
Prof. Arch. GIUSEPPE CARTA
Arch. GIUSEPPINA PILATO
Premessa
Il fatto di studiare l’urbanistica medievale separabile dalle trasformazioni posteriori è, ovviamente, strumentale perché le città hanno sempre una loro continuità fino ai giorni nostri, altrimenti sarebbero campi archeologici; eccetto, peraltro, i convenzionali limiti storici del periodo.
Più semplicemente questa relazione e le diapositive hanno lo scopo di esaminare quali sono gli elementi urbanistici comuni fra Agrigento e le altre città medievali e quali sono le specificità di Agrigento stessa. In altre parole, quanto Agrigento ha di Europeo, e quanto l’Europa ha di Agrigentino.
Ci basiamo su documenti noti, sugli studi di Shubring, Griffo, Marconi, De Waele, Fiorentini, Peri (in prevalenza archeologici) e su alcune illazioni in mancanza di scavi più estesi. Suggeriamo che l’Amministrazione comunale voglia affidare agli organismi quali il CNR o la Fondazione Lerici una scientifica campagna di studi sul sottosuolo di Agrigento. Queste campagne di indagini non distruttive, basate su indagini elettromagnetiche, di risonanza e pochissimi carotaggi hanno dato, come è noto, brillanti risultati in Etruria e nel centro storico di Benevento. In mancanza di conferme o di ribaltamenti di dati acquisiti sulla questione del sito Agrigentino, l’interpretazione aereofotogrammetrica dello Schiedt, l’uso del fotopiano e la lettura stereoscopica hanno fornito l’identificazione della topografia storica di Agrigento.
Ma questo convegno, tacitamente, vorrebbe essere « indolore »: vorrebbe trattare, cioè, di un periodo storico lontano supposto imperturbabile, senza nessun rapporto con il presente sfacelo della città, col problema della sua salva- guardia attraverso il Parco Archeologico, quasi a relegare lo studio in un tempo al di fuori del tempo, al di fuori dell’attualità. Proprio per la forza della continuità storica, invece, il convegno dovrà misurarsi inevitabilmente con l’attualità.
La città alto-medievale
Nelle città medievali le epidemie, le guerre, gli assedi, i saccheggi arrivano e se ne vanno come calamità naturali, piombando dal cielo come grandine, col ritmo di una o due generazioni. L’accrescimento urbano è dunque lento, caratterizzato dalla dimensione quasi unitaria dei manufatti, quali il mercato, il duomo, le chiese, i palazzi nobili che hanno quasi tutte le stesse dimensioni: questo è tipico in Occidente di una convivenza fra progetto della città e il luogo dove essa viene fisicamente edificata.
Si hanno tre ipotesi di fondazione della città medievale di Agrigento, in attesa di studi più approfonditi del sottosuolo:
che la città sia stata fondata nel periodo bizantino dato che la costa sud era la più importante per la flotta di Costantinopoli;
che la città sia stata fondata dagli Arabi, che avevano espugnato una modesta città, in parte romana e in parte bizantina, nata a nord della città ellenistica vera e propria;
che la città sia stata rifondata dai Normanni, sui precedenti tessuti arabi, del resto evidenti anche nella toponomastica.
Ai piedi della rupe Atenea era tessuta l’organizzazione urbana in un vasto quadrilatero, in cui funzioni residenziali e funzioni pubbliche si strutturavano secondo un rigoroso schema e reticolato allungato, tardo Ippodameo. Non si trovano nella prima città bizantina, tuttavia, l’impiego di mattoni romani di demolizione, il riuso di più grossi elementi edilizi in marmo quali rocchi di colonne, basi, cornici.
La città medievale fu tracciata non per sostituzione, ma per addizione sulla collina, seguendo organicamente il declivio, città costruita sui resti classici, spesso con i resti della precedente città, ma non con la stessa trama ellenistica.
Perché?
Perché, a mio avviso, non lo permettevano le condizioni orografiche, peraltro presenti anche nella città antica, ma sopratutto per la diversa concezione dello spazio alto medievale e per criteri di fondazione delle città. La concezione dominante all’atto del progetto della nuova città è quella del V secolo, la città degli uomini all’interno di una forma geometrica ideale, il cerchio: la Gerusalemme terrena a somiglianza dell’archetipo di Gerusalemme celeste, mediato sul commento di S. Agostino al Timeo platonico. Del resto S. Agostino era a portata di voce, per così dire, dei costruttori agrigentini, non solo nella residenza di Ipponia o Cartagine ma doveva passare da porti siciliani nei suoi viaggi verso Milano.
Scomparsi i centri vitali, le vie romane, le forme di produzione, le tecniche, la sicurezza per tutto il Mediterraneo, (una sorta di Day After), la Tarda Antichità e l’alto Medioevo sono epoche di ruralizzazione dell’Occidente.
La depressione demografica si lega, infatti, alla fuga nelle campagne di una parte della popolazione urbana. La progressiva disorganizzazione della rete di comunicazione terrestre e marittima; il ripiegamento della produzione artigianale e nelle grandi proprietà rurali (villae), il peso delle esazioni urbane di ogni tipo, spingono i cittadini a ritirarsi in campagna specie sotto il fiscale impero bizantino.
Abbandonati dall’Impero, le città operano come municipi indipendenti, con proprie magistrature e milizie.
Dopo gli attacchi dei Barbari, l’Italia meridionale appare come un vero e proprio cimitero della città. Nell’Italia settentrionale e centrale, dove si contavano venticinque civitates, ne sono scomparse sette; in Sicilia ne scompaioni sei.
In Sicilia in quel periodo si indebolisce la costa nord ma rimangono vitali nel sud, Siracusa, Agrigento, Lilibeo, approdi della flotta di Ravenna e di Bisanzio.
Agrigento decide di non continuare la vita sulla città bassa ellenistica più aperta ed esposta, ma per ragioni militari ristruttura con una addizione, come detto, il colle a nord-ovest ricco di silos e cisterne preesistenti.
In generale, rispetto al numero di abitanti, la città medievale rimane di modeste dimensioni.
Molte città europee importanti oscillano, infatti, tra i dieci e i ventimila abitanti.
La maggior parte degli agrigentini erano siti nella valle che va dai templi sino al mare, costeggiando Villaseta sino alla zona del Cannatello.
All’interno delle mura si svolgevano i mercati; fuori di esse c’erano le pendici del Monserrato, gran parte di Montaperto, il grande quartiere della Neapolis che si estendeva fino al Villaggio Mosè.
Fra il Platani (Holykos) ad ovest e il Salso (Imera) ad est, l’attuale colle di Agrigento era stato una frazione di Akragas, come si può notare dal numero di silos per la conservazione del grano, e dalle cisterne presenti, ma principalmente dalla esistenza di un tempio greco dove ora esiste l’attuale Chiesa di Santa Maria, detta appunto dei Greci.
I margini erano rappresentati da Cannatello, dal colle di Agrigento, Monserrato, Monteaperto, Villaggio Mosè. La zona di Cannatello era situata sotto il livello del mare, posizione questa, che ha favorito la formazione di zone acquitrinose, dalla quale si è sviluppata la malaria, provocando l’abbassamento demografico della città
Il porto era dotato di un lungo bacino alle cui banchine potevano attraccare navi di ogni genere, mentre l’economia locale si avvaleva dello zolfo, del salgemma, della pesca, della lavorazione della ceramica, mentre solo più tardi si rese necessario attivare un nuovo scalo a Porto Empedocle.
In questo senso il colle di Agrigento, per la crisi demografica in seguito alla malaria nei luoghi bassi, può essersi costituito come città autonoma, nell’interregno e nella lontananza del controllo di Bisanzio.
La città alta si chiamò Terra Vecchia o Girgenti, mentre Terra Nuova era la zona dell’attuale quartiere S. Michele, quasi un gemellaggio ulteriore con Gela (chiamata Terranova con Federico II) per una rinnovata parentela di fondazione.
Questa addizione è comune ad altre città. Per fare qualche esempio, vicinissimo per territorio ed etnia, basti ricordare in questo periodo: Selinunte che presenta una città bassa ormai svuotata e insediamenti bizantini oltre il Santuario della Malaforos più interno, riutilizzando persino necropoli a nord; basti ricordare le due Siracuse, la Catapoli e la Epipoli, riutilizzate, e anzi divenute capoluogo siciliano sotto Bisanzio; infine Gela, dove viene tralasciata l’Acropoli classica per fondare una « Terra Nuova » sui resti più ad occidente.
Seguendo la ricostruzione del Gaglio, il tracciato del centro abitato della città comprendeva via Bac Bac (piccola — piccola),il quartiere Bibbirria a settentrione (la Porta dei Venti) , il castello che concludeva come episodio dominante il centro urbano, la Porta di Ponte, la Porta dei Panettieri, la Porta di Mare, la Porta del Rabato (del villaggio), la Porta dei Cavalieri, la Porta Imera.
Scavi per costruzioni edilizie hanno consentito di individuare un’area che ebbe una destinazione abitativa molto intensa, particolarmente importante per la topografia e l’urbanistica medievale.
Nella salita San Giacomo tra via Garibaldi e via Oblati, la Chiesa di S. Giorgio conservò, fino al 1178, la funzione di perrocchia di rito bizantino.
È un’area che ha la lunghezza complessiva di circa 700 metri, quasi completamente interessata dalla presenza di piccole cisterne a silos a campana scavati nella roccia tufacea, che rilevano particolari del tessuto urbanistico medievale. I lavori di scavo hanno messo in luce dodici piccole cisterne in doppia fila e allineate ad una distanza di 9-10 metri, nella superfice su cui insiste il Palazzo Li Causi, in Piazza S. Giacomo.
In quel momento storico in Europa, quindi anche ad Agrigento, compare un nuovo tipo di centro urbano: la città vescovile. La presenza di un vescovo è di tale importanza che soltanto le città vescovili riceveranno il nome di « civitas ». A partire dal IV secolo il vescovo non è soltanto il capo religioso della città, ma ne assicura anche la direzione in ogni campo, economico, culturale, politico. Egli incarna la figura del Santo patrono, svolge il compito di protettore della città, intermediario presso Dio; è ambasciatore e difensore nei confronti delle eresie che minacciano le città. Spesso si presenta a respingere e patteggiare rese, assume diritti pubblici.
Il gruppo edilizio episcopale (la cattedrale, il battistero, il palazzo del vescovo) collocato talvolta fuori dalle mura, nel caso di Agrigento ai margini, rappresentava la traduzione in termini architettonici dell’autorità vescovile nel quadro della collettività urbana.
Dovunque la città vescovile assolve ad una funzione di città-stato precomunale in tono minore e con interruzioni in Sicilia per la conquista Araba, la successiva riconquista Normanna, e l’istituzione di un’economia autarchica e feudale.
(Il tipo esemplare del vescovo che trasforma la città in Sicilia con la propria azione è Gregorio Magno, Papa dal 590 al 604).
L’urbanizzazione Medievale è il risultato di un insieme di sviluppi, quali la crescita della popolazione, effetto della fine delle grandi invasioni, la relativa tranquillità portata dal movimento di pace della Chiesa, il soprannumero di abitanti che dalle campagne, divenuti mercanti nelle fiere, ritorna nelle città o nelle nuove periferie.
Il miglioramento della produzione agricola è dovuto ad una serie d’innovazioni tecniche, spesso modeste: l’uso più appropiato del ferro, la comparsa dell’aratro a ruota, più efficace di quello antico; l’adozione di colture di terreni più redditizzi grazie alla sostituzione della rotazione triennale con quella biennale (che prevedeva il riposo dei terreni per due anni su tre invece che per un anno su due). Il progresso dell’artigianato supera quello agricolo, in particolare nel campo tessile col telaio verticale o orizzontale e nella produzzione di energia. Il mulino ad acqua conosce uno sviluppo eccezionale, insieme al mulino per il cuoio e per i tessuti. In alta Italia lo stimolo economico si meni-festa sopratutto con la ripresa del commercio a lungo raggio (marittimo e terrestre), che trasforma la città in nodo delle vie commerciale e nella sede principale degli scambi, grazie allo sviluppo delle fiere e dei mercati urbani e suburbani.
È sorprendente trovare tessuti e artigianato siciliano dell’epoca, presenti in molti musei d’Europa.
La popolazione bizantina in Sicilia viene resa più numerosa fino al VI secolo dai profughi Ebrei, provenienti dalla Palestina in guerra; 57 comunità giudiache si insediano in vari anni nell’Isola. Queste comunità, non ben viste in una città vescovile (ricordiamoci dei frequenti e iracondi Concili), sono costretti ad insediarsi all’esterno del primo nucleo fortificato o comunque ai margini: erano obbligate al pagamento delle imposte e all’osservanza del codice civile, penale ed ecclesiastico.
Tale seconda addizione urbana alla città alta, ritengo, fu poi conglobata all’interno di una unica città non ancora cinta del tutto da mura, ma col progetto totale di esse già portato a termine. Faccio l’ipotesi che gli Arabi avessero costituito una Medina, in aderenza alla città bizantina (come la Halesa a Palermo).
Faccio una seconda ipotesi: che già il solco di Mura fosse tracciato: il perimetro ellittico, che vedremo nella ricostruzione, è l’intersezione della figura perfetta del cerchio, copia terrena della città di S. Agostino, col piano inclinato dalla collina di Girgenti, prospiciente proprio l’Africa.
Se così fosse (ed è desiderabile che lo sia), Agrigento sarebbe stata la prima città sensibile di una città mentale, la città di Dio, descritta ad Ippona, e quindi con forti e permanenti riflessi su tutta l’Europa cristiana.
La città Araba
La Agrigento vescovile, tuttavia, ha breve durata, dalla sconfitta dei Bizantini all’invasione dei Vandali fino all’invasione Musulmana. Pur disponendo di una certa difesa essa si offrì spontaneamente ad essi, diventando prima città tributaria e, in un secondo tempo, città schiava.
Trascorso l’inverno in Agrigento, il contingente Musulmano dell’829 prima si abbandonava al saccheggio e alla distruzione della città, poi si affrettava a ritirarsi a Mazara.
Agrigento aveva le dimensioni ridotte di un castello abitato forse da qualche funzionario imperiale, dal Vescovo con il suo clero, dai pochi artigiani, ma torna per una breve parentesi sotto la dominazione degli imperatori di Oriente.
Ma già la città espugnata dagli Arabi esisteva provabilmente nella sua attuale estensione, anche se gli spazi interni non erano stati tutti colmati, per difficoltà orografiche e per la presenza di giardini all’interno.
Dal punto di vista demografico, gli Arabi svuotarono la città dai suoi abitanti, non sventrarono la città alta, anche se di piccole dimensioni, ma colmarono alcuni vuoti, aiutati anche dallo scoscendimento naturale della collina e dalla organica aderenza ai vari anfratti naturali e artificiali che il tufo presentava.
Il fatto, poi, che le milizie abbiano sostato per un anno, siano ripartite e poi tornate, mi convincono che la esistenza di un perimetro murario (eventualmente da non espugnare una seconda volta) non costituisse un problema per la sua debolezza, o per la sua inesistenza o perché gli abitanti erano filo arabi essi stessi. Non avevano bisogno di costruire delle mura, infatti, essendo popolazioni che si difendevano via mare. Tuttavia il fatto di essere popolazioni barbare, in lotta spesso col gruppo di potere fatimita, può avere suggerito sullo scorcio dell’anno 1000 di unificare la trama medievale ormai deformata, unendo i quartieri degli Ebrei e i loro disuguali insediamenti ad ovest del colle. Questo spiegherebbe la diseguale tessitura delle mura, e l’ingloba- mento in esse di chiese « degli infedeli ».
Quelle che vediamo nelle ricostruzioni delle diapositive sono, è ovvio, trasformazioni Normanne, Aragonesi e Chiaramontane.
La città Araba la vediamo oggi nella molteciplità di cortili, altane, scale, passaggi. Ma non tutte le trame aperte e non geometriche sono di origine araba.’
In Agrigento, come altrove, si potevano distinguere le « shari », strade principali di collegamento urbano ed extraurbano. Da esse si innestavano i « darbi » le equivalenti delle attuali vie trasversali, da cui si diramavano i vicoli o« aqquizza » con un unico accesso, ciechi e basati sull’uso di forme ricorrenti.
A tale gerarchia doveva in parallelo corrispondere lo spazio unitario della città con i suoi edifici pubblici e di culto e con la residenza privata, strutturata secondo nuclei abitativi.
Queste considerazioni sono avvalorate dall’analogia riscontrabile nei tessuti urbani siciliani di matrice islamica.
Con la divisione della Sicilia nei Tre Valli di Mazara, Demone e Noto e la divisione della popolazione in Indipendenti, Tributari, Vassalli, Schiavi, il processo di graduale penetrazione dei musulmani in Sicilia divenne travolgente dopo la conquista di Palermo dell’831, eletta a capitale dell’Isola, divenuta sin da allora una delle città più grandi del Mediterraneo. Gli Arabi introducono o potenziano la coltivazione dell’ulivo, sommacco, datteri, limoni, cotone e continuarono la tradizione bizantina delle ceramiche con la tecnica della vetrificazione. Gli abitanti di origine araba, e quindi i loro manufatti architettonici, non scompaiono in tutta la Sicilia con la conquista Normanna. Le fonti storiografiche documentano una presenza araba in epoca normanna che si andrà poi affievolendo nella successiva federiciana e lo stesso Amari afferma che nel secolo XII, vi fossero consistenti nuclei musulmani. (Quando Ibn Gubayr racconta degli abitanti che si recano a pregare al « Musalla », l’importanza di tale notizia non è solo nel recupero dell’esistenza del recinto sacro, quanto nelle modalità pubbliche che caratterizzano tale partecipazione a « suon di timballi e trombe » in una fase in cui storicamente è già in atto la conquista normanna).
I secoli XI – XIV
I Normanni nel 1807 assediarono la città di Girgenti, dal nome pienamente musulmano, distruggendo le colture e paralizzando ogni attività agricola.
Essi crearono subito dopo un valido sistema difensivo di torri di avvistamento e castelli sulla costa, e fecero di Agrigento il principale centro di raccolta degli Arabi, poi espulsi da Federico II di Svevia. Proprio per questo fu necessario restaurare e completare le mura.
Dovunque le città medievali cambiano la loro struttura urbanistica per quattro grandi fattori di sviluppo: le corporazioni di arti e mestieri, le fiere, gli insediamenti dei nuovi Ordini Religiosi, il completamento delle mura urbane, in Agrigento avvenuto sotto i Chiaramonte.
Lo sviluppo dei mestieri specializzati nel quadro della divisione urbana del lavoro spinge gli artigiani a darsi un’organizzazione. Una necessità li porta a istituire delle regole, gli « statuti », per accrescere il loro potere collettivo e regolamentare la concorrenza. Da qui lo sviluppo delle Corporazioni, delle Logge, dei Mercati, delle Fiere. La specializzazione di questi mestieri è spesso molto forte. (Per esempio a Parigi, il Livre des mètieres, raccolta degli statuti delle corporazioni, organizzato nel 1268, annovera centotrenta professioni, di cui diciotto nell’alimentazione, ventidue nel tessile e nel cuoio, ventidue nella lavorazione dei metalli, trentasei nell’abbigliamento e così via. A Palermo si contano 20 corporazioni che avranno vita fino al ’600 inoltrato).
A Firenze, com’è noto, le Corporazioni venivano chiamate Arti.
Una pianificazione nelle botteghe rendeva il lavoro quasi « industriale » e le corporazioni avevano bisogno di un loro spazio urbano quali i magazzini, il luogo per il lavoro, il luogo per riunirsi, la Chiesa dedicata al Santo protettore, la loggia, l’ospedaletto. Elementi, questi, che caratterizzeranno il minuto tessuto urbano in Europa, e ovviamente ad Agrigento, fino al ’600 inoltrato.
I gruppi di Ebrei, dal momento che l’esercizio di gran parte dei mestieri sopratutto agricoli veniva loro negato, si riversavano in Agrigento per praticarvi un’economia monetaria e il prestito a interesse. Spesso detestati, in quanto stranieri ed usurai, vengono sempre più perseguitati sopratutto dalla metà dal XIV secolo in poi, quando le epidemie di peste nera ne fanno i capri espiatori.
Oltre alle ragioni puramente economiche, il controllo delle operazioni finanziarie e il carattere semipubblico dei cambiavalute attribuiscono alle Fiere cittadine il ruolo di una sorta di borsa o « clearing house » poiché si è ormai diffusa l’abitudine di regolarvi i debiti per compensazione. Le città che possiedono una zecca e sono economicamente forti trasformano la loro moneta in un simbolico strumento di prestigio a gara con le altre città.
È il caso di ricordare che le fiere avevano anche il senso di raccolta di denaro per le Chiese erigende, con alcuni notissimi esempi nella Francia gotica.
Sugli ordini religiosi, poi, si ricorda che l’aspetto delle città nel XIII secolo cambia per un movimento di carattere essenzialmente urbano: l’insediamento degli Ordini mendicanti, fondati sull’umiltà e la povertà per combattere l’eresia rispondere ai nuovi bisogni della società. Ai Frati predicatori, ai Domenicani, ai Francescani, vengono ad aggiungersi i Minori Osservanti, gli Agostiniani, i Riformati, i Minori Conventuali, i Cappuccini e i Carmelitani. Fuggendo l’isolamento per venire a vivere tra gli uomini, questi ordini costruirono conventi in città. Il papato impone che una certa distanza separi un convento di un Ordine mendicante da quello di un altro, per evitare la concorrenza a avvolgere le grandi città in una rete di edifici. Grazie a questo poli- centrismo religioso, i conventi diventano i centri dei quartieri in cui viene suddivisa la città: tuttora li denominano.
In Agrigento, tale situazione si ricollega alla politica iniziata dai Normanni, tesa a favorire l’immigrazione nelle città marittime, col duplice scopo di accrescere la popolazione cristiana e di potenziare al massimo la suscettività economica della zona legata alla fertilità del territorio e alla vivace attività del porto, in cui notevole era la presenza del naviglio cristiano in transito verso l’Africa. Con l’arrivo dei « Novi habitatores » l’insediamento si amplia assumendo le connotazioni di un centro mercantile ricco di fondachi localizzati in parte dentro le mura. L’Arcivescovo di Palermo impone un suo amico, Rinaldo d’Acquaviva come Arcivescovo di Agrigento nel 1244, proprio per risolvere questioni di confini territoriali.
Le chiese, infine, sono il punto di partenza delle processioni che attraversano le città. Con gli ordini dei mendicanti, straordinaria importanza assunse la proliferazione delle reliquie, i lasciti ereditari, la trasformazione edilizia.
È superfluo ricordare come i lasciti ereditari, anche molto consistenti, sono alla base dei perimetri feudali e, oggi, dei perimatri comunali e provinciali.
Dal Sec. XIV alla fine del ’500 le famiglie Chiaramente e Montaperto usurpano la demanialità di Agrigento, prolungano le mura fino alla zona del quartiere S. Michele, mentre il monastero di Santo Spirito rimase fuori il nucleo urbano.
Le mura delle città vennero restaurate con un sistema medievale, rinforzando murature precedenti, non bastionate ma verticali, o acquintate sugli speroni di tufo roccioso. Il castello dell’Itria di architettura bizantina, con la sistemazione della piazza circostante, rappresentava una emergenza archi- tettonica notevole e viene inglobato. Ai Chiaramonte si deve la cinta che inglobava la cittadella, detta ormai Terravecchia, i borghi di S. Francesco, S. Pietro, S. Michele, il convento di S. Francesco ad est e di S. Domenico a ovest, fuori le mura.
È complesso stabilire quando una città di antica formazione per problemi demografici, di difesa ect. — decide di rimettere in un diverso ordine figurativo e il proprio margine esterno diversificato in relazione alla campagna.
Da un punto di vista generale l’aspetto del disegno della cinta muraria (obiettiva solo sullo strapiombo a nord) evidenzia che la designazione del luogo fu molto spesso in corrispondenza fra la forte suggestione esercitata dalla città murata per paura di nemici noti e ignoti.
Essa trova un riscontro da un punto di vista concettuale nell’estraneità del territorio recintato a sacro rispetto a quello profano.
A questa sacralità partecipano non solo le chiese e le altre costruzioni cha stanno dentro il recinto, ma anche la natura stessa: vedi i frequenti brani rocciosi di tufo a vista. Esso non ha mai il carattere di spazio regolare, ma soltanto quello si spazio segnato dalla consacrazione.
Il tema delle mura più tarde va considerato dunque sotto tre aspetti:
il quadro strategico a livello insulare;
il problema specificatamente tecnico in relazione al dibattito suH’ingegneria militare (che verrà comunque approfondito nel ’500 e oltre in relazione a fatti di difesa e di simbolo);
il rapporto con lo spazio interno (la città, le porte) e con lo spazio esterno (infrastrutture e territori) necessari agli approvvigionamenti alimentari.