Il primo tentativo di dare alla Sicilia una struttura di strade di comunicazione risale al 1778
e fu soprattutto Caracciolo a cominciare a spendere la somma di 700.000 scudi che Parlamento siciliano stanziò per procedere alla costruzione delle strade che dovevano collegare le province siciliane.
La scelta compiuta dai gruppi dirigenti delle province di Caltanissetta e Agrigento fu di concentrare tutti gli sforzi finanziari nel potenziamento della porzione di territorio nella quale erano concentrate le miniere di zolfo. Ma solo nel 1852 fu realizzata la Regia strada Comitini–Canicattì–San Cataldo–Caltanissetta.
Di questo sogno e di molte altre imprese di successo o solo annunciate dei re e dei vicerè dei Borboni in provincia di Agrigento, tratta il libro dell’agrigentino Rosario D’Ottavio, “Girgenti e i Borbone. Fu vero amore ?”. Cinque ricchi capitoli, una novantina si pagine, con numerose illustrazioni che vogliono essere un viaggio dove prendono vita personaggi, eventi, speranze di un’epoca, quella che va dall’instaurazione del regno dei Borbone all’indomani del Congresso di Vienna sino al suo tramonto con la conquista della Sicilia da parte delle camicie rosse di Garibaldi nel 1860.
La ricostruzione storica di Rosario D’Ottavio si concentra soprattutto sulle vicende della città di Girgenti, che i Borbone elevarono nel 1817 al rango di capovalle.
La città esce dalle mura chiaramontane in cui era stata ristretta per secoli e si espande fuori dall’antica Porta di Ponte. E il libro di D’Ottavio ci ricorda che “Sotto i Borbone vennero avviati a Girgenti numerosi lavori pubblici che portarono, tra l’altro, alla costruzione dell’odierno “Viale della Vittoria”, alla edificazione di giardini e ville dentro e fuori della città, e ad interventi per l’ampliamento e la ristrutturazione del molo della marina di Girgenti”, l’attuale Porto Empedocle.
La ristrutturazione del porto agrigentino fu importantissima per i traffici commerciali che cominciavano a svilupparsi in quel periodo. E così questo nuovo libro sulla storia dell’Ottocento agrigentino ci ricorda che venne realizzata un’altra strada di collegamento con il porto che dalla trazzera sotto il quartiere “Rabato”, si snodava per tre miglia, con pendio non troppo pesante, fino alla Marina. “E fu proprio il 22 novembre 1823, che la Decuria approvò il progetto per i lavori di costruzione della strada che dalla chiesa dell’Addolorata di Girgenti arrivava al Molo – scrive Rosario D’Ottavio – Nella zona di Villaseta, questa strada passava davanti la Cappella della “Madonna della Catena”, davanti l’osteria della signora “Taverna” in zona Vincenzella, vicino la casina del Signor Lumia (uomo di grande carità verso il prossimo), e poi scendeva verso la calata della marina”.
Tra Girgenti e Porto Empedocle con lo sviluppo di questa parte del territorio nasce Villaseta nel 1853:
“Questa borgata, che doveva fungere da cerniera tra le due realtà, deve intendersi come il primo tentativo del regime borbonico di espansione extraurbana della città. Infatti le prime case sorsero in contrada “Zunica” all’inizio dell’Ottocento, con la pretesa di far sviluppare fuori Girgenti, un piccolo polo industriale di tipo manifatturiero, tentativo questo che fallì, anche a causa della elevazione del vicino borgo marinaro a “Decurionato nel 1853 ”.
Volendo dare impulso ad occasioni di socialità cittadina, un intendente borbonico (una sorta di prefetto) “a ridosso della piazza San Giuseppe, nel 1835 fece costruire il “Casino Empedocleo’’ in via Atenea con il bel prospetto neoclassico ideato da “Raffaello Politi”. Questa struttura, punto d’incontro dell’alta aristocrazia borbonica e della meglio borghesia girgentina dell’epoca, ospitò nel 1838, il re e la regina, quando visitarono la città, per un ballo in loro onore, organizzato dagli amministratori e dai notabili”.
Ma l’impresa più importante per lo svago, il relax ed anche per l’arredo urbano fu la grande Villa dedicata alla Regina Maria Teresa e battezzata poi Villa Garibaldi nel piano di San Filippo.
“La riqualificazione urbanistica di tutta questa grande area, iniziò con la creazione dei giardinetti del piano di porta di Ponte, la sistemazione del Piano San Filippo (nel seicento vi era una chiesa dedicata a San Filippo Neri), del Piano San Calogero, lo spiazzo dietro la chiesa di San Pietro, parte di piazza Marconi e di via Atenea, e soprattutto con la costruzione della “Villa Grande” ovvero villa “Regina Maria Teresa” (poi Garibaldi), sotto la Rupe Atenea, il cui ingresso era nel piano San Filippo, già ristrutturato”, sottolinea D’Ottavio.
I Borbone oltre che strade e ville si dedicarono a risolvere uno degli antichi ed attuali problemi di sempre di Agrigento: la mancanza d’acqua. Dal 1840, i Borboni si erano attivati a risolvere il problema dell’acqua potabile in Girgenti e nel suo comprensorio, tramite i fondi reperiti col sistema dei “Dazi” e con altri, stanziati all’uopo.
“Per l’occasione vennero chiamati in città molti tecnici stranieri, specie ingegneri inglesi, molto competenti nelle ricerche idrauliche, come i fratelli Williams e un certo Carlo Hamel – leggiamo nel libro di Rosario D’Ottavio – Per soddisfare tante esigenze, la Decuria, decise di utilizzare tutte le sorgive che erano presenti nel circondario, a cominciare da quelle provenienti dalla stessa collina e che filtravano negli “ipogei” agrigentini, le acque del feudo di “San Benedetto”, le acque del giardino “Zunica” presso Villaseta, e quelle di contrada “Bonamurone”, utilizzate e canalizzate sin dalla fonte dai monaci Cappuccini. Per l’utilizzo invece, delle acque di “Rahalmari” (sorgente vicino Comitini), si cominciò a discutere fin dal 1847.
Girgenti non fu sempre abbastanza soddisfatta dell’impegno del governo borbonico e partecipò ai moti rivoluzionari del 1820 e del 1848. Accolse poi le truppe garibaldine e votò a larghissima maggioranza l’annessione al regno d’Italia. Anche questi eventi sono ripresi e illustrati dal libro “Girgenti e i Borbone. Fu vero amore ?”, prezioso contributo alla conoscenza della storia di Girgenti.
Elio Di Bella