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via atenea anni venti del secolo scorso
via atenea anni venti del secolo scorso

Conosciamo la via Atenea ad Agrigento: la storia e i tanti palazzi della via maestra

6 Maggio 2016 //  by Elio Di Bella

via atenea anni venti del secolo scorso
via atenea anni venti del secolo scorso

di Tommaso Carlisi, Renato Danile, Paolo Licata 

La via Maestra, oggi Atenea. nasce come un asse di collegamento tra i quattro borghi medioevali: il più antico è quello di San Gerlando. ad est quello di Pecora Tonda (San Michele) e quelli posti a quota più bassa attorno al monastero dì Santo Spirito (Batarànni) ed attorno alla chiesa di San Francesco d’Assisi ed all’omonimo convento chiaramontano.

Contrariamente a quanto si possa immaginare, essa non era la strada più importante della città e tale rimase sino all’Ottocento. Infatti, asse centrale della città fu la via Duomo e, successivamente, la via Carnevale (poi LùFoderà). Questa univa il monastero di Santo Spirito con la piazza Purgatorio, per poi immettersi nel tratto più antico della stessa via Atenea. la quale sorge, quindi, come un asse di circonvallazione in prossimità delle mura chiaramontane (realizzate nel XIII sec.).

La “Porta di Ponte” (oggi Porta Atenea) fu realizzata quale accesso alla città per chi proveniva dall’ antica strada romana di collegamento con l’entroterra ed il capoluogo dell’isola. Essa era in conci di calcarenite e con arco a sesto acuto, di fattura simile a quella tuttora visibile nella parte più bassa della via Empedocle che viene denominata “Porta Panitteri”.

via atenea 1905
via atenea 1905

La Porta non si trovava esposta perpendicolarmente all’asse della via maestra, ma un po’ inclinata verso Est, ed era circondata da casupole che, da una parte, si arrampicavano sul colle verso la chiesa della Madonna degli Angeli e, dall’altra, degradavano verso la chiesa di San Pietro.

Al di là della Porta si riscontrava una tipologia molto omogenea, caratterizzata da ampi fondaci a piano terra, con ammezzati sovrastanti. Questo tipo di costruzione era adatta al sito, visto che il viandante, varcando la Porta, immediatamente trovava luoghi per rifocillarsi nelle diverse osterie e botteghe.

 Questo primo tratto della via Maestra di chiamava “Piazza Piccola”, ed era ornata da ceste di pane, frutta ed ortaggi che i negozianti esponevano sulla strada e davanti alle botteghe.

La strada non era pavimentata, e dava alla città l’aspetto di una povera borgata. Nel 1854 fu dato l’ordine di chiudere le botteghe, sino alla casa Granet, a mezzo di banditore comunale a suon di tamburo, in quanto il basso popolo era tutto analfabeta.

Oltre la Porta, sul lato destro esisteva la chiesa d san Giovanni, che fu demolita per dare spazio al magnifico ingresso dell’Ospedale Civico (fondato nel 1235 e funzionante fino al 1961). La facciata sulla via Atenea dell’Ospedale, ormai cadente, fu demolita e ricostruita nel 1867.

Nello stesso anno il Consiglio Civico decise l’abbattimento della antica Porta di Ponte, con arco a sesto acuto, e la sua riedificazione con un’altra più ampia e maestosa, di stile neoclassico, con qualche motivo che sarà poi dell’Art Nouveau.

Per mettere in posizione perpendicolare con l’asse della via Maestra la nuova Porta, fu  necessario espropriare e demolire una parte del palazzo Mendolia (a sinistra di chi guarda).

La pendenza della strada fu rettificata abbassandola di circa cm. 80 in prossimità di casa Granet, mentre fu elevata di quasi un metro in corrispondenza della casa Caruso. Tutto ciò nel 1870, anno in cui la via Atenea fu lastricata con lastre di lava del Vesuvio, sino alla via Celauro. con una spesa di lire 142.000.

Le lastre furono sostituite, con identico materiale, nel 1904. Nel 1913 si continuò il basolato sino al casino Empedocleo e, contemporaneamente, fu realizzata la fognatura, di sezione ovoidale, con base di pietra calcarea e mattoni (valore dell’appalto lire 110.000). Queste attenzioni per la via maestra, chiamata sino a questo momento “Corso forzoso”, tendono a riqualificare quello che diventa l’ingresso della nuova città, che si apre verso un’epoca di forte espansione al di fuori delle mura medievali.

via atenea anni cinquanta
via atenea anni cinquanta

Le case sulla via Atenea erano di proprietà di professionisti ed impiegati che, a quei tempi, abitavano in tre o massimo quattro camere. La stanza di ricevimento coincideva con la camera da letto. I nostri avi conducevano una vita prettamente casalinga, la casa era decente, ma priva di mezzi di conforto. Si rifuggiva il lusso, sia nel mobilio che nel vestire.

Dopo il 1860, la gente cambia la mentalità, pretende la stanza di aspetto,  quella di ricevimento, quella per gli affari, la sala da pranzo e le camere da letto: ed i palazzi di via Atenea, appannaggio della borghesia, subiscono, cosi, intensi lavori di ristrutturazione. Il contadino possidente non vive più nei “catòi” con il mulo, l’asino e le galline, ma si fa costruire una o più camere superiori. E’  il primo “boom”edilizio.

Il minuto tessuto urbano preesistente viene elevato sino ai primi e, talora, ai secondi piani in tutta la città, che migliora igienicamente e si abbellisce. Scompaiono i “càntari” e cominciano a vedersi i gabinetti pensili, collegati alla nuova rete fognante. Passeranno ancora molti anni per avere l‘aequa potabile nelle case. Cambia pure il modo di vestire, si passa dalle giacchette corte e dai pantaloni sopra i polpacci (affibbiati ai due lati del ginocchio e tenuti da una sciarpa annodata ai fianchi) ai vestiti di foggia moderna (giacca e pantaloni lunghi). Le donne, invece, cominciano ad indossare gonne aderenti al corpo e corte sì da far vedere le caviglie, mentre ai piedi calzano eleganti stivaletti: e Francesco Paolo Diana, in un articolo del 1914, in cui descrive la nuova moda, afferma che tali parti del corpo andrebbero tenute celate.

Gli uomini non portano più il berretto lungo a maglia di cotone con in punta il fiocco di fili dello stesso tessuto che pendeva sin sulle spalle. I dolci si mangiano solo a Natale, a Pasqua e negli sposalizi, e sono prodotti dalle suore dei vari monasteri. Dopo il 1860 si comprano in tutte le feste principali dell’anno e vengono esposti nelle vetrine dei numerosi caffè sorti lungo la via Atenea.

Iniziamo, adesso, la descrizione dei principali palazzi sorti lungo la via Atenea.

Superato l’ingresso dell’ospedale San Giovanni di Dio si incontra, sulla sinistra, al civico 19, il palazzo Borsellino, con un monumentale portone sormontato da stemma baronale, e balconi sostenuti da mensole ad arco. Più avanti, sulla destra, vi è un altro ingresso dell’Ospedale, sul cui sfondo si intravede un arco chiaramontano che sfugge al passante distratto. 

Tornando a sinistra, al civico 37 si incontra il palazzo Carbonaro e quindi al civico 45 il palazzo Noto – Biondi già Sala, del ‘700. Al civico 61 i resti di quello che è stato il più bel palazzo di via Atenea: palazzo Costa in stile barocco, del XVIII sec.. Di grande pregio architettonico sono i mensoloni di supporto dei balconi, le ringhiere e i fregi attorno alle aperture. E’  stato anche il palazzo più deturpato, prima per la costruzione della vetrata espositiva del negozio sottostante, poi per un incendio: esso è costituito da un piano terreno, la cui destinazione originaria era quella delle rimesse, dei magazzini di sgombro, da un piano ammezzato (destinato all’amministrazione ed alla servitù, da un piano nobile che presenta, sul prospetto i quattro balconi sopradescritti che rimangono unica, concreta e pregevole testimonianza della bellezza del palazzo.

Sulla destra si incontra il palazzo Granet del XIX sec.. al quale si accede, attualmente, da due ingressi laterali: uno situato sulla via Vela ed un secondo nel cortile antistante piazzetta Zarcone.

Più avanti, sulla destra, si trova il palazzo Celauro, del XVIII sec. in stile barocco, con ingresso principale dall’antica via Celauro. Vi dimorò W. Goethe durante il suo soggiorno “giurgintano” del suo viaggio in Sicilia’ e Francesco Giuseppe d’Austria,  ai  primi del ‘900.

Sulla sinistra, poco avanti, s’incontra il Palazzo Giudice (si fa per dire). Infatti questo fu costruito (1879) originariamente, dal barone Genuardi, ad un piano e arredato – con buon gusto – dal ciantro Panitteri, abate dell’oro, oggi non resta nulla, in quanto una ristrutturazione anomale e speculativa ha cancellato i tratti essenziali dell’assetto strutturale dell’immobile primigenio. Più avanti, incontriamo  il palazzo Bentivegna. sito tra la  via omonima e la via Ficani, sul cui prospetto principale si ammira una grande edicola sacra, senz’altro la più bella tra quante si colgono lungo tutta la via Atenea (la maggior parte delle quali di scarso pregio artistico). Il palazzo si articola su quattro livelli. I Bentivegna in realtà, non ne furono i costruttori, ma lo acquistarono tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’800. Nel ‘700 fu sede di un’istituzione religiosa dedita al ricovero ed all’educazione di fanciulle povere (a quell’epoca era denominata “Casa Barba”, dal nome del benefattore). L’edicola, quindi, connota l’intero edificio, sede di presenze e funzioni filantropiche.

Tra i numeri civici 241-243 vi è palazzo Giuffrida (fine ‘800 – inizio ‘900). Procedendo, poi. sulla destra, dove la strada si restringe sensibilmente e i negozi moderni affollano, con le loro vetrine, i piani terni di dimore dignitose, impreziosite da cornicioni calcarenitici  in aggetto   si incontra il bel palazzo Caruso, del XIX sec.. che sporge sul piano stradale e si erge discreto, anche per il degrado del prospetto. Fu abitato da Giuseppe Picone, uomo di cultura, politico, autore di un pregevole testo di storie patrie ( tant’è che a lui venne intitolato il vecchio Musco archeologico di piazza Municipio). Accanto, si erge il palazzo Catalisano, che reca, la lapide dedicata a Michele Foderà, illustre medico e fisiologo, che diede il nome alla vecchia via Carnevale. Siamo nei pressi della “Posta vecchia”, antica sede degli Uffici postelegrafonici. A destra cogliamo la dorata, luminosa,  sforacchiala facciata del palazzo Contarmi, che oggi si distingue, per divisioni succedutesi  in varie epoche , in Palazzo Galluzzo, prima e palazzo Contarini appresso, riunificatosi alquanto di recente – nel nome dei Contarini. Il  palazzo confina con il Collegio di Maria.

Subito dopo tale Collegio, scopriamo la grave mutilazione operata ad un raro esempio di barocco agrigentino, quale era la chiesa di Santa Rosalia, edificata nel 1626 dopo la risoluzione dell’epidemia di peste che aveva mietuto migliaia di vittime in tutta l’isola. Il prospetto della chiesa, intitolata alla Santa che aveva mediato la miracolosa intercessione, era in tufo arenario, di gusto tardo – barocco, dalla particolare geometria a linee curve, L’interno, ad una navata, è decorato con stucchi settecenteschi. A destra vi è un dipinto che raffigura la Madonna col Bambino e i Santi, attribuito a Domenico Provenzani (1747-1808).

Proprio lì accanto, oltre la via Fodera, che si inerpica fra i due edifici religiosi, si erge maestosa, ricca ma essenziale nella sua geometria studiata, la chiesa di San Lorenzo, detta anche del “Purgatorio” (costruita nel 1650-1655), adagiata nello spirito del migliore barocco. La facciata, divisa in due ordini, contiene, nella parte inferiore, il portale con due colonne tortili ai lati e due statue allegoriche poste su alti piedistalli, arricchiti di immaginifiche sculture a bassorilievo. La parte superiore contiene, al centro, una finestra con colonne scanalate e. più lateralmente, due nicchie che ospitano due statue di Santi. Sulla sinistra, in alto, la torre campanaria. L’interno è ad una navata, ricchissima di stucchi settecenteschi, da alcuni attribuiti al Serpotta, da altri ad allievi della sua scuola: e pregevoli quadri arricchiscono le pareti. Una stupenda Madonna del Gagini (Madonna del Melagrana) conversa, dall’alto di una mensola, con la folla della nostra curiosità che si perde nella bellezza di questo tempio della fede e dell’arte. Geniale è. nel suo impianto (che svolge un ruolo di forte richiamo sul piano dell’arte e della fantasia) il Crocefisso del Cadetto, scultore agrigentino di indubbia capacità plastica.

Risalendo la via Maestra, arriviamo in piazza Caratozzolo. oggi adorna di piante che non la decorano ma la opprimono. Questa piazza, in realtà, è un “largo”, dove si affacciano memorie e cose che parlano di abitudini, di storia, di uomini. Chiamata, anticamente. “Piazza Vecchia”, circoscrive, a destra, un vecchio palazzuccio che porta il nome dei Caratozzol, già ( “Albergo di Ganzardi”) , ai piedi del  quale, in questo secolo, ha operato la più grande drogheria della città. A sinistra. si erge – alquanto lugubre – il palazzo Vella che confina, a Sud con un modesto tunnel, appellato “‘li Cannunèddru”. Il palazzo presenta un ampio portone, una scala squadrata e comoda che porta ai piani superiori,  dai cui balconi, rivolti a Sud,  oggi come allora si gode la vista struggente degli accesi tramonti agrigentini. Verso la fine dell’Ottocento i proprietari pensarono di valorizzare il prospetto Nord, su piazza Caratozzolo,  con l’impianto di una galleria, che realizzava l’aspirazione ad una più marcata rappresentazione sociale.

Segue il palazzo Conti, curato nel  prospetto, pur se di modesto interesse architettonico. Raggiungiamo, adesso, piazza Gallo, la piazza del Tribunale (antica “piazza Sant’Anna”), il  nome di Nicolò Gallo fu vanto per Agrigento e per l’Italia. Ministro e professore di estetica a Roma, lasciò un’impronta indelebile nel campo della Giurisprudenza. L’attuale Tribunale  venne rifatto sul vecchio palazzo dei Collegi Giudiziari, a sua volta edificato sull’area in cui incideva il convento di Sant’Anna. Sulla destra, era l’omonima chiesa, ove adesso sorge hi sede della Cassa Centrale di ‘ Risparmio, rifacimento sconcertante del vecchio glorioso Hotel Gellia. Di fronte al tribunale si nota una costruzione turrita, in stile neogotico, costruita, su progetto dell’ ingegner Gravanti, nel 1851. Fu destinata a Casa Comunale sino al 1867, poi ospitò la Banca d’Italia. Adesso è sede della Camera di Commercio.

Più acanto incontriamo piazza San Giuseppe (anticamente chiamata “della Riconoscenza”, per ricordare l’atto di magnanimità operato da Francesco primo che aveva restituito alla città la dignità di “capo valle”). Vi si affaccia l’omonima chiesa (1666- 1758) con la sconvolta gradinata di accesso (prima di forma ellittica e, successivamente, tagliata in asse con la strada) e il Casino Empedocle, costruito nel 1835 su progetto di R. Politi. Geometricamente, esso si rapportava alla piazzai antistante, qualificandola e divenendo quinta prospettica di indubbio valore scenografico, purtroppo irrimediabilmente deturpata dall’opprimente nude del palazzo Riggio.

A questo punto, la strada comincia a scendere verso la Piazza Municipio, chiamata oggi “Piazza Pirandello” ed un tempo appellata “Piano San Domenico”. Prima del 1860. di fronte al convento dei Filippini, in prossimità del vicolo Vullo vi erano due botteghe che attraversavano la via principale, riducendola ad uno stretto passaggio. Dopo il 1860 furono demolite contemporaneamente alla scalinata di accesso alla chiesa di San Giuseppe, dando nuovo respiro alla via Maestra.

Sulla destra, scendendo, si incontra il  Convento dei Filippini che fu sede dell’Istituto Tecnico della città, oggi finalmente ristrutturato ospita un museo .

In Piazza Municipio scopriamo, a sinistra, il palazzo del Museo Civico, oggi in via di ristrutturazione (che dura da almeno venti anni), ex convento degli Agostiniani fondato nel 1584. La destinazione a Museo avvenne agli inizi del Novecento. Adesso, dopo la temporanea destinazione a Museo Archeologico Regionale, curato con molto amore e competenza dall’iniziativa e bontà del prof. Zirretta, dovrebbe ospitare una pinacoteca di autori siciliani quali Lo Iacono, Camarda. Giordano, Politi, Novelli, etc…

Quasi di fronte, si erge la bella chiesa di San Domenico (1626-1736). La facciata ricorda quella di San Lorenzo. Mancano le statue. La navata è unica, e le pareti sono arricchite da belle e pregevoli tele settecentesche. Adiacente a tale chiesa, vi è l’ex Convento dei Domenicani. Palazzo Comunale sin dal 1827. Costruito nel XVII sec.. presenta un ingresso essenziale, costituito da un portale molto lineare e quattro finestre rettangolari, due per lato. Sopra si svolgono due ordini di balconi e finestre di gusto barocco, distinti da un marcapiano, largo e conveniente, su cui riposano le volute dei reggimensole dei balconi superiori.

All’interno vi è un atrio spazioso da cui si accede al Teatro, oggi intitolato a Luigi Pirandello, una volta alla Regina Margherita. Fu costruito nel 1870. su disegno di Dionisio Sciascia, agrigentino, e supervisionato dall’architetto G.B. Basile. Gli affreschi della volta, sotto opere di artisti milanesi e siciliani. Questo teatro è il vanto della città.

 

 

 

 

 

Categoria: Storia AgrigentoTag: agrigento, agrigento storia, agrigento stroia

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