MATERIALI COSTRUTTIVI, FORMA, DIMENSIONAMENTO E
STRUTTURA DEI MULINI AD ACQUA
Nel territorio agrigentino la tecnica di costruzione dei mulini, pur mantenendo identici i principi di diversione, sollevamento e caduta delle acque, presenta una differente tipologia costruttiva di interesse strutturale ed architettonico:
I materiali costruttivi
La scelta dei materiali da costruzione, finalizzata ad assicurare alle strutture validi requisiti di resistenza e solidità, è stata spesso condizionata dalla presenza di vicini depositi e giacimenti naturali di materie prime (cave di calcare e di tufo, giacimenti di sabbie, argille, gessi o di materiali accumulati lungo le sponde dei fiumi o sparsi sul terreno) impiegate con l’uso di tecniche tradizionali e con risultati apprezzabili di valore statico ed estetico.
Spesso i materiali impiegati nella costruzione delle strutture, vengono disposti con regolarità di posa e scelta di colore (vedi le strutture murarie del Mulino Contessa a Cammarata e rintonaco esterno del porta acqua del Mulino Giarrizzo a Favara) attribuendo ai manufatti un aspetto gradevole e dignitoso, dovuto al gusto delle nostre maestranze locali (Foto 24a – b).
Inoltre muri, archi, stipiti, piattabande, portali, volte e finestre presentano costruttivamente un certo interesse, a volte definiti con spunti policromatici e di sicuro effetto architettonico (Foto 25a – b).
Le saie
Il principio costruttivo di queste opere di canalizzazione è basato solitamente sulla formazione di modeste strutture murarie in pietra e malta cementizia, che permettono di convogliare le acque del letto del fiume al bacino di carico (gebbia) e quindi al porta acqua del mulino, posto a quota più bassa.
In presenza di un terreno ricco di sorgenti d’acqua, il mulino può essere alimentato da più saie che convogliano le acque dai valloni o da più sorgenti periferiche (Mulino Cacarodduli ad Aragona, Mulino Burruano presso Racalmuto).
Nel territorio di Cammarata ci sono esempi molto interessanti di possenti strutture murarie che sostengono con archi il canale della saia.
In prossimità del mulino, esse sviluppano un’altezza di circa otto metri trasformandosi in un vero e proprio acquedotto di memoria romana (Foto 26).
Le pareti interne del canale, sono protette da una speciale malta idraulica di rivestimento, solitamente realizzata in coccio pesto e rifinita da una o più mani di sottile strato impermeabile (Foto 27).
Quando al mulino giunge una sola saia principale, essa si estende per una notevole lunghezza che può raggiungere centinaia di metri o qualche chilometro (Mulino Drago e Mulino Malvizzo a Favara, Mulino S. Pietro presso Cammarata).
La grandezza e la capacità della saia sono stabilite da un preciso calcolo idraulico, attraverso cui risultano ad esse correlate le dimensioni del porta acqua e del buttigliuni.
Naturalmente ciò è dipendente dalla complessiva potenzialità del mulino e dal funzionamento del suo apparato tecnico di produzione con una o più ruote idrauliche.
Il porta acqua
Esso rappresenta il cuore del mulino in cui pressione, volume e flusso d’acqua esercitano, attraverso il buttigliuni, la spinta di moto al movimento del mulino.
A protezione di questo complesso sistema idraulico, l’alta struttura a torre dell’invaso è massicciamente definita da due possenti muri di contenimento con sviluppo longitudinale variabile da 8 a 15 m circa e posti ad una distanza di circa cm 80+120 (vedi foto Mulino Giarrizzo a Favara e Mulino Vinci a Racalmuto).
Inoltre la solida struttura del porta acqua presenta spesso dei tiranti in ferro (catene e staffe) o ancoraggi trasversali in pietra che partecipano ad assorbire la forza di spinta laterale esercitata dall’acqua (Foto 28, 29).
Esternamente il porta acqua si riconosce solitamente per la sua forma tronco piramidale, definita da grossi blocchi squadrati di rinforzo, sovrastante la camera di lavoro del mulino (Foto 30).
In questo punto la testa del porta acqua raggiunge una larghezza complessiva di m 2,00-3,00 circa, contenendo al suo interno uno o due buttigliuni.
Per i Mulini dell’«acqua fitusa» e di «San Pietro» presso Cammarata, dal porta acqua principale si dipartono rispettivamente due saie che terminano a breve distanza (circa sei metri) in due distinti buttigliuni che azionano due mulini affiancati: uno per la farina e l’altro per il sale (vedi Disegno).
«U buttigliuni»
E’ solitamente inclinato e di forma imbutiforme con direzione avanzata verso la parte bassa della torre, innestato al locale della ruota idraulica.
A secondo dei casi, può essere costruito dalla sovrapposizione di pezzi speciali, da muratura di pietrame o da mattoni in cotto, completato da rivestimento interno di finissimo intonaco.
Alcuni esempi di particolare tecnica ed abilità costruttiva vanno sottolineati, non soltanto per le notevoli dimensioni ma anche per la singolare soluzione costruttiva adoperata:
1 – Il mulino presso la foce del fiume Naro presenta un ampio buttigliuni realizzato con disposizione regolare di mattoni cotti a forma di spicchi trapezoidali, disposti a raggiera e cementati con malta (Foto 32).
- 11 mulino Contrino presso Favara sul torrente Iacono, dispone di due buttigliuni realizzati con la sovrapposizione di numerosi cilindri cavi di pietra, a sezione ridotta ed incastrati a bicchiere (Disegno 7).
- 11 mulino Giarrizzo a Favara utilizza un solo grande buttigliuni, realizzato con la sovrapposizione di anelli in pietra di circa 90 cm di diametro, a sviluppo verticale (Foto 33).
Di solito il diametro della bocca superiore del buttigliuni, spesso protetta da una grata in ferro (Foto 34), varia da 60-90 fino a 240 cm e termina nella parte bassa con un diametro di circa 20 cm.
In basso, la pressione del flusso d’acqua che spinge le palette della ruota idraulica, aumenta con l’altezza del buttigliuni che, per i mulini più grandi, arriva a circa 10-M2 metri e per quelli più piccoli fino ad altezze variabili fra i 3 e i 5 m di salto.
Rappresenta il locale di lavoro del mugnaio in cui avviene la molitura del grano, dove si trovano: le macine, l’argano di legno, i piani in legno per deporre il grano, il forno, la mangiatoia per l’asino.
Accanto ad essa, si collegano i vani per il deposito della farina, il magazzino per le macine e attrezzi d’uso e quindi l’abitazione del mugnaio composta di piccoli vani e di qualche recinto o tettoia per il ricovero di qualche animale di allevamento (Foto 35).
In numerose zone osservate del territorio agrigentino, gli ambienti di abitazione e di lavoro del mugnaio consistono in pochi e scarsi elementi rappresentativi; spesso appaiono sotto forma di ruderi (mulino Mattuzzo a Favara e mulino S. Carlo a Palma di Montechiaro) o completamente trasformati da corpi aggiunti (mulino Pitruzzella a Racalmuto) o completamente distrutti e abbandonati (mulino nel vallone Ficamara a Palma di Montechiaro).
Raramente si presentano in condizioni di discreta conservazione (mulino Favara a Burgio, mulino S. Pietro e mulino di Castronovo, mulino Contessa nel comune di Cammarata); in questi casi è ancora riconoscibile, guardando dall’esterno, una distribuzione di vani consistenti in piccoli ambienti destinati a: magazzini, deposito, cucina e al piano superiore la camera da letto e il gabinetto.
Visitando l’interno di questi ambienti si possono ancora osservare alcuni originali tetti di copertura (realizzati in legno, canne, gesso e coppi), oltre ai muri portanti in pietra, pavimenti sostenuti da travi di legno e completati da quadrelle di cotto o con ciottolato, macine in pietra e tramogge di legno.
La conservazione di questi manufatti è stata possibile grazie all’attenzione e cura che i proprietari, eredi dei vecchi mugnai, hanno avuto nei confronti di questi immobili, spesso motivata più per diritto di successione che per rispetto della memoria storico-culturale.
Oltre a ciò, si può notare, presso il mulino S. Carlo alla foce del Palma, una strana finestrella ad imbuto con forte strombatura verso l’alto terminante con un foro di cm 8; essa dall’interno della cammira, avrebbe consentito al mugnaio di controllare a vista lo sfioro del porta acqua, nel corso di manovra delle macine o durante il cattivo tempo.
E’ l’ambiente del mulino che non compare alla vista (sia dall’esterno che dall’interno del mulino) perché posto sotto il pavimento della cammira, a cui si accede attraverso un piccolo vano scala, posto accanto alle macine.
Nel buio di questo ambiente umido e sotterraneo (di misure circa m 3×6) coperto a volta a botte, la ruota idraulica trasforma in energia meccanica l’energia cinetica del flusso d’acqua che colpisce le pale. Da qui l’acqua producendo il moto alla ruota, schizza energicamente contro le pale, accumulandosi nel garraffo per poi fuoriuscire da una apertura esterna, tipicamente ad arco e realizzata in pietra lavorata.
Mole, «molazze» e macine
Costituite quasi sempre da materiale monolitico in pietra di calcare compatto o arenaria; hanno forma circolare con diametro variabile tra 80 e 140 cm circa ed uno spessore compreso tra i 20 e i 40 cm.
Spesso sono cintate da due o più cerchi di ferro che le mantengono solidali all’asse di rotazione, consentendo una più facile presa per lo spostamento e la manovra delle mole.
Il lato di utilizzazione della macina o mola (vedi dizionario del Mortillaro) e cioè quello che lavora a contatto con la macina fissa (detta molazza e di più grande spessore), presenta una superficie corrugata a sbalzo con regolari spirali o solchi, detti denti, che nei vari modelli di fabbricazione (francesi, comuni, locali) si irradiano dall’occhio centrale fino all’esterno della mola, con andamento e forma variabili di solcatura.
Alcune mole sono formate, a volte, da un numero di pezzi speciali monolitici che varia da otto a dodici elementi, sempre congiunti da cerchiature metalliche.
Il foro centrale della macina, detto «occhio» o «collo», è di circa 30 cm ed è collegato all’asse della ruota idraulica con uno speciale sistema di fissaggio che permette inoltre la regolazione, in altezza, dello spazio d’attrito.
E’ stato possibile osservare solo in alcune località (mulino dell’acqua fitusa, mulino Giarrizzo a Favara, mulino Favara presso Burgio e mulino Burruano a Racalmuto) questo importante elemento di trasmissione del moto, poiché in gran parte dei luoghi di ritrovamento le ruote idrauliche sono sempre sepolte dal fango e dalla terra o dal crollo dei ruderi.
Pertanto, in base alle tipologie riscontrate è da ipotizzare, a meno che non si effettui un’azione di scavo e di rilevamento, che in quasi tutta la provincia la forma ricorrente di queste ruote (Disegno 9) è caratterizzata da due cerchi di ferro affiancati di altezza circa 12 cm e di mm 6 di spessore sviluppando un diametro di circa 2,00-^3,00 m.
Detti cerchi sono posti tra di loro ad una distanza pari alla misura del lato lungo delle palette (12×26), disposte a raggiera e fissate ai cerchi con bulloni passanti ribattuti in modo da assicurare una perfetta connessione tra le parti.
Infine, con quattro o otto supporti in ferro, i cerchi vengono ancorati al centro della ruota dove è saldato l’asse girevole di trasmissione.
Una particolare ruota idraulica di legno è ancora visibile presso il mulino Burruano; essa presenta una potente struttura di tipo arabo con pale o cucchiai in legno (Disegno 10).
Al mulino Contessa (donato da Eloisa, moglie di Ruggero Bamavilla) presso Cammarata, la ruota idraulica era di tipo verticale (veter molendinus, come si legge da un sigillo greco emanato da Ruggero II nel 1118).
Infine va notato che nella mappa di distribuzione dei mulini ad acqua, la concentrazione degli opifici idraulici non sempre è dovuta alla presenza di consistenti corsi d’acqua, ma è in parte associata alla presenza di ampi feudi e di grandi masserie, di solito impiantate sulle alture e rocche collinari dei rilievi provinciali.
Vicino ad esse, al variare dell’altitudine, sono sempre ritrovabili le tracce di almeno un mulino, fatto costruire dal Barone o Signore del latifondo, sfruttando talvolta un piccolo torrente d’acqua (mulino presso Campobello di
Licata sul torrente Mendola e mulino del Principe Gravina presso Monte della Giudecca a Cattolica Eraclea sul torrente Iazzu Vecchiu).
Da ciò l’esaltante ed ingegnosa tecnica idraulica che, con lo sfruttamento anche di modesti torrenti, ha consentito la diffusione della molitura che assicurava a tutti la principale alimentazione di base.
Estratto dallo studio (in fase di pubblicazione): TIPOLOGIA STORICO – ARCHITETTONICA DEI
MULINI AD ACQUA NEL TERRITORIO DI AGRIGENTO dell’Arch. Aldo MANGIONE
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