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Agrigento Alla ricerca del teatro antico. Le ricerche di Griffo

7 Marzo 2015 //  by Elio Di Bella

valle2

Un problema di ancora incerta soluzione, tra i tanti non risolti dell’archeologia agrigentina, è quello se nell’antichità Agrigento abbia avuto un teatro e, in caso affermativo, se si sia in grado di indicarne l’ubicazione.

Si sa che cosa avviene dì fronte a problemi di questo genere. Dal punto di vista scientifico, per lo studioso specializzato, il  problema che abbiamo posto non presenta maggiore importanza di quanta altri non ne abbiano. La conoscenza della città antica è, nel caso di Agrigento, cosi piena di incertezze e di lacune, e ciò per difetto di ricerche razionali e sistematiche e per insufficienza di rilevamenti e di scavi, che non ha senso stabilire una graduatoria di valori tra una possibile indagine ed Infinite altre. L’esistenza del teatro importa quanto quella – altrettanto postulabile – di un ippodromo o di uno stadio; e il problema della sua ricerca non c’è motivo che debba precedere su quelli dell’individuazione, per esempio, dell’agorà o dell’acropoli, che ancor oggi rimangono privi di una soddisfacente risposta. All’archeologo basta aver coscienza che il problema esiste; e quel che importa è che esso sia tenuto presente, insieme con gli altri e sullo stesso piano di considerazione, nell’eventualità che la ricerca topografica possa compiersi un giorno con quel rigore di metodo e quell’adeguatezza di mezzi che ben sarebbero desiderabili. Perché, se va respinta la pretesa che a trovare un monumento (nel caso nostro, il teatro) sia sufficiente darsi attorno a cercarlo, non è da escludere che esso possa venir fuori da un momento all’altro, quando i saggi esplorativi e gli scavi nelle aree corrispondenti al sito della città antica dovessero compiersi su scala adeguatamente vasta, sia nel tempo che nello spazio»

Ma un problema come questo dell’antico teatro agrigentino è di quelli che non dan pace, non tanto alla imperturbabile serenità dell’uomo di mestiere, quanto all’irrequieta curiosità della gente comune, di quella che potrebbe dirsi l’opinione pubblica corrente, nonché all’accesa passionalità del campanilista ad ogni costo. Ed e cosi che per costoro quasi nessun altro interesse ai pone, In questo campo, che l’ansioso domandarsi ; dov’è il teatro « greco » di Agrigento ? e perchè non ai scava ?

Naturalmente, che il teatro sia esistito nessuno lo pone in dubbio a me sembra, anche se debbo ritrattare qualche incertezza cautamente espressa alcuni anni fa (1), che oggi non sia più lecito mostrarsi scettici a questo riguardo. È vero: sul teatro antico di Agrigento le fonti classiche tacciono in maniera che può dirsi assoluta. Perché è manifestamente un errore la notizia di Frontino (2), scrittore della seconda metà del I sec. d. C, secondo cui nel 415 a. C, al tempo della spedizione ateniese in Sicilia, Alcibiade avrebbe tenuto i suoi discorsi contro i Siracusani nel teatro agrigentino.

Com’è noto, la flotta e l’esercito ateniese ebbero la loro base e, diremmo, il loro quartier generale, a Catania; la testimonianza di Frontino va ritenuta nient’altro che un involontario scambio del nome di Agrigento per quello della città calcidese vicina a Siracusa, e, al pari di questa, giacente sulla costa ionica dell’isola. Altre notizie non si hanno.

Ma il silenzio delle fonti non è argomento sufficiente per escludere che un teatro – in un certo momento della lunga e travagliata storia agrigentina – sia stato scavato sui fianchi rocciosi di una delle tante collinette della « valle » o costruito in altro sito adatto.

La mancanza di testi letterari ed epigrafici non autorizza, in questo come in tanti altri casi riguardanti la Sicilia antica, a negazioni o a riserve di sorta.

D’altra parte, non varrebbe da solo come argomento probante il fatto che Agrigento abbia dato i natali ad alcuni più o meno apprezzati autori di tragedie e di commedie, di cui fortunosamente è rimasta menzione attraverso l’immenso naufragio della letteratura siceliota. (Suida nel suo lessico e Diogene Laerzio ricordano, quale autore di 24 tragedie, Empedocle agrigentino, nipote del filosofo, al quale un’errata notizia dì Neante aveva prima creduto di poterle principalmente attribuire. Altre fonti fanno il nome di Archino, autore di 60 drammi, e quello di Carcino, che fra le sue 30 tragedie ne scrisse una sul ratto di Persefone. Ed ecco ancora i quattro figli di Carcino: Senotino, Senarco, Datide e Senocle, attivi nella lontana Atene, dove l’ultimo – stando alla testimonianza di Eliano – nell’ Ol. XCI avrebbe riportato la vittoria su Euripide con una tetralogia (3).

GRIFFO2A tutti questi va aggiunto Deinoloco, scolaro di Epicarmo, autore di commedie di soggetto mitologico; Telefo, Medea, Amazzoni, ecc.). Molti di costoro operarono fuori Agrigento, anche se – come nel caso della Persefone di Carcino e in qualche altro (4) – può supporsi che i loro drammi siano stati rappresentati   qualche volta anche dì fronte ai propri concittadini; i quali, per altro, avranno acclamato nel loro teatro – se uno ne esistette – i capolavori dell’arte drammatica forestiera (non sarà qui giunta l’eco possente della drammaturgia di Eschilo, applaudito ed ospitato – oltre che a Siracusa – nella più modesta Gela ?), allo stesso modo che oggi avviene nel continuo scambio della produzione artistica internazionale.

A parte, dunque, ogni considerazione che possa farsi sulla scorta delle fonti classiche, io credo fermamente, concordando con l’appassionata fede dell’uomo della strada, che la questione dell’esistenza di un teatro in Agrigento antica non abbia presso che senso : tale monumento non può non ammettersi in una città dell’importanza storica e dell’imponenza monumentale quale fa questa nostra in tutte le fasi della sua vita, da quella greca arcaica a quella bizantina. E non può non esserci stato, se lo troviamo in città di gran lunga meno notevoli come – oltre Catania, Segesta e Taormina – le piccole Acre ed Eloro, e, nello stato agrigentino, Eraclea Mìnoa (5). Resterebbe a vedere in quale periodo esso fu realizzato, se nel V-1V sec. a. C. (di quest’epoca è il teatro di Siracusa), o in età ellenistica (come quelli di Segesta, Eraclea, Acre ed Eloro), o addirittura in tempi romani (quando furono profondamente rimaneggiati quelli di Catania e di Taormina); ma -questo non potrà naturalmente chiarirsi se non nel caso che una fortunata scoperta ce lo farà qualche volta improvvisamente ritrovare.

Sarà allora veramente un grande, indimenticabile giorno per l’archeologia agrigentina!

Fino ad oggi, purtroppo, nessun indizio possediamo che ci faccia ritenere prossima tale eventualità.

Nella campagna di Agrigento, nella vasta area a sud della moderna città che corrisponde al sito dell’abitato classico, nessun posto sembra denunziare – per particolarità dì aspetto – la conca di un’antica cavea; nessun segno vien fatto di riconoscere della caratteristica forma che ci avrebbe lasciata, con maggiore o minor chiarezza, il suo riempimento, cosi come avvenne di notare per il teatro di Siracusa quando nel tardo Rinascimento si cominciò ad aver interesse per le sue rovine, o come era all’evidenza indicato dalla solitaria collinetta sul Capo Bianco, prima che non ci mettessimo a scavare – negli anni 1951 e successivi – il teatro dell’antica Eraclea nascosto sotto la sua convessità.

Pure, è sembrato per molto tempo – nei secoli scorsi – che la forma indicativa del teatro agrigentino si conservasse in una grande conca a nord-ovest della Chiesa di S. Nicola.

san nicola

Il primo che ci risulta abbia dato notizia di tale attribuzione è il Fazello (6), l’erudito storiografo del sec. XVI, cui si deve, nel quadro generale delle cose di Sicilia, una notevole descrizione delle antichità agrigentine.

Ma pochi ed assai vaghi sono i cenni da lui dedicati a quello che ritenne il teatro, « appena riconoscibile – com’egli scrisse testualmente (7) – da certe ruinate fondazioni » che ai suoi tempi vedevansi «poco lontane dalla chiesa» dianzi ricordata.

Dopo il Fazello, altri autori scrissero sugli stessi avanzi come di ruderi pertinenti al teatro.

Ma a queste notizie non può riconoscersi comunque valore, trattandosi di frettolose annotazioni di viaggiatori stranieri (il D’Orville, il Munter, ecc.), che non passarono gran tempo in ricerche personali, limitandosi a ripetere sic et simpticiter la congettura del Fazello stesso.

Riesce strana – ma per certi riguardi è da ritenere interessantissima -la testimonianza negativa del Pancrazi, che a metà del sec. XVIII (1751-1752) pubblicò due grossi volumi, dedicati in massima parte alla storia e alla topografia dell’antica Agrigento, frutto di lunghe ed originali ricerche sui luoghi della città classica.

Da tali ricerche, compiute – sono parole sue -«con tutte le diligenze possibili», nulla gli risultò che gli consentisse di indicare, né presso S. Nicola né altrove, alcun vestigio di qualsiasi edificio destinato agli spettacoli (8). E fu cosi che egli acquistò la convinzione che un teatro non fosse mai esistito in Agrigento: contro Fazello, doveva valere la mancanza di resti monumentali che gli si potessero attribuire, ed aver peso una pili retta interpretazione del passo sopra citato di Frontino, che, per quanto io sappia, fu riconosciuto erroneo, la prima volta, appunto dal Pancrazi.

Niente di nuovo, circa un secolo dopo, potè dire il Duca di Serradifalco, nel III volume delle sue Antichità di Sicilia (9), che pure è tutto dedicato ad Agrigento nessun elemento decisivo tu recato dalla Schubring  autore della prima topografia scientifica dell’antica Akraga (10), Il quale ancora nel 1887 (anno della traduzione Italiana dal Tomnizzo) si limitava a ricordare una serie di vecchie congetture, da lui ritenute inaccettabili n mancanza di appositi scavi.

Stando a lui, poiché non ci è possibile controllarne le citazioni, il sito del teatro sarebbe stato indicato da taluni sul poggio della Meta (supposta sede per qualcuno dell’ippodromo); da altri sulla collina un po’ più a nord, credo la collina di S. Leonardo; da altri ancora sulla bassura a settentrione del tempio di Giunone.

Quanto ai ruderi dietro S. Nicola, che il Fazello aveva attribuiti al teatro, si riducevano ai suoi tempi ad una fila di grossi conci squadrati, della stessa tecnica delle mura e del templi greci, e furono da lui ritenuti di età posteriore e interpretati come resti di un ginnasio.

Pura congettura anche questa, a cui il Toniazzo, che – traducendo – diligentemente rivide ed aggiorno l’originaria redazione del dati topografici, non riconosceva valore diverto dalle altre, negando per suo conto al terreno presso S. Nicola la possibilità di aver ospitato un teatro.

A questo punto, è chiaro che la questione non può che risolversi con l’unica riprova possibile: quella dello scavo.

Il piccone fu per la prima volta impiegato, nella specifica ricerca del teatro agrigentino, in quella primavera del 1925, che doveva segnare l’inizio dei grandi e fruttuosi tentavi di Pirro Marconi, ai quali ci tocca ora la ventura di poter idealmente ricollegare la nostra personale attività in corso (11).

Finanziatore di quest’impresa fu, almeno in parte, il capitano inglese Alessandro Hardcastle, che, stabilitosi allora da qualche anno in Agrigento, s’era lasciato conquistare dalla passione dell’archeologia.

Il problema posto da questo strano tipo di mecenate dilettante al giovane archeologo, così riccamente dotato di entusiasmo e di dottrina, fu quello appunto della ricerca del teatro in quella svasatura a mo’ di mezza conca che presenta il terreno a nord dell’exconvento di S. Nicola, dove valeva la pena accertare finalmente con adeguatezza di mezzi la natura dei resti architettonici, che dal Fazello in poi avevano destato l’interesse dei topografi agrigentini.

Gli scavi furono portati dal Marconi con il massimo impegno, su molti punti della conca e fino a notevole profondità  ma i risultati non furono quelli che a molti era sembrato legittimo aspettarsi.

Quanto allo scopo per cui la ricerca era stata intrapresa, il Marconi non si peritò di scrivere (12) che doveva ritenersi fallito.

I resti antichi trovati qua e là in quegli scavi sistematici risultarono appartenenti a complessi di edifici, spesso imponenti, ma assai diversi tra loro per epoca e per destinazione; in ogni caso, però, era da escludere – a giudizio dello scavatore – che potessero attribuirsi ad un teatro.

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Io ho molto rispetto per la memoria del Marconi e per la sua compianta personalità di studioso immaturamente scomparso; e c’è stato un tempo nel quale ho accettato come assolutamente definitivo il suo giudizio qui sopra riferito (13). Ma ho anche profondamente meditato su questa, come su tante altre delle sue conclusioni circa vari problemi di archeologia e di topografia agrigentina; e me n’è venuta qualche incertezza, per cui porrei l’esigenza di più accurate revisioni.

Dietro S. Nicola penso che si debba tornare a fare scavi : forse sarà possibile quando in quella zona costruiremo, come sembra ormai certo, l’edificio del Museo Nazionale. Da questa nuova augurabile ricerca la natura della conca presso S. Nicola dovrebbe essere finalmente chiarita, senza che ne restassero dubbi per l’avvenire.

E con la zona più vicina a S. Nicola andrebbero attentamente studiati i terreni che da qui scendono fino a Porta Aurea e al tempio di Giove Olimpico, dove quasi certamente troveremmo il quartiere della vita pubblica di Agrigento greca ellenistica e romana.

Ad un monumento di cui non siamo in grado di precisare la natura e la destinazione appartengono i frammenti di quella cornice curvilinea, a motivi compositi di stile imperiale romano, che è nota da qualche secolo (14) e che è attualmente ricomposta a coronamento di un moderno bastione nel giardino dell’ex-monastero di S. Nicola, già villa del ciantro Panitteri.

Che abbiano fatto parte, o no, dell’ornamentazione di qualche elemento del teatro, è cosa che s’è ritenuta più o meno probabile a seconda che s’è creduto oppure no all’esistenza del teatro in quella zona. È chiaro che il quesito non può avere soluzione allo stato attuale delle nostre conoscenze, quali le abbiamo sopra puntualizzate. Come incerta rimane anche l’attribuzione di altri elementi architettonici  riadoperati nelle parti retrostanti della contigua chiesa  (15), e che pare provengano anch’essi da un qualche edificio romano, di dimensioni non certamente rilevanti ma di valore architettonico  piuttosto notevole, che doveva trovarsi non molto lontano.

Ho voluto citarli- insieme con la cornice dianzi ricordata, non perche io pensi più o mano di riferirli al teatro che andiamo ricercando (e come potrei, se su di esso non facciamo altro che congetture ?), ma per ribadire come Intorno ad essi va sospeso provvisoriamente ogni giudizio, e per insistere sulla convenienza, vorrai anche dire la necessita, di ulteriori indagini nelle località di S. Nicola, dove conseguiremmo risultati in ogni caso  interessantissimi, almeno per la topografia dell’antica Agrigento.

E per intanto, mi è necessario avvertire che ritengo il  problema del teatro  aperto anche ad altre svariate soluzioni che non  a quella dell’ubicazione a S. Nicola.

Qualche anno fa, nel mio scritto che ho più volte citato, feci l’ipotesi che esso abbia potuto aver sede n qualche sito sulle pendici meridionali del colle dall’attuale Agrigento, dove, anche ad escludere che ci si trovasse l’acropoli, è probabile che la città classica abbia avuto un quartiere urbano a partire dal sec. V a, C.

Sono di quell’età il tempio dorico ritenuto di Atena, parzialmente conservato sotto la chiesa medioevale di S. Maria del Greci, ed il vario complesso di ipogei scavati sotto il colle, che non c’è più dubbio faccian parte degli acquedotti costruiti da Feace   (16); ed è quello il secolo in cui la città affermò la tua potenza con le armi, attuando, come naturale conseguenza, un suo vasto programma di  viluppo urbanistico e di abbellimento monumentale.

Il colle di Agrigento, rimasto escluso nel primitivo tracciato della citta,(17)potè esservi incorporato in questa importante fase della sua espansione, costituendo un quartiere nuovo cui non è certo ad ogni modo che si riferisca qualche fonte piuttosto tarda. E nessuna retta ragione vieterebbe di credere che in tale quartiere l’opulenta Acragante degli ultimi decenni del secolo V abbia potuto incavare un edificio destinato agli spettacoli, in nobile e legittima gara con fa potente Siracusa, che proprio in quegli anni (l8), forse, «scavava il suo Teatro ai fianchi dal colla Temenite, ubicato – coincidenza che sarebbe interessante – nella Neapoti da poco aggiunta alla precedenti regioni urbane (19).

Non vedo perché la mia ipotesi, per quanto si riferita  all’ubicazione e poco importando ogni questione di cronologia, non debba ritenersi ancora valida.

Se del teatro agrigentino così supposto nulla finora conosciamo, ciò potrebbe essere giustificato dal fatto che al di sopra di esso si sarebbe costruita la città medioevale, di cui quella moderna ricalca fondamentalmente le orme (20). Ce da augurarsi in tal caso che le gravi mutilazioni subite dal versante meridionale della collina n ogni tempo l’abbiano n tutto o in parte risparmiato, ed allora qualche traccia potremmo sperare di vederne un giorno o l’altro spuntare di sotto alle decrepite case e alle tortuose viuzze, cui non farebbe torto la sana chirurgia di un moderno  razionale sventramento.

La zona di Ravanusella, subito a nord dell’attuale stazione ferroviaria, mi sembrerebbe a questo riguardo degna di  ogni altra di attento esame e di speciali controlli ; certo, è almeno strana quella disposizione a largo semicerchio in salita che qui presentano le case attorno all’ampia piazza del Mercato ortofrutticolo (21).

piazza ravanusella

Ma ciò non vuol dire che ci si dovrebbe fermare a queste impressioni; ho parlato dianzi, più generalmente, di versante meridionale del colle di Agrigento, e non c’è tratto della sua lunga estensione per il quale io pensi di poter escludere l’eventualità di una felice conferma alla mia vecchia ipotesi.

Ma altre ancora se ne potrebbero formulare, se non riuscisse ozioso discuterne, nell’assoluta mancanza di elementi che abbiano un minimo di attendibilità.

Per doveroso omaggio alla sua esperienza in fatto di studi sul teatro antico, mi piace ricordare l’idea del prof. Giacomo Caputo che, nel corso di una recente conversazione sull’argomento, mi suggeriva di vedere un po’ se non sia possibile impostare la ricerca del teatro agrigentino immaginandolo orientato verso il nord, anziché a sud come fino ad oggi si è supposto.

L’orientamento a mezzogiorno – come si sa – è quello sconsigliato da Vitruvio (22) per gli edifici destinati alle rappresentazioni teatrali, e ciò per ragioni di carattere funzionale, onde evitare che gli spettatori avessero molestia dalla calura che si sarebbe addensata nelle rotondità della cavea.

Nella pratica, le cose non furon fatte sempre esattamente in questo modo. Limitando l’esame ai teatri antichi conosciuti della Sicilia, soltanto due (Tindari ed Acre) risultano orientati a nord, ed uno (quello di Segesta) rivolto a nord-est; mentre a sud guardano i teatri di Siracusa, di Catania e di Eraclea, a sud-est quello di Eloro e a sud-ovest quello di Taormina.

In tanta diversità di orientamento (sono esclusi per altro l’oriente e l’occidente) sembra prevalere, più che ogni altra considerazione, il criterio di una esposizione verso il mare (Siracusa, Eloro, Tindari, Segesta ed Eraclea), o verso altri elementi di attrazione panoramica, come, per esempio, lo stupendo scenario dell’Etna nel caso del teatro di Taormina (23).

Ed allora, io penso che per Agrigento non sia stato facile sottrarsi al fascino della sua « valle » a sud e del mare che le fa superbamente da sfondo. Ricercare il teatro in altra direzione, mi sembra sia cosa da poter escludere. Del resto, dove dovremmo orientare la nostra ricerca? Nella « valle » – se un giorno ci si dovesse trovare -, dato il suo vario degradare da nord a sud, non credo ad altro possibile orientamento che a quello da noi supposto.

Sulla Rupe Atenea, quella che potrebbe essere la più antica acropoli, non c’è assolutamente luogo che comunque sia capace di attrarre la nostra attenzione. Né sul versante meridionale, dove, nello sviluppo della città moderna, non sono apparse tracce evidenti dell’abitato classico; né su quello dell’estremità orientale, in gran parte occupata dal duplice santuario di Demetra; né su quello settentrionale, tutto tagliato a picco per naturale configurazione del terreno, ed ancor oggi chiaramente estraneo all’area della città vera e propria. Il versante ovest, allo stato attuale, si presenta cosi alterato nei confronti del suo aspetto di un tempo, che non è possibile studiarlo al nostro fine  e, del resto, per varie ragioni ritengo che non abbia mai potuto comprendere il teatro che cerchiamo.

Dovremmo allora pensarlo sul versante settentrionale del colle di Agrigento? Non vorrei essere assoluto nelle mie esclusioni : ma una tale ubicazione non credo sia scevra da difficoltà, prima fra tutte la sua eccentricità rispetto a tutto l’abitato del tempi classici, ampiamente disteso sul versante a sud della Rupe Atenea, in una progressiva diminuzione di quote che scende fino alla collina contenente i templi.

Per ragioni analoghe – e non per oneste soltanto – deve ritenersi assolutamente priva di fondamento l’ipotesi fatta qualche tempo fa da un paio di dilettanti locali, i quali hanno preteso di poter indicare come sito del teatro un certo posto su quella collina a sud-ovest di Agrigento, che dal passaggio a livello sulla ferrovia, poco oltre il ponte sul fiume S. Anna, si estende verso la borgata di Villa Seta.

Il fiume S. Anna, da identificare con l’ Hypsas rimane tutto al dì fuori del perimetro dell’abitato classico, che stando a Polibio (24), era lambito dall’Hypsas sul lato di occidente e di libeccio. E al di là del fiume, specie a tanta distanza da ogni punto dell’abitato, non è assolutamente possibile localizzare, nonché il teatro, nessun’altra cosa che non fosse – ma ne manca qualsiasi testimonianza sul terreno – una dipendenza suburbana della città, alla quale è semplicemente assurdo e antiscientifico tentare di attribuire – per mania di grandiosità – perimetro diverso e più vasto di quello su cui concordano tatti gli studiosi qualificati (basti accennare al Marconi ed al Pace).

Per concludere, credo di poter sintetizzare in poche proposizioni i risultati di quanto siam venuti discorrendo :

  1. – Che nell’antichità Agrigento abbia avuto un teatro deve ritenersi fortemente probabile;
  2. – Dove esso sia stato non c’è modo di indicarlo se non per congettura;
  3. – La sua ricerca non può costituire un problema a sé : perché ritorni alla luce è da sperare piuttosto in una scoperta occasionale, che vivamente si auspica come una delle più notevoli che ci si possano attendere dall’archeologia agrigentina. E da chiunque essa venga, sarà sempre la benvenuta.

 

 

1) P. GRIFFO, Ebbe Agrigento un teatro nell’antichità? in « Akragas» : Bollettino di studi, scoperte ed attività varie, a cura della Soprintendenza alle Antichità di Agrigento, Fascicolo 1° (Agrigento, 1947 ) fascicolo I pp.5 e seguenti

2) Stratag. III, 2, 6

3) Per tutte le precedenti notizie vedi B. PACE , Epicarmo e il teatro siceliota, Siracusa, Istituto nazionale dramma antico 1929, p.29

(4) Cosi per le commedie di Deinoloco fu supposto da G. SCHUBRING. Topografia storica di Agrigento, traduz. ital. di Q. Toniazzo, Torino, Loescher, 1887, p. 101. E a maggior ragione verrebbe di ammetterlo per il dramma dì Carcino, se, com’è facile pensare, esso fa il doveroso omaggio del tragediografo agrigentino alla dea protettrice della sua città, cosi profondamente legata al suo culto da giustificare la celebre invocazione pindarica, in cui Agrigento è salutata quale  città di Persefone

(5)  Il teatro di Eraclea è in corso di scavo per opera della Soprintendenza alle Antichità di Agrigento. Una relazione preliminare del Dott. Ernesto De Miro è prossima ad apparire su «Notizie Scavi». In precedenza, l’unico a darne chiara notizia era stato G. CAPUTO,  Il teatro di Eraclea Minoa , in « Boll. Ist. Naz. Dr. Ant., Siracusa, 1930 p. 86 e seguenti

(6) T FAZELLO, De rebus siculi, dec. I, (Catania 1749-51), p. 261.

(7)  Traduco dal latino: « Quod ex obrutis fondamentis quae a templo S. Nicolai non procul àbsunt, vix etiam cognoscitur >.

(8) G. Pancrazi, Le antichità siciliane spiegate, Tomo II, Napoli 1752, pp. 111-112

 

(9) E’ del 1836.

(10) Vedi sopra

(11) Stiamo par ora scavando, con notevoli finanzi traenti della « Cassa per il Mezzogiorno », tutto un quartiere di case di età ellenistico-romana ad est di San Nicola e vaste aree nel settore occidentale, della zona archeologica (sulla collina dei Templi). Scaveremo quanto prima al tempio di Giove. Nella zona di San Nicola è assai probabile che costruiremo il Museo Nazionale.

(12) P. MARCONI, Girgenti – Ricerche ed esplorazioni, in «Notizie Scavi», 1936,

(13) Nel mio studio già citata, p. 10.

(14) Riprodotta, credo per la prima volto, alla tav. XII di I.  PH. D’Orville, Sicula etc. Amsterdam 1764.

 

 

(15) Messi n particolare evidenza nello studio di G. Di STEFANO, L’architettura religiosa del   secolo XIII in Sicilia, in Archivio Storico per la Sicilia, 1938. Ho l’imopressione che siano stati posti in opera piuttosto tardi, quando, tra il ‘400 e il ‘500, non è improbabile che tutto l’edificio abbia subito importanti lavori di riadattamento e di restauro.

(16_) Vedasi B. Pace, Arte e  civiltà della Sicilia antica, vol. II (Milan 1938) p.434 e seguenti Più di recente sono stati studiati complessivamente da L. Arnone, Gli ipogei agrigentini, Agrigento E.P.T. 1953

(17) E’ questa l’opinione di chi – come per esempio il Bonfiglio e il sottoscritto – ritiene che l’acropoli descritta da Polibio sia la Rupe Atenea

(18) Così sembrerebbe dalla testimonianze letterarie. Cfr. ad ogni modo G.E.Rizzo Il teatro greco di Siracusa, Milano, 1923, p.11, n.1 e pag. 74 e seguenti. Nonché P.E Arias in “Enc. Ital” vol XXXIII p.355. Ho appena bisogno di ricordare che il teatro di Siracusa è da qualche tempo soggetto a profondi studi di revisione da parte di C. Anti

(19) Vedi B. Pace Urbanistica di Siracusa Antica, in Siracusa, Numero unico, per il XXXVI convegno della Dante, 1931, p.30, sgg. G. Cultrera  in Enc. Ital. Voll XXXI, p. 87 e seguenti

(20) interamente nascosti sotto le costruzioni della città erano per esempio i resti del teatro e dell’anfiteatro di Catania fino a quando non si è cominciato a rimetterne in luce qualche parte

(21) L’amico prof. Vittorio Cardinale penserebbe piuttosto all’area di un’antica cava, aperta in questa parte del colle come l’altra (la cosiddetta cavetta) che ancor oggi si vede sul versante meridionale della rupe atenea.

(22) De archt. V,3,2

(23) al mare, che si trova a nord, guardano tutti i teatri della Libia, dove il Caputo ha fatto le sue maggiori esperienze

(24) Storie, IX, 27

Pietro Griffo, Del teatro greco di Agrigento, 1954

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Lorenzo Rosso

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Alexander Hardcastle. Il «sir» amante dell’antichità. Appassionato di grecità, avviò i primi scavi nel 1920. Spese tutte le sue fortune, ma non trovò traccia del teatro mori in povertà all’ospedale di Agrigento.

Giuseppe Castellana. Direttore del museo archeologico, è uno dei massimi esperti in studi preistorici: ha all’attivo oltre 80 campagne di scavi condotte negli ultimi trent’anni.

 

Avevano tentato in diversi, a localizzarlo, nel secolo scorso, e a riportarlo alla luce. Anche in epoche più recenti erano state compiute importanti campagne di scavi, ma dell’antico teatro greco in pietra, che una potenza come Akragas, – «la più bella città dei mortali» secondo Pindaro – non poteva non avere, non è mai stata trovata traccia. Stiamo parlando di quella che ormai da oltre un secolo è una vera e propria chimera che ha affascinato archeologi e studiosi e che oggi ritorna d’attualità. Si tratterebbe di un grande sito che potrebbe celarsi ancora integro, nel sottosuolo della millenaria Valle dei Templi dorici di Agrigento. A dare il via alle campagne di scavi e a lanciarsi in questa avventurosa ricerca, tra i primi, fu, nel secolo scorso, un mecenate inglese, sir Alexander Hardcastle, che innamorato della grecità, decise di portare avanti (finendo per sacrificare l’intero suo ingente patrimonio finanziario) l’ambizioso progetto. Scavi condotti tra il 1920 e il 1930, all’epoca diretti dal giovane archeologo Pirro Marconi per conto dell’inglese, portarono alla luce importanti testimonianze archeologiche ma il teatro non venne rinvenuto. Il sogno di Hardcastle di ritrovare il teatro dell’antica città di Akragas si spense poi nel 1933 quando morì in un lettino dell’ospedale di Agrigento, povero e amareggiato. Negli anni Settanta ed Ottanta si tornò a scavare nella zona archeologica ma anche in questo caso senza particolari risultati. Adesso l’archeologo, Giuseppe Castellana, 64 anni, già direttore del museo archeologico, considerata tra i massimi esperti in studi preistorici, medita di tentare nuovamente l’impresa. Castellana, allievo del mitico professor Giacomo Caputo archeologo scavatore in Cirenaica e Tripolitania, con un’esperienza di 80 campagne di scavi compiute nell’ultimo trentennio, non nasconde che arrivare al teatro sarebbe un grande successo scientifico internazionale. Il progetto di scavo, che coltivava da tempo, arriva praticamente alla vigilia del suo pensionamento da direttore del Parco Archeologico della Valle dei Templi di Agrigento, I 300 ettari considerati dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità, in cui sorgono i famosi templi dorici tra cui quello meglio conservato in assoluto, detto «della Concordia». Il progetto, con un piano finanziario di circa 2 milioni di euro che la Regione Siciliana metterà a disposizione mediante un Fondo Comunitario Europeo, prevede una specifica campagna di scavi nella zona dell’Agorà superiore, in prossimità della contrada San Nicola dove già sono stati portati alla luce i resti di due importanti edifici pubblici di forma teatrale come il bouleuterion e l’ekklesiasterion. Probabilmente si tratterà di una delle più grandi campagne di scavi che verrà finanziata prossimamente in Sicilia anche se non è detto che il leggendario teatro o quanto meno l’antico ippodromo (entro il quale, leggenda vuole, si allenassero alle corse per competere ad Atene i migliori cavalli akragantini dell’olimpionico Esseneto) continuino a rimanere una chimera. Forte delle sue numerose collaborazioni con vari musei ed istituzioni a livello internazionale, l’archeologo guarda a queste prossime ricerche con ragionevole distacco. «Finora – dice – della città antica si conosce ancora poco e sono venute alla luce soprattutto testimonianze di età ellenistico-romana. Il teatro in pietra dovrebbe invece essere antecedente, del quinto o quarto secolo avanti Cristo. Mi piace quindi, nei prossimi mesi, poter riprendere il progetto di questa ricerca di Alexander Hardcastle, anche per riuscire ad onorare al meglio la sua memoria!». Sulle speranze concrete di ritrovare il teatro in pietra dell’antica Akragas l’archeologo dice: «Se ciò avvenisse, sarebbe un evento eccezionale in tutti i sensi. La scoperta passerebbe alla storia e sicuramente renderebbe un gran servigio alla Città di oggi, che deve vivere e prosperare con il turismo culturale ma – conclude – non riesce ad esprimere completamente tutto l’enorme suo potenziale».

 

2 milioni di euro. Il finanziamento della Regione Sicilia che attraverso un Fondo Comunitario Europeo permetterà all’archeologo Giuseppe Castellana di avviare gli scavi nella zona dell’Agorà superiore

 

AKRAGAS Un drone per trovare il teatro greco

L’Ente Parco Valle dei templi stipula una convenzione con l’Università di Padova. Il progetto mira a individuare aree di potenziale interesse archeologico. Nello scorso secolo, diverse le campagne di scavi aperte per ricercare il teatro greco che una polis come Akragas non poteva non avere

di Debora Randisi – 26/06/2014

Un drone sorvolerà la Valle dei templi, una delle aree archeologiche più vaste al mondo con i suoi 300 ettari di estensione, nonché patrimonio dell’umanità, come dichiarato dall’ Unesco. Il progetto nasce da una convenzione tra l’Ente parco archeologico e paesaggistico Valle dei Templi e l’Università di Padova ed è finalizzato ad identificare le zone di potenziale interesse archeologico su cui aprire il fronte della ricerca e avviare gli scavi.

 

“È un progetto già avviato, che consentirà di verificare dall’alto l’eventuale presenza di tracce di insediamenti, strutture o strade attraverso sistemi di indagine teleosservativi, che hanno il pregio di essere poco invasivi e poso costosi”, spiega Giuseppe Parello, direttore dell’Ente Parco. La Valle dei templi si apre dopo anni nuovamente alla ricerca archeologica. I droni, piccoli aerei automatizzati, ispezioneranno la zona dall’alto. I dati ottenuti verranno poi incrociati con i rilevamenti satellitari, documentazioni, fotografie e studi scientifici, per identificare le zone maggiormente interessanti e procedere così nella ricerca di quei tesori dell’antica Akragas ancora sepolti. Tra questi quel teatro greco, ossessione degli studiosi. Desiderato, cercato, e non ancora scovato nelle campagne di scavi effettuate nel corso di ormai quasi un secolo.

 

Tra i primi ad indagare nel sottosuolo agrigentino, sir Alexander Hardcastle, ambizioso studioso che tra il 1920 e il 1930 condusse una campagna di scavi investendo copiose risorse finanziarie. I lavori diretti all’epoca dal giovane archeologo Pirro Marconi portarono alla luce importanti testimonianze archeologiche. Del teatro però nessuna traccia. Una cinquantennio dopo, tra gli anni Settanta ed Ottanta, si tornò a scavare. L’obiettivo ancora una volta il teatro greco. Ma anche quelle campagne portarono ad un nulla di fatto.

 

L’archeologo Giuseppe Castellana, ex direttore del museo archeologico e allievo del professor Giacomo Caputo, ha coltivato il grande sogno di portare alla luce l’antico teatro. Il suo progetto però si avviò però solo in prossimità del suo pensionamento da direttore del Parco archeologico della Valle dei Templi di Agrigento.

 

Nel 2010 un finanziamento di circa 2 milioni di euro di fondi europei stanziati dalla Regione Siciliana disponeva una mirata campagna di scavi nella zona dell’Agorà superiore, in prossimità della contrada San Nicola dove già sono stati portati alla luce i resti di due importanti edifici pubblici come il Bouleuterion (luogo in cui si riuniva la Boulè) e l’Ekklesiasterion (assemblea dell’Ekklesia).

 

La tecnologia e il progresso scientifico potranno forse porre fine a una questione ormai antica. Magari sarà proprio un drone ad indicarci la strada giusta e chissà, Agrigento potrà finalmente avere il suo teatro greco, scoperta archeologica che senza ombra di dubbio avrebbe una grande eco a livello internazionale.

 

Fonte agrigentosette.it

 

Categoria: Attualità, Storia AgrigentoTag: agrigento storia

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