STORIA URBANA DEL COLLE DI GIRGENTI
La collina di Girgenti forma con la collina della Rupe Atenea il sistema di elevato che limita fisicamente a nord il quadrilatero che racchiude la città antica di Akragas.
Quest ‘ultima, fondata nel 582 a.C. da coloni rodio-cretesi, provenienti da Gela, sorse su un plateau costituito da una banchina di calcarenite sovrapposta alle argille azzurre plioceniche, su ampio declivio inclinato da nord a sud.
La città, cinta da mura sìn dal secolo della sua fondazione , appare, infatti, delimitata a nord, nel senso sopra accennato, ad est, dal costone roccioso dominante il corso del fiume Akragas (odierno S. Biagio), ad ovest dal ciglio roccioso sull’Hjpsas (odierno Drago); a sud, da un’antica ripa marina sul cui ciglio sorse la serie dei Templi, e ai piedi della quale si estende la vasta pianura alluvionale del quaternario recente percorsa dal ramo unificato del fiume Akragas (odierno S.Leone), dove era il porto della città antica.
La vallata in declivio da nord a sud, dai piedi delle due colline, quella di Girgenti e quella della Rupe Atenea, sino alla bassa collina dei Templi, era tessuta in età greca e romana dall’impianto urbano, quali gli scavi hanno rivelato regolare nel tracciato ed assi ortogonali, e in esso sorgevano gli isolati di abitazione e gli edifici pubblici di carattere civile.
Uno dei problemi topografici più vecchi della letteratura archeologica di Agrigento è quello relativo alla localizzazione dell’acropoli, per la quale vennero di volta in volta proposte la collina di Gìrgenti e quella della Rupe Atenea.
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Punti di partenza sono le testimonianze di tre fonti antiche, precisamente Polibio (II sec. a.c.), Diodoro (I sec. a.c.), Polieno (II d.c.).
Polibio dice che ” Acropoli è posta sopra la città verso il punto dove sorge il sole ed è limitata all’esterno da un inaccessibile burrone; nella parte interna una sola porta immette nella città.
Sulla cima fu eretto il Santuario di Atena e quello di Zeus Atabirio, come presso i Rodi, fondatori di Akragas”.
Diodoro, a proposito dell’assedio Cartaginese nel 406 a.C., dice che gli Acragantini assoldarono 800 fanti campani che “occuparono il colle sopra la città, chiamato collina Atenea”.
Polieno, a proposito di Falaride e della circostanza che occasionò la sua tirannide, dice che gli Acragantini “vollero costituire per duecento talenti sull’Acropoli un tempio di Giove Polieo la cittadella era rocciosa e aspra la venerazione del Dio avveniva pertanto , nel punto più alto”.
Sulle annotazioni di tali fonti greche, sia pure tarde, si è sviluppata la letteratura dal 1700 ad oggi, incerta ed oscillante tra la localizzazzione dell’Acropoli Acragantina sulla collina di Girgenti o sulla Rupe Atenea, quando non anche si siano volute superare le difficoltà, considerando Acropoli l’intero sistema collinare della collina di Girgenti e della Rupe Atenea, dal punto del Duomo di San Gerlando a quello della chiesa di S. Biagio (Serradifalco, Siefert), con variabile ubicazione del Tempio di Zeus Polieo sulla collina di Girgenti e quello di Zeus Atabirio e Athena sulla rupe.
La posizione degli studi più recenti al riguardo è quella di identificare la rupe Atenea come Acropoli della città greca, con il santuario di Zeus Atabirio e di Atenea; e che verosimilmente nel V sec. a.c., il circuito murario debba aver incluso, per ovvie ragioni di carattere difensivo, il colle di Girgenti con il tempio di Athena.
Certo è che le indagini archeologiche hanno in questi ultimi tempi accertato la presenza di strutture che sottolineano il carattere difensivo della Acropoli; mentre sul colle di Girgenti la chiesa di S. Maria dei Greci rimane incontrovertibile testimonianza di un precedente tempio greco, che essa ingloba nelle strutture di elevato, sovrapponendosi alle strutture di fondazione del tempio stesso.
Di tale tempio dorico, sul versante meridionale della collina occupata dalla città moderna, si conosceva un tratto del basamento del lato nord con i resti di 6 colonne, la parte inferiore di una colonna e un breve tratto del basamento del lato sud, alcuni conci del geison.
Negli anni “60 sono stati rimessi in luce le fondazioni del colonnato dei lati nord e sud, le fondazioni di entrambi i lati della cella, quella di un’ampia
piattaforma che avrà segnato il passaggio tra le cella e il pronao; le fondazioni laterali del vespaio su cui insisteva il pavimento della cella.
Nulla é stato possibile trovare, nell’occasione di quella ricerca, elementi della sua estremità orientale.
Il tempio era un periptero (m. 34.70 x 15.10) con 6 x13 colonne e cella fornita di pronao ed epistodomo.–
Tra cella pronao si ricostruiscono con certezza i due piloni cavi con scalette di servizio che conosciamo in quasi tutti gli altri templi agrigentini.
Proporzioni e forme lo daterebbero nel secondo quarto del V sec. a.c.
Che questo sia il tempio di Athena del V sec. a.C., non è possibile ancora affermare, augurandoci che una ripresa degli scavi nell’immediato intorno possano incontrare le stipi votive; che se fossero anteriori al 406 a.C. e contenessero i tipici ex voto di Athena, potrebbero dimostrare anche che la collina di Girgenti era sacra alla Dea e potrebbe essere stata il “lophos athenaois” di cui parla Diodoro (De Waele).
Il c.d. Athenaion della chiesa di S. Maria dei Greci non è l’unica emergenza archeologica sul colle di Girgenti.
Nell’esame della topografia archeologico-monumentale particolare rilievo presenta la rete di opere sotterranee generalmente connesse con l’alimentezione idrica della città, in relazione a quanto affermano le stesse fonti antiche (Diodoro XI, 25) che assegnano queste grandi opere di scavo e di ingegneria idraulica nel periodo immediatamente successivo alla battaglia di Himera (480 a.c.), grazie alla forza lavoro dei prigionieri di guerra cartaginesi, e ci tramandano il nome dell’artefice, tale Feace, sicchè questi condotti sotterranei si chiamarono feaci.
A parte vanno considerate le opere sotterranee che interessano le altre parti della città antica sino allo sbocco della Colimbetra, a sud del settore ovest della collina dei Templi.
A tale sistema di canali sotterranei sembra ricollegarsi la rete ipogeica che si apre su un terrazzo del colle di Girgenti e che percorre il sottosuolo dell’attuale centro storico della città, nel punto chiamato “Purgatorio”.
Date le condizioni di conservazione e la situazione di interro, solo recentemente è stato possibile trarre un rilievo di parte del suo percorso.
Si tratta di una serie di cunicoli, intramezzati da cavità più ampie ed alte, quadrate di pianta, talvolta con qualche pilastronel mezzo; nè mancano pozzi quadrati per aerazione; alcuni dei cunicoli portano i caratteristici canaletti di acquedotti.
A giudizio di Pino Marconi, la tecnica di esecuzione, confrontata con le cave di pietra dei Greci, rivelerebbe la tecnica propia di quel periodo e vive sarebbero le analogie con il lavoro degli acquedotti, nello scavo eseguito con il piccone a larga lama, dei cui colpi si vedevano le tracce.
Non v’è dubbio che parte dei cunicoli abbiano avuto la funzione di acquedotti, più con riferimento alle acque di infiltrazione che a un ipotetico punto di sorgente; così, come non pare dubbio che, specie in corrispondenza dei vani rettangolari a cui fanno capo le gallerie, si nota un lavoro di cava, con tracce dello stacco della pietra di conci regolari e rettangolari, che per il momento non è possibile riferire se a fabbriche elleniche o medievali.
Oltre al complesso ipogeico “del Purgatorio”, v’è una rete di due acquedotti che lo SCHUBRING indicava presso la casa Pancamo, e seguenti la direzione, con un braccio da nord-est passando per casa Zirafa, l’altro da nord passando per S. Maria dei Greci, Tonicella e S.Sebastiano.
In assenza di specifiche ricerche, evidentemente ostacolate dalla sovrapposizione della città medievale e moderna, il colle di Girgenti non presenta altre emergenze monumentali, ma ha dato luogo ad una serie di ipotesi che attendono conferma proprio dal piccone dello scavatore.
Così si è supposto con un buon grado di attendibilità che la cinta muraria di età greca abbia avvolto, specie sui lati sud est e ovest, il colle; impostandosi la linea meridionale sul ciglio, successivamente percorso dalle mura turrite medievali e quella occidentale sulla linea che congiunge l’attuale seminario con il punto del distretto militare; la cui distruzione fu criminosamente completata al momento della realizzazione della attuale linea ferrata negli anni “20 e”30; così trovano posto l’identificazione con il tempio di Athenea dell’edificio sacro di età greca inglobato nelle strutture della chiesa di S.Maria dei Greci; e la supposizione che il tempio di Zeus (di cui alla stessa notizia di Polibio IX,27,3)
si trovasse al posto dell’attuale Cattedrale di S.Gerlando (nonostante i risultati
negativi dei saggi fatti appositamente eseguire dal vescovo Lagumina lungo le fondamenta dell’edificio) e la conseguente localizzazione della Acropoli della città greca sul colle di Girgenti, come è opinione corrente a partire da Schubring sino alla prima metà del nostro secolo.
Nulla sappiamo dell’urbanistica del colle in età greca, ma se pur questo
accolse un insediamento, le abitazioni non dovettero essere organizzate diversamente dagli abitanti in collina, ricavati sui pendii rocciosi a quote diverse, talora con casette a schiera del tipo di quelle ai margini della Valle di quota 142,195,210; in ogni caso l’organizazione urbana,ovviamente, non ha presentato la regolarità del tessuto che caratterizza l’abitato nel resto della Valle.
La rete esterna delle strade non si è rivelata in nessun elemento, anche permancanza di studi appositi.
Potremmo congettuare che, ripercorrendo la cinta muraria medievale la linea di quella di età greca, il tracciato della via Atenea, pressochè in asse con la “Porta medievale orientale” (Porta di ponte )- a cui doveva corrispondere l’accesso di età greca- abbia ricalcato quello di un asse est-ovest dei tempi classici e che l’attuale via Bac-Bac abbia ricalcato il tracciato di uno Stenopos nord-sud.
Nessuna traccia di presenza del periodo romano è stata data di rilevare sul Colle di Girgenti , e pertanto si può opinare che, in quel tempo, esso sia stato abbandonato, essendo venute meno le ragioni del sistema difensivo costituito dalle due alture (Colle di Girgenti e Rupe Atenea), estendendosi la città romana nella vallata attestata a sud alla collina dei Templi.
Il periodo successivo a quello romano imperiale, con le invasioni vandaliche del V sec. d.C. e ancor più con la minaccia islamica preceduta dalle aggressioni piratesche, quando non ancora spedizioni organizzate, da parte dei governatori musulmani d’Africa a partire dalla fine del VIII sec. d.C.; vede l’abbandono dei quartieri della Valle, visibili e facilmente raggiungibili dal mare, dal quale nuovi agglomerati abitativi in grotte, per lo più scavate talora sfruttando cavità naturali, vennero a stabilirsi all’estremità sud-occidentale del “Colle”, in contrada che ha assunto significativamente la denominazione di “Balatizzo”; là dove, alla fine del secolo scorso, si rinvenne un agglomerato di gruppi di grotte, intercalati da spiazzi e da strade.
Nelle pareti verticali si aprivano alloggi trogloditici risultanti di un camerone, due piccoli vani con oistema, e un cortile con cunicolo; e si hanno elementi per ritenere che tale villaggio del Balatizzo raggiungesse il quartiere S. Croce e l’edificio degli Oblati nel cuore della città moderna e ad est si allargasse sino alla collina sottostante della distrutta chiesa del Carmine (atttuale palazzo dei Mutilati).
Tale villaggio trogloditico del Balatizzo, sviluppatosi in epoca bizantina, protrasse la sua esistenza almeno sino al XVII sec. d.C., sulla base dei dati di scavo, accomunandosi alle forme di civiltà rupestre comuni all’area mediterranea, e che in Sicilia ha la espressione più nota in cava d’Ispica.
Lo sbarco e la presenza dei musulmani in Sicilia conferirono ad Agrigento un ruolo e funzioni, quali la città da secoli non aveva più avuto, e ciò sopratutto per la vivacità del porto, per l’esportazione nella vicina Africa del grano e del salgemma, quale fu descritto più tardi in epoca normanna dal geografo Edrisi (l’Italia descritta nel”libro di Re Ruggero” compilato da Edrisi, testo arabo con vers. e nota di M. Amari e C. Schiapparelli, dagli “Atti della R. Accademia dei lincei” sez. 2, vol. II, Roma, 1883 p. 36 trad.). Ne conseguirono ripresa e sviluppo urbanistico e demografico. Il nuovo settore di espansione, abbandonato ormai la zona residenziale della Valle sotto la minaccia delle incursioni, si era nel VI e VII sec. d. C., orientato verso occidente, partendo dal colle di Girgenti. Lo stesso Edrisi scrisse che Girgenti era costituito dal hisn (la parte murata della città) e dal rabad (il borgo esterno).
La parte murata si sviluppa sulla collina sovrastante il villaggio bizantito, allargatosi a nord, nei quartieri dell’Addolorata ( l’odierno Rabatello); ad est, lungo il tratto sottostante alle mura meridionali verso S. Lucia, e nella contrada Tre Pietre, ove ancora nel sec. XII appaiono grotte adibite ad abitazioni (zona del liceo “Empedocle”). Le abitazioni trogloditiche non furono limitate nella zona bassa della collina, ma si estesero anche su questa, all’interno delle mura elevate negli anni della ricostruzione sotto i musulmani, tanto che ai primi del secolo scorso grotte-abitazioni esistevano ancora presso S.Maria dei Greci (A. NIBBY, Itinerario delle antichità della Sicilia, Roma, 1819, p. 76).
Un tale basso livello urbanistico segna i limiti di una cultura che, come è stato giustamente rilevato, va attribuita alle condizioni della epoca e alle abitudini degli uomini, più che a carenza di risorse Infatti la popolazione islamica trasferitasi in Sicilia, e nel Girgentino particolarmente, era costituita da Meghrebini, da berberi, legati all’uso delle tipiche abitazioni scavate nella roccia, alle “gurfe” e ai “grubi” (Edrisi, Description de l’Afrique et de l’Espagne, trad. R. Dozy et M. Y. De Joeje, Leida 1866, p. III ss.).
A queste abitazioni nella roccia andrebbero aggiunte le poche in muratura e le numerose in paglia e terriccio, legno e pietre alle basi, documentate fra i Berberi.
Pozzi e cisterne assicuravano l’approvigionamento idrico, come attesta Al Muquaddast (Biblioteca arabo-sicula, app. I p. 56). Se lo sviluppo della città musulmana a sud sul colle di Girgenti cinto da mura fu dovuto principalmente a ragioni militari, non vanno trascurate necessità logistiche e commerciali collegate allo spostamento del porto dalla foce del fiume S. Leone verso occidente, nella marina di Porto Empedocle, spostamento che si colloca su dati archeologici (ripostiglio monumentale trovato nel 1903 alla foce del fiume) nei primi decenni del IX sec. d. C.
Della città musulmana, scomparsa ogni traccia monumentale, sia edilizia che epigrafica, si sono conservate, particolarmente interessanti per il contenuto urbanistico (Rabato, Rabatello, Raberria, Bac Bac), toponimi di origine araba, che dall’XI sec. in poi si mescolarono con gli agionimi delle chiese e delle fondazioni religiose che andavano sorgendo (S. Maria dei Greci, S. Stefano).
Nel periodo normanno, secondo la nota descrizione di Edrisi, la città si presentava ancora costituita da una parte entro le mura (il hish) e dal suburbio (rabad).
Non è facile, comunque, in particolare avere un’idea ravvicinata dell’impianto urbano di quel periodo, se non con la documentazione indiretta fornita da pergamene dell’archivio di Stato di Palermo e di tardi cronisti.
Così, partendo dalle mura, leggiamo in Malaterra (De rebus gestir Rogerii Calabriae et Sicilae comitis et Roberti Guiscardi ducis fratris eius, ed. E. Pontieri, in R.I.S., n. ed., Città del castello, 1936, XIV, 5) che Ruggero, occupata la città, provvide a restaurare le opere di difesa.
In connessione con la fondazione della cattedra episcopale, affidata da Ruggero al cugino Gerlando, fu elevato l’episcopio insieme a una torre sull’alto della collina, nelle adiacenze del castello, per avere più facile difesa da temute reazioni della popolazione musulmana (Libellus de missione Pontificum Agrigenti ed. p. 147-148). Su una balza sottostante l’episcopio latino, sul posto del tempio greco, fu elevato la Chiesa dei Greci. Ed è possibile che allora la città fosse stata limitata in quel tratto di terreno che forma oggi la Parrocchia della Chiesa Cattedrale, la quale ritiene ancora il nome di Terravecchia (V. GALLO Dissertazione sopra una iscrizione agrigentina in “Opuscoli di autori siciliani” XI, Palermo 1870).
Converrà a questo punto sapere di più dell’impianto urbano sul colle di Girgenti nei secoli successivi, sino al XIII-XIV sec. La cinta muraria dovette essere ripresa e ampliata tra il XIII e XIV sec. a.C. (V. Picone, Memorie Storiche agrigentine, ed. 1866 p. 481 ss.).Infatti nell’atto di fondazione di S. Spirito (1299) la muraglia appare allungata sulla parte orientale, tanto da essere citata a confine di alcune case; in un atto della perduta giuliana del Monastero di S. Spirito con data 23 gennaio ind. IX 1295 figurano due case “fuori le mura, nel borgo di S. Francesco”; altro atto della stessa giuliana con data 23 gennaio 1296 ind. IX formazione del borgo S. Michele entro le mura; e la chiesa di S. Giovanni dei Teutonici (vecchio ospedale), fondata nei primi del XIII sec. (Archivio di Stato di Palermo, Tabulario della Magione, perg. n. 18 anno 1115) risulta compresa entro le mura e in prossimità di private abitazioni.
Una descrizione della linea meridionale delle mura, esistente sino alla metà del sec. XIX e in gran parte distrutta nei primi del XX sec. per dar luogo alla stazione ferroviaria, è stata fatta dal Picone (op. cit. p. 482 /83). La Porta 1 (di ponte), la più antica, ai margini orientali fu demolita nel 1868; la Porta 2 (“dei Panettieri”) esisteva almeno dai primi del sec. XV (Archivio di Stato di Palermo, Tabulario della Magione, perg. n. 714 anno 1405), è costituita da un arco in piccoli conci di pietra calcarea bianca e fianchi in conci di tufo con sovrastrutture turde, fra cui un’icona settecentesca); la Porta 3 (di mare) ora in parte interrata, era aperta ad occidente, ed è costituita da una duplice serie di conci calcarei addentati ìn alto con la parete muraria in conci di tufo arenario; la Porta 4 (di Mazara), la 5 (di Marchese), la 6 (di Baberria o porta di settentrione), la 7 (S. Maria degli Angeli), ormai eliminate e scomparse, si ubicano solo su base congetturale.
All’interno delle mura, l’urbanistica doveva essere cernierata sulle due arterie, di verosimile preesistenza classica, l’una est-ovest che si snodava sulla linea della attuali Via Atenea – Piazza Gallo – Corso Garibaldi, e attraversava la città murata da Porta di Ponte a Porta di Mazzara, proseguendo per il rabato; l’altra sud-nord, ripida e deviata, sulla linea della odierna Via Matteotti (o volgarmente Bac Bac). Nel tessuto dell’abitato, spiccavano gli edifici maggiori, i monasteri, le chiese, il castello, gli hispitia che le famiglie della città gareggiavano nell’elevare (primi i Montaperto e i Chiaramonte). Essi si addensavano intorno alla piazza vicina alla Cattedrale, e al centro, a monte dell’odierna Piazza Municipio, in prossimità delle maggiori arterie.
Sulla base dei documenti di archivio, ai primi del XIV sec. in aggiunta alla chiesa di S. Michele a NE, di S. Spirito a SE, di S. Maria dei Greci da tempo
esistenti, figurano lungo le mura meridionali la Chiesa di S. Lucia (ove il
vescovo Ursone aveva raccolto i corpi dei suoi predecessori) e la vicina
cappella di S. Andrea; la chiesa di S. Gregorio entro le mura ad occidente, e, al
centro della città, non lontano dalla sinagoga, sorta probabilmente sul posto di una moschea, era la Chiesa del Salvatore; e pure entro le mura i teutonici tenevano da tempo l’ospedale dedicato a S. Giovanni; i cisterensi da tempo tenevano il monastero femminile di S. Spirito, sorto verso la fine del XIII sec., la costruzione di quello maschile essendo stato avviato nella Valle presso la Chiesa di S. Nicola.
Dalla città, per la Porta di Ponte, attraverso il vallone Nava, si raggiungeva la Valle; e qui , in “civitete veteri”, oltre alla chiesa di S. Nicola; erano le Chiese di S. Gregorio, di S. Biagio, S. Maria di Bonamurone, e sulla marina quella di S. Leone.
Dalla Porta dì occidente si usciva verso il suburbio (il Rabato),e a partire
dal XIII sec. a. C., con la tendenza a riparare entro la cinta, da una parte si determinarono l’abbandono del Balatizzo e la graduale rinuncia all’abitazione in grotta, e dall’altra un incremento delle abitazioni della città murata.
Non è agevole tracciare una storia dello sviluppo urbano del colle di Girgenti, non disponendo di adeguati documenti scritti e tanto meno di documentazione iconografica e catastale. Per cui siamo costretti dal XV sec. a.C. sino a parte del XIX sec. a.C. ad appoggiarci agli eventi enucleati di storia cittadina; con le ricerche dei limiti propri di una storia evenziale, che non tiene conto del tessuto storico-sociale ed economico della città.
Infatti dal libro Verde della Casa Comunale (cap. 16 dicembre XII indz. 1423) traiamo elementi per uno spopolamento della città di Girgenti in relazione con la colonizzazione delle terre baronali, si che nel 1433 essa non conteneva più di milleseicento “masunati” (case tassabili). In quei anni, per volere del senato girgentino veniva edificata la Chiesa con il Convento di S. Vito sulle pendici occidentali della Rupe Atenea.
Se vogliamo avere un’idea della composizione socitile degli abitanti della città in quel tempo, si può richiamare la circostanza della venuta in Girgenti nel 1478 del vicerè conte di Prades, per il recupero di spese di guerra e di una assemblea cittadina a cui avrebbero partecipato gli ufficiali, gli artigiani, i contadini e “borghesi” (concil. I° Aug., XI, Ind. 1478). E se vogliamo completare il quadro girgentino nella seconda metà del XV sec. con la composizione etnico-religiosa, bisogna far menzione dei non pochi saraceni immigrati, e sopratutto della numerosa colonia ebraica, che aveva la propia sinagoga o Gemà, di cui fu ordinata la distruzione nel 1476, alcuni decenni prima della espulsione degli ebrei, nella strada allora chiamata “Reale”, in un punto confinante con le case Matteo Pujades, con la chiesa del Salvatore, e che noi oggi potremo identificare con la contrada dietro la chiesetta dell’orfanotrofio, che ci tramanda il nome di “Moschita”; fuori delle mura meridionali, sotto la chiesetta di S. Cecilia, stendevansi i terreni di proprietà della colonia degli ebrei, e la contrada conservava ancora la denominazione di “orto della Giudeca”; così come noto il cimitero sotto la Porta dei Panettieri (atto di vendita presso il notar Matteo Squillaci a 4 settembre, XI indizione 1492, Arch. Notarile).
Un periodo di decadenza e degrado della città sul colle di Girgenti (che nel frattempo aveva raggiunto le 3500 case tassabili) interessò il XVI secolo, tra scrorrerìe e piraterie, carestie e pestilenze. Le case tassabili si ridussero ad appena 2000.
Sempre dal Libro Verde del Comune di Girgenti (priv. del 18 dicembre, VIII ind. 1609) si ricava l’immagine di una città disertificata, con le case abbandonate e in rovina, si che nel 1609 si chiese ed ottenne dal vicerè il privilegio di poter concedere le case abbandonate a chi avesse voluto riedificarle.
In contrasto con tale situazione di decadimento dell’abitato stanno la ricostruzione dell’ospedale civico nel 1541 e la fondazione del seminario presso il palazzo di Manfredo Chiaramonte, nel 1574 ad opera del vescovo Cesare Marullo, completato nel 1611 dal vescovo Vincenzo Bonincontro con l’annessione dello Steri dei Chiaramonte.
Di fronte al dilagare di una nuova pestilenza nel 1624 Girgenti visse un rinnovato fervore religioso, con la ricerca delle ossa del vescovo Libertino, con l’erezione della chiesetta a lui dedicata, nella piazzetta chiamata “Piano degli Zingari” presso la chiesa di S. Michele; e nel 1625 una reliquia ossea di S. Rosalia veniva portata prima al Convento di S. Vito e poi alla chiesa di S. Francesco di Paola (Atto del 4 giugno, IX indiz. 1626, presso notar Francesco Cachia di Girgenti – Libro Verde p. 186).
Nel 1633, al termine della pestilenza, la città si trovava ridotta alla metà degli abitanti, in una situazione di squallore e miseria (disp. vicereg. 2 giugno 1683 – Libro Verde). Nel 1647 Girgenti insorse per fame, e non poche furono le case dei ricchi possidenti incendiate e distrutte.
Il XVIII secolo, con la monarchia di Carlo III, vide il sorgere dichiese e conventi, di palazzi nobiliari a monte dell’arteria di Porta di Ponte. Alcuni vecchi conventi erano in fase di spopolamento, sicchè già nel 1715 il convento di S. Vito ospitava un solo sacerdote, un chierico e taluni laici e terziari ( Monit. 9 dic. 1715 presso Lunig, T IV, p. 1319-1389. M.S. p. 139 ss.).
A partire dal 1730 la storia cittadina di Girgenti è dominata dalla personalità del vescovo Lorenzo Gioeni, definito dal Picone “uno di quegli uomini che a buon diritto possano addomandarsi rigeneratori di una città, ed egli fé riofiorirla nella pubblica istruzione, nel pubblico costume e nel commercio”.
Eresse, così, il collegio di Maria sotto il titolo della “Sacra Famiglia”, ad istruzione gratuita delle fanciulle; riunì in unica fondazione nel 1747, altre istituzioni similari esistenti (atto del 5 nov. 1747 presso Notar Marsala da Girgenti, Arc. noi); fondò nel 1740 le “Scuole Pie”; eresse sotto le mura meridionali del Seminario un grandioso edificio (l’attuale Istituto Gioieni o degli Oblati) per l’educazione gratuita nell’arti meccaniche, del disegno e nella musica di 72 giovani artigiani, e per il ricovero di 12 anziani; per i contadini fondò il Monte Frumentario; e per il commercio creò nel 1749 un grande emporio, là dove era il vecchio caricatore di Girgenti (purtroppo a spese dell’integrità delle rovine del grande Tempio classico di Zeus, trasformato in cava di pietra).
Vale la pena spendere qualche parola sul grande edificio Gioieni, perche dalle notizie che ad esso afferiscono si trattaggono elementi significativi della storia urbanistica sul colle.
Il grande edificio sorse a sud dell’area del Seminario, in contrada S. Gregorio, confinante a occidente con l’area verde dell’antico borgo di S. Marta, destinato ad essere investito dal nuovo quartiere girgentino di S. Croce; la cui cava di pietra servì a fornire i conci per la grandiosa costruzione.
L’edificio gioenino comportò la demolizione di numerosi avanzi medievali, fra cui un tratto delle mura, in quel punto collegate con la cinta esterna dello Steri Chiaramontano.
A seguito di un movimento franoso nella primavera del 1745, che portò alla scoperta di antichi resti e di grotte, venne costruito un grande bastione di contenimento, e la costruzione dell’edificio venne arretrata più sotto il Seminario e la sorgente d’acqua ritrovata fu incanalata a fornire sino oltre la metà dell’800 il quartiere del Rabato.
Riferisce Settimo Biondi che in quel tempo “fu livellata ed ampliata la viottola rupestre che collegava il sobborgo di S. Marta con il quartiere di S. Gerlando, travalicando il dirupo e le mura diroccate. Sotto il bastione la nuova strada si slargava e si congiungeva con la strada detta “sopra S. Giacomo”. Néda allora i luoghi (salvo la costruzione del Distretto Militare) hanno subitorilevanti modifiche”.
Al Gioieni successe nel 1755 altro illuminato vescovo, il conte Andrea Lucchesi Palli, il quale emulò il suo predecessore nel conferire decoro e splendore alla città. In un arco di tredici anni restaurò e ampliò il Seminario; accrebbe la massa del monte Frumentorio; lastricò a selciato le strade principali della città; edificò e adornò il Palazzo Vescovile, e, previa opera di sbancamento, eresse presso la cattedrale l’edificio della magnifica Biblioteca, ricca di ben 1400 volumi, fra i quali si annoverano manoscritti greci, latini, italiani e arabi; alla quale veniva aggiunto un piccolo museo e il famoso monetiere, descritto dai viaggiatori e dai numismatici, il quale venne poibarbaramente espilato da un frate della vicina congregazione dei Liguorini.
Infatti nel 1761 veniva fondata in Girgenti la prima casa esterna della giovane congregazione Redentorista.
Nella I^ metà del ‘700 re Ferdinando I continua il progresso morale e materiale di Girgenti, e nel 1762 veniva affrontato con l’accresciuta popolazione il problema del rifornimento idrico della città, cui veniva addotta “L’acqua della Miraglia” e veniva recuperato fuori Porta di Ponte lo spiazzo per una pubblica fontana (Arch. Com.).
Nel 1748 l’attuale Via Atenea-Garibaldi, tra la Porta di Ponte e la Addolorata fu teatro del massacro, ad opera degli abitanti, di un equipaggio francese, che, approdato al molo di Girgenti, era risalito in città, dove si era abbandonato ad atti di violenza. La vecchia arteria in quella occasione, giuocò ancora, su un piatto episodio di fatti, il molo di una motivazione urbanistica improntata, come in altri impianti, alle esigenze di difesa.
La prima metà del XIX sec. non dovette portare notevoli alterazioni all’assetto settecentesco della città. Questa appare ancora con il suo nucleo principale sul colle di Girgenti e con il borgo del Rabato a occidente, ove è la chiesa di S. Francesco di Paola. Nel 1828, una statua colossale in marmo di Francesco I fu collocata nel piazzale di S. Giuseppe, allora detto della Riconoscenza, per aver il re subito revocato il decreto che aveva cancellato Girgenti dal numero dei capo-valli.
Nel 1832, in occasione della visita del luogotenente generale A R Leopoldo, furono restaurate e sistemate le strade interne (Decur. 23 aprile 1832 vol. III) . Nel 1835 si apriva, nella piazza suddetta, il “Casino Empedocleo” su disegno di R. Politi, circolo ove si raccoglieva il meglio della cittadinanza. Nel 1836 si avviava la costruzione del Campo Santo, non molto distante dalla città, sulla vetta della Rupe Atenea (Decur. 20 novembre 1836, vol. III), non senza relazione con la minaccia dell’epidemia colerica che aveva già invaso la città di Napoli.
Sotto Ferdinando II, Girgenti visse giornate di entusiasmo per la visita del re e della regina, e in quella occasione la decuria girgentina espresse i suoi desideri che furono poi in parte esauditi: 1) La conservazione del Molo Empedocleo, in corrispondenza con il Porto di Licata, 2) la costruzione della strada consolare Girgenti – Palermo, 3) l’assegnazione di onze 1000 all’ospedale civico, 4) conservazione della integrità del vescovado Girgentino, organizzazione della stabilimento Gioeni o degli oblati e del Monte Frumentario sotto la vigilanza del consiglio degli ospizi, 5) fondazione dell’istituto di Beneficenza entro il palazzo Gioeni, 6) organizzazione della Biblioteca Lucchesiana sotto il Consiglio degli ospizi, 7) erezione del Seminario ad Università.
Intorno al 1840 vari atti deliberativi della decuria girgentina parlano della pavimentazione a basolato della Via principale (ora Via Atenea, che risulta completata nel 1841 da Porta di Ponte sino alla casa Contarini), dell’approvvigionamento idrico della città con acquedotto sottostante e condotti immissari; della costruzione del teatro; della demolizione dei fabbricati attigui alla Porta di Beberria per liberarla.
In occasione dei moti rivoluzionari del 1848, si citano la casa Bianchini presso la Piazza della Riconoscenza e del Casino Empedocleo, la casa Campagna (di fronte a quella che fu poi Genuardi), il giardino del barone Caruso, il collegio di Maria; la chiesetta della Madonna delle Grazie fuori Porta di Ponte; la chiesa di S. Francesco di Assisi; il casino dei nobili, le antiche mura, che, nei punti più accessibili furono muniti di larghi fossati appositamente scavati.
In quegli anni, Pasquale Flores, Colonnello di 5° Reggimento di linea “Borbone”, con l’opera dei suoi soldati, nel tentativo di ritrovare una vena d’acqua che scaricava sul lato occidentale della chiesa di S. Calogero, costruì in quel sito la villetta di alberi e di fiori sotto la scarpata del piano di Porta di Ponte, per l’ampliamento del quale nel 1860 essa venne ricolmata, per dar luogo ai quattro giardinetti all’ingresso della città.
In concorrenza con il Flores, l’Intendente Polizzolo costruiva sulle estreme pendici della Rupe Atenea la Villa detta “Maria Teresa”, e in seguito “Garibaldi”, decorata del mezzo busto di Empedocle, opera del Villareale, e a cui attese in un primo tempo un fiorista palermitano. Allo stesso Polizzolo si devono l’avvio della ristrutturazione del lastricato della strade; della rotabile dal Tempio della Concordia a quello di Giunone; del compimento della “Passeggiata”; della strada di Spina Santa; l’iniziativa di un teatro da elevarsi nel piano di S. Sebastiano con ingresso secondario dal piazzale di S. Giuseppe (Decur. 26 dic. 1851, vol. VII), iniziativa che non ebbe seguito per le opposizioni dai vicini.
Nel 1851 fu eseguita la ricostruzione della casa comunale, nelle forme neogotiche del disegno dell’ingegnere Gravanti di Sciacca, e a seguito dell’accresciuta popolazione, l’avvio dell’opera di adduzione dell’acqua di Rahal-mari.
Nel 1855 furono riprese le opere pubbliche; nella “Villa Maria Teresa” (poi “Garibaldi”) fu costruita la casa del giardiniere; rialzato il muro della “Passeggiata”; sbancata la roccia per il grande emiciclo (ora piazza Cavour); costruita la strada dal cantone della Casa Pancamo a Porta Mazara con il sistema delle rotaie di lastre.
Nel 1857, fu costruito il muro fuori la Porta dei Panettieri, con l’intento di sviluppare una rotabile per la marina; nel 1858 furono demoliti gli stazzoni o le case dei figuli, che occupavano parte del piano di Porta di Ponte, al fine di dare decoro all’ingresso della città; si gettavano le fondamenta dell’ospizio di beneficenza (poi divenuto Palazzo della Prefettura); fu deliberato l’abbattimento delle case di Cardella; l’allargamento della strada all’angolo del Piazzale S. Giuseppe, tutte opere eseguite posteriormente.
Il terremoto del luglio 1859 non produsse danni fisici all’abitato del Colle, anche se il tenore spinse gli abitanti a sostare fuori Porta di Ponte, occupando la Villa e la Passeggiata (G. Nocito, in “Giornale di Girgenti” 1859).
Gli avvenimenti del 1860 si ripercuotono in Girgenti: una bandiera tricolore viene issata su una della statue laterali al portale della Chiesa del Purgatorio; alcuni ardimentosi con bandiera tricolore si assembrano alle mura di S. Michele; la truppa borbonica entra in città da Porta di Ponte e si acquartiera nel seminario, nel Palazzo Vescovile, e nel convento di S. Francesco di Assisi; il governatore sabaudo prende alloggio nella Casa Caruso; i bersaglieri si acquartierano nel Palazzo Gioeni; si dà avvio alla fondazione del Ginnasio e del Liceo, del Distretto militare, e si candida Girgenti come sede di Corte di Appello.
Non v’è dubbio che le opere successive all’unità d’Italia hanno profondamente modificato l’assetto di una città che conservava ancora un’articolazione medievale, con le mura, la Porta Est, gli ampi spazi liberi all’interno e all’esterno della porta stessa. Questa ultima, denominata la Porta di Ponte, era ubicata a c. m. 30 più a nord dell’attuale Porta Atenea, formava parte delle fortificazioni della città ed era attaccata all’ultima torre ancora esistente mediante un bastione.
Con la correzione dell’ultimo tratto orientale della Via Atenea, in rispondenza con il nuovo bastione di accesso, si annulla il piano libero all’interno, e si allineano lungo tale tratto nuovi palazzi.
All’esterno della Porta, eliminate le officine di figuli, si costruì il Palazzo della Prefettura, e viene colmata l’area dell’attuale Piazza Vittorio Emanuele, completando il riempimento della Nave o Taglio di Empedocle (attuale area di Porta di Ponte), determinando il congiungimento tra il Colle di Girgenti e la Rupe Atenea.
All’estremità opposta viene abbandonata come sede comunale la palazzina di Piazza Gallo, ricostruita tra il 1851 e il 1855 sul vecchio fabbricato composto da diverse piccole case di “antica vetustà”; nuova sede fu l’attuale Palazzo Municipale.
La Via Atenea si conferma come asse portante dell’abitato del colle, ribadento la sua complementarietà con l’asse della attuale Via Garibaldi verso l’estremo ovest e mediante le stradine di collegamento con il tracciato dell’attuale Viale della Vittoria, ad est.
Ancora, alla fine dell’800 Girgenti conservava la sua immagine arroccata, e Vuillier così scrive di essa (G. VUILLIER, La Sicilia, Milano 1897).
“Eccomi ora errante per le vie scoscese della città originale, intravista iersera sotto le stelle. La strada principale dove sono le botteghe e qualche albergo, segue la curva del colle; questa sola ha rapporto con la linea orizzontale. Qui é il centro degli affari, ma la strada ccnserva egualmente la sua impronta locale: vi passano i mulattieri, e i venditori d’arance fanno sentire ogni poco una specie di lamentevole cantilena per richiamare l’attenzione dei compratori. Poi non vi sono che vicoli tortuosi, stretti, quasi, impraticabili e spesso si incontrano delle scalinate che s’intrecciano, le quali conducono alla cima su cui si innalza la cattedrale”.
“Prima però bisogna fermarsi un momento dinanzi un antico palazzo d’aspetto spagnolo, dalle muraglie corrose dal tempo, posto sur una piazzetta; vi si ammirano le ringhiere dei balconi, in ferro battuto d’un grande carattere e di un lavoro bellissimo; ciò sorprende altamente in mezzo a quel vicinato di casupole”.
“A me piace quel labirinto dì viuzze, le quali presentano ogni tanto, da qualche squarcio, un bel punto di vista sul mare, delle prospettive luminose sulla pianura o dei lembi di cielo turchino”.
Eppure é già iniziato un momento nuovo nella storia urbana di Girgenti, quello che dà l’avvio al processo di rottura fisica e funzionale della compattata entità medievale; la città ha spezzato gli stessi limiti monumentali del Colle di Girgenti, ha abbandonato la sua identità storica tradizionale, e dà inizio a un processo di urbanizzazione nel territorio.
La nuova stazione ferroviaria, in asse con il tracciato del Viale della Vittoria, viene a modificare la significazione urbanistica originaria del raccordo formale tra il colle di Girgenti e il taglio ai piedi della Rupe Atenea; in più veniva a caricarsi del molo futuribile di cerniera, con quella che sarà negli anni “50 l’espansione urbana nel territorio a valle della stazione stessa: esito quest’ultimo di quel processo di dilatazione del centro abitativo del Colle di Girgenti, che aveva portato allo stesso annullamento fisico della cinta che ne aveva consacrata la storia nei secoli.
ERNESTO DE MIRO
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