I più anziani hanno nostalgia del vecchio paese. Della piazza, dei circoli, dei cortili, delle antiche abitudini lente a morire.
Diciannove anni dopo quella notte del ’68 in cui Montevago fu rasa al suolo, la maggior parte delle case sono state ricostruite. La lunga notte delle baracche è quasi un ricordo, anche se recente e doloroso. La cronaca dell’anniversario, liturgia del mestiere di cronista, non è più soltanto un viaggio nel dramma. Si ascoltano voci diverse. Un ragazzo, al bar: «Siamo tutti contenti che abbiamo di nuovo le case. Ma è davvero una cosa da pazzi.
Abbiamo passato chi dodici, chi quindici anni di vita in baracca. Una generazione. E siamo contenti lo stesso». Salvatore Monteleone aveva 18 anni, in quella notte del terremoto. «Ricordo il terrore, il freddo, il dolore per i parenti morti. E giorni e notti a scavare tra le macerie. Era tutto distrutto». Adesso, del paese, è sindaco. Comunista. A capo d’una giunta Pci-Psi che da dodici anni amministra Montevago. Racconta: «La ricostruzione è quasi completa, non solo per le case, ma anche per molti servizi sociali. Manca la chiesa, perché l’impresa è fallita. E c’è una ’’città dei ragazzi” che è una meraviglia».
I più anziani hanno nostalgia del vecchio paese. Della piazza, dei circoli, dei cortili, delle antiche abitudini lente a morire. Il terremoto e le baracche, anche per la vita quotidiana sono state una terribile frattura. Ma la ricostruzione non ha solo cambiato il volto di vicoli e quartieri. Ha aggiunto parecchie novità. Si vive meglio, insomma. E le strade, hanno nomi spaziali, piazza Apollo XI, via Gagarin, accanto alle tradizionali via Roma e corso Vittorio.
La Città dei ragazzi
La «città dei ragazzi» è un palazzotto a due piani, di vetro e cemento, accanto a due campi di tennis e basket. L’ha progettata, gratis naturalmente, un montevaghese emigrato a Milano, Alessio Scirè, ispettore della protezione civile. Ci sono sale per il cineforum e per la musica, una mostra anti-mafia, grandi stanze per il doposcuola dei bambini delle elementari e delle medie, le baracche con i reperti di recenti scavi archeologici. «D’estate, qui c’è un vero e proprio campo-scuola organizzato dalla cooperativa ’’Nuova Archeologia” di Sommariva, in Piemonte.
Arrivano cento ragazzi, da tutta Italia», racconta Giovanni Indelicato, ingegnere, assessore alla Pubblica Istruzione. C’è anche una biblioteca, con 10 mila volumi. E la memoria? «Vogliamo difenderla. Salvare pure le più piccole testimonianze», giura Fortunato Accidenti, socialista, assessore ai Lavori Pubblici. Tra le macerie del vecchio paese pascolano le capre. E lavora una squadra di venti operai, pale, picconi e ruspe, per recuperare il tracciato delle vecchie strade, corso Umberto, via Garibaldi, il piano della chiesa madre. Dice Accidenti: «Recupero della memoria archeologica del presente.
Abbiamo un progetto di un architetto di Palermo, l’ingegner Di Cristina». Giuseppe Bavetta, 55 anni, alza gli occhi dal cumulo di terra che sta spalando: «Qua ci venivo a passeggiare, in estate, quando tornavo dalla Svizzera. Appena queste strade saranno ripulite, ci porterò mio nipote, per fargli vedere dove stavo costruendo la casa, prima che venisse il terremoto».
Ieri come oggi un problema: il lavoro
Poco più di 3 mila abitanti, in paese. Ed un problema, per tutti: il lavoro. Calogero Impastato ha una piccola impresa edile, con 8 operai. Dice: «Adesso che la ricostruzione è finita, di cosa vivremo?». Dei grandiosi piani di sviluppo solennemente promessi da leggi di Stato e Regione, non si è visto nulla. Montevago ha vissuto d’edilizia e d’agricoltura; una cantina sociale in società con quelli di Santa Margherita, il paese vicino, assicura un reddito annuo di quattro miliardi. E poi?
Il sindaco Monteleone: «Speriamo nel turismo». C’è chi teme una nuova ondata di emigrazione. Gli emigrati d’un tempo, quasi tutti nel Venezuela, hanno regalato al vecchio paese una piazzetta ed un monumento all’eroe della nuova patria, Simon Bolivar.L’acqua arriva tutti i giorni, nelle case.Per i vecchi soli c’è un gerontocomio, costruito utilizzando la palazzina dell’asilo nido regalato, a Montevago, nel ’69, dai lettori de L’Ora. Quell’asilo fu la prima costruzione in muratura del paese. Monteleone: « Fu un bel regalo. Ci portò fortuna ».
Antonio Calabrò (testo pubblicato nel in un fascicolo di autori vari su Montevago nel 1987)