dal Tempio di Zeus alla Colimbetra. E questa la zona della collina in cui la ricerca è stata resa possibile dalla situazione di interro dei ruderi, assolutamente assente per i templi più noti. Tra il Tempio di Zeus e la Porta V è tutto un complesso di strutture di carattere sacro (sacelli, thesaurói, stoà, lesche, sale di riunione) e forse anche di abitazioni che già alla fine del VI-V secolo a. C., in un regolare assetto urbanistico di strade e piazze, affollavano l’area.
A ridosso di Porta V è un santuario con caratteri particolari, costituito da un tempietto e da un piazzale lastricato antistante, limitato, all’estremità opposta, da una sala rettangolare con deposizioni votive.
Di tale tempietto si sono distinte quattro fasi: la prima di impianto, in cui il tempietto (lungo 14,50 X 4,80 m) ha una triplice ripartizione in pronao, cella, àdyton; esso si data nel terzo quarto del VI secolo a. C. Nella seconda fase al tempietto viene aggiunto un vano quadrangolare comunicante con il pronao e in una terza fase, l’una e l’altra nel corso del V secolo a. C., sulla fronte viene aggiunto una specie di própylon pilastrate, che avvolge il pronao originario su tre lati; il tempietto accresce così il suo interesse, assumendo forme complesse e singolari, con tre corpi sporgenti che riconducono all’illustre esempio del tempio a tre facce o Eretteo.
Nello stesso periodo, all’esterno, il piazzale antistante il tempio, dapprima pavimentato in battuto arenario, risulta sistemato con una massiccia pavimentazione di grossi conci, e a esso si accedeva dalla strada che entrava da Porta V.
In un’ultima fase, del IV secolo a. C. e di età ellenistica, alla sopraelevazione del livello interno del tempio corrisponde una ripavimentazione del piazzale, mentre il própylon accoglie un recinto con due altari quadrati.
Un portico ad L nel VI-V secolo a. C. limita l’area di questo santuario sui lati ovest e nord, completato in età ellenistica, quando una thólos fu aggiunta all’estremità sud e il braccio nord fu continuato fino a coprire le strutture della lesche arcaica.
Al di là di Porta V è il settore caratterizzato da strutture che costituiscono il santuario tradizionalmente noto come Santuario delle divinità ctonie. Si tratta di un complesso cultualmente e topograficamente unitario di edifici (templi, sacelli, teméne, altari rotondi e quadrangolari). La sua storia è stata ricostruita secondo un ordine logico e conseguente, soprattutto racchiusa nei secoli d’oro di Agrigento: il VI e V secolo.
Le premesse sono state indicate negli avanzi di un altare preistorico della tarda Età del Bronzo, al di sotto del muro di témenos orientale a contatto con la roccia. La vita greca sarebbe iniziata e si sarebbe sviluppata già nella prima metà del VI seco lo a. C., quando sarebbero sorti i due temóne o recinti con altare all’interno, verso l’estremità nord; seguono i due sacelli a mégaron e un oikos a pianta trasversale, oltre agli altari rotondi e quadrati disseminati nell’area. Verso la metà del VI secolo si sarebbe avviata la costruzione di un tempio vero e proprio, tentativo non portato a compimento. Alla fine del VI secolo sarebbe stato ingrandito l’oikos a pianta trasversale con l’aggiunta di pronao e vi sarebbe stato un altro tentativo di costruzione templare che, anche questa volta, non sarebbe andato al di là della piattaforma di fondazione che si conserva.
Nei primi decenni del V secolo, infine, si realizza il completamento strutturale del santuario, con la costruzione del tempio períptero (il cosiddetto Tempio dei Dioscuri). A sud di quest’ultimo viene elevato nel IV secolo un altro grande tempio con altare monumentale. Al di là del témenos occidentale un terrazzo di forma approssimativamente triangolare, affacciato sulla valletta della Colimbetra, accoglie, tra il VI e il V secolo a. C., esclusivamente donari e stele votive; mentre nel IV secolo e nel primo periodo ellenistico l’area votiva si precisa cultuale con sacello a due ambienti ed edicola monocella.
La smisurata ansia costruttiva, che Empedocle attribuiva ai suoi concittadini, è testimoniata, già a partire dalla fine del VI secolo e per tutto il V, dai resti di ben dieci templi, di cui sette proprio sulla collina.
Inizia la serie il Tempio di Eracle identificato secondo l’indicazione di Cicerone che ricorda un tempio di questo dio presso l’Agorà, quest’ultima accertata nell’area immediatamente a nord. E il più arcaico fra tutti i templi agrigentini, assegnabile alla fine del VI secolo: da una parte contiene residui elementi di arcaismo occidentale (períptero di 6×15 colonne, cella allungata senza corrispondenza tra le ante e le colonne frontali della peristasi, difficoltà nella scansione uniforme degli interassi, echino di forma espansa) e dall’altra preannunzia elementi classici peloponnesiaci (disposizione asimmetrica ed equilibrata con pronao ed opistodomo, assenza dell’àdytori).
Della trabeazione, problematica per la presenza di elementi duplicati, sia pure differenziati nelle dimensioni, è particolarmente interessante un’alta e profilata sima calcarea fornita di grondaie leonine, della metà circa del V secolo a. C. L’influenza canonica peloponnesiaca si dispiega nei due templi più noti, databili fra il 460 e il 440 a. C.
Il Tempio cosiddetto di Giunone Lacinia, emergente all’estremità orientale della collina, con le sue 6X13 colonne e il modulo unitario che regola l’intera costruzione, raggiunge il rapporto equilibrato dei templi della madrepatria; la cella è inserita nella peristasi, con piena corrispondenza.
Il Tempio detto della Concordia è uno dei templi più completi del mondo greco, insieme al Theseion di Atene e al cosiddetto Posidonion (ora riconosciuto Tempio di Era) di Paestum. La sua conservazione è dovuta a una frequenza di culto che dalla trasformazione del tempio in basilica cristiana nell’anno 597, ad opera del vescovo Gregorio, durò con alterne vicende non sempre verificabili fino al Seicento. Esso ripete, con maggiore perfezione, i caratteri e i dettagli del precedente Tempio di Giunone: períptero di 6X13 colonne, con cella armonica- mente inserita e una esattezza tecnica costruttiva che riduce al minimo le oscillazioni degli interassi e risolve il problema del rapporto tra triglifi e assi delle colonne, che nel Tempio di Giunone era stato affidato alla contrazione di tipo semplice, con una duplicazione della contrazione, distribuita nei due ultimi interassi. Non sembra tuttavia che sia presente in questo, come negli altri templi agrigentini, l’accorgimento tecnico-estetico caratteristico dei templi della madrepatria che affida la correzione ottica alla curvatura dello stilobate.
Nulla aggiunge alla storia dell’architettura dorica di Agrigento il Tempio dei Dioscuri, che dovette rappresentare la monumentalizzazione canonica del modesto santuario arcaico nella parte occidentale della collina. Di esso rimane il risollevato angolo nord-ovest dove il geison, con la sua profilatura arricchita di un kyma ionico e uno lesbio e la sima sporgente con una rosetta plastica nel concio d’angolo, e le mascherette leonine a distanza ritmica hanno fatto pensare a un restauro ellenistico del tempio, che dovette essere distrutto nell’invasione cartaginese del 406.
Originale, e in gran parte fuori della formulazione canonica del tempio dorico, è il Tempio di Zeus Olimpio che, con il Tempio G di Selinunte, era il più colossale dell’Occidente: oggi un ammasso di rovine, ridotto alle fondazioni. Costruito dopo la vittoria di Terone sui Cartaginesi del 480 a. C., era ancora incompiuto al momento dell’invasione cartaginese del 406.
Le dimensioni sono all’euthynteria 56,30 X 113,45 e su tale rettangolo di base si ergeva un crepidoma di cinque gradini su cui si innalzava la pseudo-peristasi costituita da 7X14 semicolonne che, appoggiate per l’intera altezza a un muro, con esso avvolgevano la cella al posto della normale peristasi, mentre sulla parete interna ad ogni colonna corrispondeva un pilastro.
Una zoccolatura modanata correva ininterrotta alla base del muro e delle colonne le quali, ad eccezione delle scanalature, prive di tamburi e costruite con conci a settori di cerchio, partecipavano della struttura dell’elemento murario di cui quasi esprimono una decorazione intrinseca. Completava la singolarità dell’aspetto esterno la presenza di figure plastiche di giganti che, collocate nei vasti intercolumni a un’altezza di 13 m dallo stilobate, costituivano “il pendant” figurativo delle colonne e spartivano con queste il peso della trabeazione.
All’interno dello spazio racchiuso dalla pseudo-peristasi, simmetricamente si inserisce la cella che presenta una partizione con pronao e àdyton e con la particolarità delle pareti scandite da pilastri in corrispondenza con quelli della pseudo-peristasi. È da osservare che, pur nella singolarità della concezione e nella esoticità di certe influenze tipologiche, si riesce a cogliere l’adattamento formale siceliota nella colossalità provinciale delle dimensioni, nella tenace presenza dell ’àdyton, che ormai ha assunto le proporzioni di un opistodomo, nell’applicazione pratica di simmetrie matematiche, nella concezione dello spazio circoscritto e concreto, specie se — come sembra — la copertura era limitata ai vasti ambulacri perimetrali della cella.
All’estremità occidentale della collina, il Tempio detto di Vulcano, di cui resta ben poco; era un períptero di 6X13 colonne con cella tripartita, sorto nella seconda metà del V secolo a. C. su resti di un sacello arcaico. Completano la serie dei grandi edifici sacri tre templi fuori della collina.
Sulla Rupe Atenea il Tempio di Demetra con cella e pronao in antis di 13,30 X 30,20 m, ancora oggi solitario sulla terrazza intagliata nella roccia, cui conduce una strada che conserva ancora le carraie di età greca; datato al 470-460 a. C., era forse in correlazione con il vicino santuario rupestre fuori le mura; fu trasformato dai Normanni in una Chiesetta dedicata a S. Biagio, che ha inglobato gli ortostati superstiti delle pareti laterali e la “graticola” di fondazione; significative per la cronologia le protomi leonine della grondaia, tra i migliori esemplari della plastica architettonica agrigentina.
Sulla Collina di Girgenti è il Tempio cosiddetto di Atena, inglobato nella Chiesa medievale di S. Maria dei Greci: era un periptero di 6 X 13 colonne alla maniera dorica canonica, con cella fornita di pronao e opistodomo.
Nella piana di San Gregorio, vasta distesa alluvionale ai piedi della collina sacra, il tempio probabilmente dedicato ad Asclepio, citato da Polibio a proposito dell’assedio romano del 262 a. C.: tempietto in antis della seconda metà del V secolo a. C., è composto di pronao e cella con falso opistodomo, indicato da due mezze colonne strutturate col muro di fondo fra robusti pilastri angolari che hanno aspetto e funzione di ante.