di Elio Di Bella
Raramente la vita di una città per diversi secoli si è identificata con quella della sua via principale. Possiamo dire, senza ombra di dubbio che per Agrigento ciò è stato senz’altro così. Gli stessi turisti che nei vari secoli sono arrivati nella Città dei Templi , quando hanno voluto descrivere la vita della popolazione nei loro resoconti hanno usato come scenario ideale il « salotto agrigentino ».
E come hanno descritto i viaggiatori italiani e stranieri la nostra via Atenea ?
Iniziamo dalla testimonianza di un anonimo templare (così si definivano i turisti venuti a visitare i nostri templi greci) giunto ad Agrigento proprio cento anni fa: « Seguendo a destra la strada che da piazza Vittorio Emanuele attraversa gli squares si entra in città per porta Atenea che imbocca in via Atenea, epigrammaticamente denominata corso forzoso, essendo la sola strada interna della città, in cui si possa passeggiare. Chiamasi Porta Atenea per modo di dire, non essendovi né porta né portone.
Due edifizi laterali a due piani, che arieggiano l’antica architettura jonica non terminati, segnano l’entrata in città. Lungo la via Atenea che segue le incurvature della collina, e necessariamente non può essere in linea retta, si trovano molte delle migliori case della città, i più bei negozi, le più appariscenti botteghe, per quanto sint mala mixta bonis ».
Gustavo Chiesi , venuto a Girgenti alla fine del secolo scorso si sofferma sulle grandi trasformazioni che la via Atenea subisce nei giorni festivi quando « accorrono per le provviste dalle cittaduzze e dalle borgate circostanti i contadini, coi loro vestiti caratteristici di sargia nera e di velluto, attillati, colle loro mantellette e i loro cappucci e la via Atenea prende un’animazione curiosa, singolare ».
E tra i giorni di festa come non ricordare quelli dedicati a San Calogero . Nell’Ottocento i devoti avvertivano che il Santo entrava in città solo quando varcava Porta di Ponte, ce lo ricorda una memoria del tempo: “Dopo di che (lasciata la sua Chiesa dedicata al Santo), fra il rullio dei tamburi e il suono delle musiche e le grida di evviva, il Santo viene portato attraverso i giardinetti pubblici e per Porta di Ponte entra in città: ma non processione, non ordine, non silenzio; invece è una vera baraonda, una superficie ondeggiante di teste scoperte, di cappelli di paglia, di ombrellini sotto il dardeggiare del solleone. E in mezzo a quest’onda di popolo il Santo barcollando e oscillando, procede a brevi e rapidi tratti.
Poi, ad ogni fermata, dai balconi delle case di via Atenea vien giù una pioggia di pane a fette o a pezzetti, che, per un voto o per una grazia ricevuta si gitta sul Santo ».
Nel secolo secolo, un turista francese è più attento invece alla vita mondana: « davanti ai caffè, alle botteghe di barbiere della via Atenea, i giovani commentano le notizie sportive, parlano dell’ultimo film di Rossellini o ammutoliscono al pas-saggio di una bella ragazza che, con gli occhi bassi, accompagna la madre (n.d.r. il testo è del 1956). I notabili discutono di politica, le massaie corrono per le compere. Tutti si conoscono, si salutano festosamente, si abbordano in cerca degli ultimi pettegolezzi, si guardano senza averne l’aria, a vicenda studiandosi. Anche lo straniero di passaggio è notato ed ogni indicazione viene soddisfatta con estrema gentilezza » ( Simond, Sicilia, 1956 ).
Ecco infine l’Espresso sul numero dell’otto ottobre 1962: « sono quasi le sette e ferve il passeggio per via Atenea che è l’unica strada piana di Agrigento. E proprio per questo, per permettere ai cittadini di fare due passi, d’incontrarsi tra loro, e soprattutto di guardare le donne, dalle sei e mezzo alle otto di sera, vi si sospende il traffico delle automobili (…). M’avrebbe interessato sapere quale importanza danno gli agrigentini ai funerali, lunghi, neri neri, silenziosissimi, che devono passare tutti per via Atenea anche se il morto abitava lontanissimo da lì ».