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Agrigento Come Si Viveva Nel Centro Storico

23 Luglio 2014 //  by Elio Di Bella

Il buon don Domenico Schembri era giù dal letto ben prima dell’alba. Girava dietro l’altare della sua chiesetta di Santa Maria dei Greci e tirava la corda per far suonare la campanella per la prima messa. Era il primo suono che svegliava le povere case di quella balza della collina di Girgenti dove ancora stavano quanti non erano voluti andare nei palazzoni nuovi che erano cominciati a spuntare una decina di anni dopo la guerra del Duce.

La prima signorina già pronta per la messa di don Domenico era Filomena, la perpetua del canonico Angelo Noto, un monsignore importante che insegnava teologia al Seminario e tutti dicevano sarebbe stato presto Vescovo. Al monsignore Filomena puliva le scarpe di sopra e di sotto e gli sbrigava pure qualche faccenda con la tipografia dove il canonico Noto stampava molte opere e soprattutto quella che gli fu più cara, una storia completa del Seminario di Agrigento. Filomena appena sentiva la campanella di Santa Maria dei Greci, tirava giù dal letto le vicine e il corteo delle pie donne s’ingrossava di porta in porta e per strada si trovava pure qualche vecchio contadino che arrivava in chiesa con la zappa in mano e lasciava l’asino attaccato al cancello di ferro del giardino della chiesetta.

Perché poi si chiamava santa Maria dei greci quelle poverette non lo capivano . Gli unici greci che conosceva la signora Carmela erano quelli che gli avevano ammazzato il figlio che era partito con la camicia nera per andare appunto in Grecia con gli altri del battaglione studentesco di Agrigento.
Eppure don Domenico l’aveva spiegato mille volte: la chiesa era stata nei tempi antichi parrocchia del clero bizantino, forse i primi ad averla costruita erano stati quei greci che per primi si erano convertiti al cristianesimo quando il Vangelo era risuonato anche nella Valle dei Templi.

E l’avevano costruita la bella basilica sopra il tempio greco antico che si vede ancora entrando con una candela per l’atrio dell’oscuro corridoio scavato nella roccia poco sotto la chiesetta. Lì sotto per diversi mesi negli anni Cinquanta c’era stato con i suoi giovani archeologi, il professore Pietro Griffo per studiare quei ruderi. La zia Pina e sua figlia Concetta che stavano là vicino e si affacciavano per sistemarsi sulla strada e cucire insieme le lenzuola della dote, non capivano che ci volevano trovare tra quelle pietre vecchie .

Venivano pure tanti turisti stranieri a visitare la Chiesa e la zia Pina che aveva la chiave gli faceva fare il giro della chiesetta e li portava pure a vedere le colonne del tempio e recitava quelle strane cose che don Domenico le aveva insegnato sulla storia della chiesetta, col ben portale archiacuto con lo stemma dei Pujades, nobili famiglia medievale, di cavalieri e monsignori, il soffitto ligneo, a travature dipinte, gli affreschi sul muro con la Madonna, l’Angelo e qualche scena della Bibbia che però l’umidità si stava mangiando. Cosa ci capivano quei teutonici e quei britannici della spiegazione di zia Pina non si è mai saputo, ma stavano con la bocca aperta e calavano la testa e però la mancia era buona e la poveretta lasciava subito la dote della figlia e ogni altra faccenda per correre ad aprire la porta della chiesa appena vedeva gli svaniti turisti che erano arrivati sin lì seguendo la guida di Agrigento di Pietro Arancio, che avevano comprato a Porta di Ponte.

Don Domenico dopo la messa scendeva a piedi per andare al Ginnasio a fare l’ora di religione a quei rampolli della nuova borghesia agrigentina che abitavano nei bei palazzi della via Atenea o in quelli nuovi del Viale e qualche volta li invita a salire su al Duomo a stare coi suoi bambini, a portargli qualche giocattolo o a fargli un po’ di doposcuola tra i banchi della sua chiesetta, perché altri locali non aveva. Qualcuno andava, ma solo per poco tempo e poi dicevano a don Domenico che non potevano più tornare perché quei bambini avevano i pidocchi e poi tanto tempo di studiare non sembravano averlo perché lavoravano in qualche bottega o andavano ai campi coi padri.

A Santa Maria dei Greci andavano i più poveri anche perché si vergognavano ad andare nella vicina Cattedrale, così grande e dove c’era tanta gente ben vestita e la domenica pure il Sindaco, gli assessori, il Prefetto, le signore della San Vincenzo e le signorine aspiranti dell’Azione Cattolica che parlavano così compite e capivano tutto quello che diceva il vescovo, monsignor Peruzzo. Poi, don Domenico s’accontentava di quelle cinque lire che quando potevano davano per la sedia, il sacrista della Cattedrale invece li guardava male.

Però per la domenica della Sagra del Mandorlo in fiore i gruppi folkloristici venivano tutti a Santa Maria dei Greci per la Messa e allora la chiesetta era più bella che mai perché il Sindaco, allora, veniva pure lui e faceva portare i fiori per l’altare e i tappeti e c’era pure il coro della Cattedrale a cantare la messa.
Poi quella mattina di luglio del 1966 venne la frana e tanti fuggirono dalle case del centro storico e anche la chiesa di santa maria dei Greci rimase danneggiata e fu chiusa. Ogni tanto, dopo qualche lavoro che durava mesi e mesi, tornava ad aprire e poi di nuovo qualche altro cedimento, una lesione di qua e di là.

Santa Maria dei Greci da tempo ha riaperto al culto e alla visita dei forestieri.
Don Domenico Schembri non c’è più da molto tempo, né la perpetua Filomena, che negli ultimi anni andò in depressione e stava ore intere a parlare col televisore perché se ne era andato anche il suo don Angelo. Non c’è la messa dell’alba e per le strada si sentono le voci delle tv sempre accese e le ragazze non stanno con la mamma a ricamare, ma nei pubs del Viale con i giovanotti. Ma se avete tempo andate a visitare la Chiesetta di Santa Maria dei Greci restaurata, dentro quella navata forse sentirete ancora la fede, le attese, le speranze dei nostri padri.

Elio Di Bella

Categoria: Agrigento RaccontaTag: agrigento

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