L’epurazione fu un retaggio piuttosto triste della cosiddetta “guerra di liberazione” e delle varie contrapposizioni che inevitabilmente esplosero con la caduta del fascismo. Quel clima ad Agrigento cominciò a respirarsi a partire dal 16 luglio del 1943, quando dopo tre devastanti bombardamenti, le truppe alleate entrarono in città.
Appena si insediò il comando americano, si cominciò a parlare anche ad Agrigento di epurazione . Giorno dopo giorno si diffondeva la voce che massicci sarebbero stati i licenziamenti di funzionari e impiegati colpevoli di “avere servito” fin troppo spontaneamente il nemico fascista, andando anche oltre il loro ruolo e abusandone, sfruttando l’impunità, per vessare la povera gente e ottenere facili benefici dal regime. In quei giorni numerose arrivavano all’attenzione delle nuove autorità le lettere anonime, che accusavano questo e quell’agrigentino di crimini efferati compiuti grazie alla protezione dei fascisti.
Si tratta di una pagina di storia locale su cui ancora oggi si è fatta poca luce ( ed è comprensibile il motivo). Ma adesso allo scabroso argomento importanti pagine dedica anche Paolo Cilona nella sua recente opera “Avvocati agrigentini nel tempo”. Cilona in particolare ci presenta dapprima l’elenco degli avvocati agrigentini che richiesero la tessera fascista. E nell’elenco troviamo alcuni che ebbero importanti incarichi in città in epoca fascista, come gli avvocati Calogero D’Andrea, Paolo Palmisano, Armando Corsini, Vincenzo Agozzino, Giuseppe La Loggia.
Con la caduta del regime fascista viene avviata la cancellazione dagli albi professionali degli iscritti che per faziosità a mal costume fascista si siano resi incompatibili a continuare la professione forense. Ad Agrigento il 2 marzo 1946 si riuniva il Consiglio dell’Ordine per procedere all’applicazione della norma. Già nel novembre del 1943 però Calogero D’Andrea e Armando Corsini erano stati radiati dall’insegnamento e dagli incarichi di presidenza.
Il Consiglio dell’Ordine di Agrigento, costituito da avvocati che erano stati tutti antifascisti, avviò quindi un procedimento ma solo contro nove avvocati agrigentini. Alla fine del dibattimento il Consiglio stabilì che ” per quanto qualcuno di essi abbia militato anche ardentemente nel P.N.F. rivestendo cariche più o meno importanti, nessuno di essi ha spiegato tale faziosità o mal costume fascista da renderlo incompatibile con la continuazione della professione. Tanto più che, dopo la caduta del fascismo, nessuno di essi ha continuato a manifestare sentimenti fascisti. Pertanto il Consiglio desidera che tutti gli indiziati continuino a far parte dell’ordine professionale”. E così gli antifascisti graziarono i loro colleghi fascisti.
Elio Di Bella