
Caro Direttore,
io mi trovo da un giorno ad Agrigento, patria di Luigi Pirandello. Vuole sapere com’è questa città? Prima di tutto, molto bella (è questo che bisogna dire, «prima di tutto», quando si scrive di una città siciliana).
Poi sghemba.
A tal punto sghemba e fuori sesto (almeno la parte vecchia) da somigliare a una di quelle costruzioni che i bambini a letto si combinano sulle gambe e i piedi.
Le piazze, tutte in pendenza, paiono in procinto di scivolare ed entrare l’una nell’altra; le vie, dopo aver cercato d’innalzarsi ad arco, s’afflosciano nel mezzo e ricadono nel punto da cui s’erano partite; le scalinate abbandonano il viandante sul più bello, come pentite di averlo fatto salire e, attraverso un ponticello, lo immettono sopra un declivio disselciato e lo licenziano indicandogli sommariamente la via del ritorno. Insomma, pare che tutta la città debba da un momento all’altro rientrare in se stessa, e chiudersi, e ridursi a una piazza, un palazzo, una chiesa, una strada, come una scatola a sorpresa.
Su tanta irregolarità in procinto di regolarizzarsi in modo estremo e diventare un che di unico, soffia dal mare un bellissimo vento. Il quale, dopo aver percorso di galoppo una larga e stupenda passeggiata, che gli agrigentini nuovi hanno costruito dal lato dei templi, entra nelle straducole e si lacera lamentosamente in tutti gli spigoli e le cantonate che la città gli para davanti. Ferito a morte, quel vento marino esce dalla parte dei monti e si perde sui campi di grano.
Sorveglia tanta irregolarità, dall’alto del cielo, e precisamente dallo zenit, come il freddo capo di una cometa, l’occhio destro di Luigi Pirandello. Del quale si parla meno di quanto si creda, essendo in questi giorni tutta la città occupata a far le lodi di un giovane assai cortese la cui carriera politica promette grandi cose.
Comunque, ne parlano. Meno gli uomini, più le donne; e capisco perché: il dramma di Pirandello è di natura affatto femminile, e in quest’ultima parola, almeno per tre quarti, dev’essere compreso l’eterno femminino siciliano.
Una signora, molto graziosa, fu, due mesi addietro, a tal punto invasata dagli spiriti pirandelliani
che dimenticò chi fosse lei, di chi fossero i suoi figli, come si chiamasse la città che abitava, e chi le avesse condotto in casa quell’uomo fastidioso che tutti le attribuivano come marito.
Io visitai la signora, ed ebbi l’impressione che il suo caso fosse dubbio e libresco. Molte battute di lei mi parvero cercate con la memoria e ripetute malamente.
Nella sua indifferenza verso il figlio, ella portava una esagerazione che nascondeva la paura. Del resto, il marito risolvette la cosa con la sapienza di Salomone: prese il figlio per le gambette e minacciò di romperlo.
La signora gridò: “Figlio mio !” svenne e rinvenne e promise di allattare il secondogenito che, in quel momento, si trovava in un sobborgo vicino
Vitaliano Brancati in Omnibus 17 luglio 1932