David Herbert Lawrence si può effettivamente ritenere un grande italiano di elezione, se non addirittura un italiano nato per caso nel Regno Unito – questo nostro divino Paese che si può definire come un accogliente e miracoloso sanatorio per gli innumerevoli illustri e ignoti stranieri i quali ne riportarono sempre incalcolabili benefici fisici e spirituali esercitò sul celebre romanziere inglese una influenza veramente determinante.
Soprattutto esso gli raddolcì l’animo, lo fece ricredere e meditare su parecchie cose, gli diede una gentilezza e una calma riposante che egli invano avrebbe trovato nel suo Paese.
L’Italia — ne siamo sicuri — sarebbe col tempo riuscita anche ad operare un grande miracolo nel suo spirito tormentato: quello, cioè, di ricondurlo definitivamente verso Dio dal quale lo allontanò l’ebrezza di un paganesimo che noi italiani — cattolici praticanti per tradizione e intima convinzione — non comprendiamo e non sentiamo sia pure come manifestazione artistica.
Ecco l’abisso che ci divide da Lawrence, uomo e scrittore. Ci riconciliamo soltanto con l’altro Lawrence, cioè con il fervido- entusiasta ammiratore e magnificatore del carattere degli italiani – i Siciliani in particolare, delle caratteristiche della nostra terra (specialmente della Sicilia che egli adorava).
Qui il romanziere britannico non è più il mago del mistero sessuale, il celebratore spregiudicato – e in qualche punto ateo – della vita della natura, il negatore di ogni legge suprema che si impone sugli esseri in nome di Dio, ma è l’artista il quale soffocando per un momento l’istinto del sensi carnali — come nell’«Amante di Lady Chaterlay» — riesce a scrivere sull’Italia e e sulla nostra Isola pagine di superba bellezza.
Giustamente considerato come uno tra i maggiori e più personali e significativi romanzieri e poeti Inglesi contemporanei, Lawrence offre alla indagine critica materia per una sequela di varie e complesse interpretazioni, essendo una di quelle personalità dominate dall’antitesi e da uno strano giuoco di Idee che impediscono di formulare un giudizio preciso e per di più completo e definitivo.
Continuamente diviso tra cervello e sensibilità — fra senso e coscienza — la sua arte risente del suo spietato male fisico — l’etisia— che lo falciò alla età di 45 anni e principalmente da quel male — il quale corrode anche il sistema nervoso — facendo dell’individuo spesso un nomade irrequieto e sempre insoddisfatto — che derivano le sue anormali avventure amorose, e l’eccesso del sensi.
Cosi che egli si rivela n noi come uno dei più spregiudicati materialisti pur eccellendo e signoreggiando sempre in lui l’artista il quale sa cogliere ogni vibrazione umana e ritrarre alla perfezione tutto ciò che scaturisce da una natura perfetta, com’é —ad esempio — quella siciliana. Si veda a questo proposito il «Crepuscolo in Italia» del Lawrence
Questo grande figlio di un minatore di carbone di Lastrgod — poi studente universitario e infine maestro di scuola elementare — merita di esser meglio conosciuto tra noi. II suo nome é particolarmente legato alle traduzioni In Inglese del «Mastro don Gesualdo» e delle Novelle rusticane di Giovanni Verità. E proprio nel periodo in cui l’illustre scrittore anglosassone si accingeva a tale difficile compito, lo avvicinai a Taormina, intervistandolo per «La Stampa» di Torino.
Il giorno prima egli era arrivato a Palermo dove faceva frequenti gite. «Sono reduce da Palermo — mi disse subito — Fra le città siciliane è quella che mi innamora più di ogni altra ! Ecco perché la visito spesso Questa patria della lingua italica respira ancora in pieno la passata grandezza, vi rivive lo splendore di un tempo attraverso la squisita signorilità dei suoi abitanti. Ora si che comprendo l’entusiasmo di Goethe per Palermo!».
Poi egli mi chiese: «— Che ne pensa del lavoro al quale mi sono dedicato? (alludeva alla traduzione nella sua lingua del Verga)». Mi permisi di fargli notare come il sommo scrittore siciliano, a differenza di Maupassant, Flaubert, Bourget, ecc. per restare nel campo dei latini _ offra poco o nulla dal lato psicologico Egli è — affermai — tutto istinto e natura, di un realismo saturo del temperamento siciliano. — Ora — come può Ella rendere al completo nella lingua inglese il temperamento siculo – il Lawrence rifletté un momento — quindi sbozzando un sorriso — rispose: «Anche io mi son posta tale domanda Tuttavia continuerò il mio lavoro. Se mai lo giudicheranno l’onesto tentativo di uno scrittore straniero innamorato della Sicilia».
Durante la lunga permanenza nella nostra Isola e in tanti viaggi e permanenze in Italia lo scrittore inglese doveva avere appreso l’italiano sempre meglio (nel breve colloquio ebbi con lui m’accorsi che pronunciava chiaramente il nostro idioma) e a Taormina — ove abitualmente risiedeva — sempre meglio il dialetto Siciliano che gli sarà prezioso al momento di tradurre il Verga (sto imparando sul posto il dialetto siciliano e fatto progressi!) «Giovanni Verga– egli confessa in una lettera — esercita una malia così piena su di me che mi trovo alla fine come sofferente». E in un’altra sua da Taormina all’amico Curtins-Brown «Ho letto i romanzi siciliani e le novelle siciliane del Verga. Li conoscete? Una volta entrati nello stile difficile (almeno per me) l’interesse diventa straordinario! Verga è il solo scrittore italiano che mi interessi.
E’ uno scrittore gigante, omerico — e ci vorrebbe qualcuno che conoscesse molto bene l’uso del dialetto inglese per tradurlo e per questo appunto vi sono tentato ». Sempre allo stesso amico, una lettera senza data, ma sicuramente di fine gennaio o della prima settimana di febbraio (1921) ci mostra il Lawrence «finalmente impegnato» nella traduzione di «Mastro don Gesualdo».
Dobbiamo esser grati a Piero Nardi il quale è riuscito a rintracciare alcune fra le più interessanti e significative lettere siciliane del Lawrence il quale lavorava con pieno fervore a Taormina: «Non c’è altro luogo d’Italia — afferma — che mi piaccia come Taormina!».
La visita dell’Etna (è una lettera del 4 aprile 1921) gli ispira questa magnifica e scultorea descrizione, maschia e incisiva: «Quando la guardo bassa e bianca di neve – la tremenda strega — sotto il cielo roteare pigramente il suo fumo di arancio, e di tempo in tempo sprigionare un respiro di fiamma rossa e rosa — mi ritrovo con gli occhi distolti dalla terra su all’etere — e come rapito in un basso empireo. I Greci la chiamavano piedistallo dei Cieli. Quel popolo aveva un senno della magica verità delle cose!». Spesso e volentieri egli si recava a Siracusa all’unico scopo di poter gustare in ferrovia quel tratto incomparabile: « Amabile è il viaggio — dichiara in una lettera a un amico londinese — da Catania a Siracusa in primavera, serpeggiando intorno il… (illegibile) del mare, là dove il grande asfodelo rosa moriva e quello giallo come un figlio mostrava la sua seta »
David Herbert Lawrence dopo un lungo viaggio in Sicilia — appare ai nostri occhi tendenzionalmente più latino che anglosassone: « Ieri — come un sole di fiamma — abbiamo salutalo il Mediterraneo: «il Sud ! il Sud ! il Sud ! » l’ultimo saluto del Lawrence alla Sicilia e alla sua gente che lo aveva fatto migliore come uomo e come scrittore
Francesco Geraci