di Amedeo Pepe
Il testo seguente propone, quasi integralmente, l’intervento dell’autore al convegno sul tema “Saverio Friscia – IL SUO E IL NOSTRO TEMPO”, tenutosi a Sciacca, per iniziativa del Centro Cuturale “Lucio Lombardo Radice, nei giorni 8 e 9 marzo 1986, nella ricorrenza del centenario della morte del medico, socialista libertario, Saverio Friscia, avvenuta il 22 febbraio 1886, a Sciacca, dove era nato l’11 novembre 1813.
“I tratti più qualificanti del pensiero e dell’azione politica del Friscia emergono in modo ampio e significativo nel ventennio postunitario.
Si segnala in un contesto nazionale, quale produttore di valori e operatore di comportamenti, tesi alla trasformazione della società, siciliana in particolare, in direzione del riscatto delle classi meno abbienti, specie contadine, i cui bisogni non trovano le giuste considerazioni all’interno delle tematiche risorgimentali.
Il sacrificio di tali interessi rappresenterà, nel concreto, la conditio si ne qua non della formazione dello Stato Unitario, quale storicamente e materialmente, si andrà configurando, finalizzato alla salvaguardia e al mantenimento costante degli interessi della borghesia capitalistica, protesa alla creazione di un mercato nazionale, capace di assorbire i prodotti della industria del Nord in netta crescita; votata, toto corde, alla “religione dell’accumulazione” (1) (per usare un’espressione di Pino Ari occhi) ; e operante, di conseguenza, in direzione della realizzazione spregiudicata del massimo profitto.
I progenitori di coloro che Ernesto Rossi fregerà del titolo di “padroni del vapore” non avranno alcuna remora a fondersi in un blocco socio-politico con i detentori della grande proprietà terriera e del latifondo, con i quali saranno cointeressati alla repressione sistematica di ogni tentativo di riscatto delle masse contadine. Le reazioni sono conseguenziali: prima il brigantaggio, poi la contestazione sistematica delle scelte del nuovo stato, al quale si sentono sempre più estranee.
Le avvisaglie di tali feroci repressioni si hanno già durante l’impresa dei Mille.
I fatti di Bronte e delle zone vicine costituiscono gli antesignani di quella politica repressiva, che raggiungerà posizioni estreme durante il Ministero Crispi.
II Movimento socialista siciliano presenta delle peculiarità riscontrabili, solo in parte o per niente, negli aspetti nazionali italiani del socialismo stesso.
E ciò per via della particolare struttura economico-sociale della Isola.
Riteniamo, inoltre, che bisogna individuare tali differenze, se non si vuol concludere che “movimento socialista siciliano” non identifichi niente più che una tautologia del “movimento socialista italiano”.
Ne consegue, peraltro, che quelle soluzioni storiografiche, valide per il socialismo italiano, impongono una ulteriore ed accurata verifica, allorché si passa a considerare la storia del movimento socialista dell’Isola.
Infatti, a proposito del “movimento socialista”, anche per una esigenza di rigore filologico, s’impone di precisare, che, in tale categoria storica, bisogna comprendere non solo i movimenti palesemente ispirati a ideali socialisti, ma anche il processo creativo delle organizzazioni più o meno articolate, che si prefiggono di trasformare la società isolana, ispirandosi alle idealità medesime.
La nascita del moderno movimento socialista, crediamo, và individuata nel moto rivoluzionario parigino del 1848: in quella occasione viene innalzata, per la prima volta, a Parigi la rossa bandiera del proletariato.
Nei fatti rivoluzionari di tale anno, che sconvolgono l’Europa, non intervengono soltanto le forze liberali e nazionali.
Si manifesta, in piena luce, una entità nuova, quella del proletariato, nata ed in crescita unitamente con la grande industria.
Ed in verità, momenti di pensiero socialista, specie libertario, sono presenti anche tra i pensatori e militanti per l’Unità nazionale.
Si pensi al comunista babuvista Filippo Buonarroti e, ancor di più, a Carlo Pisacane.
Proprio a Napoli, nel Mezzogiorno d’Italia, matura l’esperienza rivoluzionaria di Carlo Pisacane, il quale, il 25 giugno 1857, con la occupazione del piroscafo “Cagliari”, dà inizio alla sfortunata impresa di Sapri, conclusasi tragicamente.
Il sacrificio di questo nobile napoletano commuove la parte più sensibile ed avanzata dell’opinione pubblica.
Scrive Bolton King: “Come ebbe a dire Victor Hugo, Pisacane fu più grande dello stesso Garibaldi e, secondo Jhon Brown, più grande anche di Lincoln.” (2).
Sono, ormai, definitivamente riconosciuti, dalla storiografia più accreditata, i tratti profondamente innovatori dell’azione e del pensiero di Pisacane, che rappresenta, forse, la punta più avanzata del momento democratico socialista e libertario del nostro Risorgimento.
Anche in Sicilia, del resto, negli anni attorno al 1848, vi sono vivissime personalità (pensiamo a Pasquale Calvi e Giovanni Interdonato), che intuiscono i reali termini delle contraddizioni della società borghese-capitalistica, in fase di crescente consolidamento.
Gli studi sulla rivoluzione siciliana del 1848 hanno fatto chiarezza sbarazzando il campo da affermazioni di maniera.
Si veda, tra gli altri, il saggio di Matteo Gaudioso, di recente scomparso, storico e militante socialista, “Essenza Della Rivoluzione Siciliana del 1848- 49” Catania 1969.
Bisogna arrivare al 1864, perché le esigenze di riscatto delle classi lavoratrici furono assunte quali obiettivi dichiarati di una struttura organizzativa politica.
Il 28 settembre 1864 nasce a Londra l’Associazione Internazionale dei Lavoratori, meglio nota come Prima Internazionale.
Vero è, come è stato scritto, che è “tenuta a battesimo dagli eredi dello spirito a oweniano-cartista e da delegati del Mazzini” (3).
Ma nel nuovo organismo soffia, ormai, lo spirito del marxismo.
Due le esigenze fondamentali postulate:
1) l’emancipazione economica dei lavoratori, ad opera degli stessi laboratori:
2) la conquista del potere politico da parte delle classi lavoratrici.
Due, altresì, le anime, che vi si agitano:
1) quella proletaria-socialista, facente capo a Marx ed Engels;
2) quella anarco-libertaria, facente capo a Mikail Aleksandrovic Bakunin.
Il confronto tra queste due anime condiziona lo sviluppo del movimento socialista, anche nell’ambito siciliano.
Il contrasto tra bakuninismo e marxismo sorge anche in Italia.
E qui un ruolo di primo piano è assunto appunto da Salvatore Ingegneros Napolitano e dai suoi accoliti, raccolti attorno al periodico “Il Povero” di Palermo, di professata fede socialista evoluzionistica, e comunque anti- bakuninista.
Ma, che cosa è il socialismo internazionalistico?
Altri hanno saputo individuare, in sede storiografica, la radice garibaldina del movimento internazionalistico siciliano, dato che l’atteggiamento filo-internazionalista del Nizzardo risulta determinante nella scelta di molti.
Ma il movimento non presenta una coloritura propria e ben definita, dal punto di vista delle giustificazioni ideologiche e di quelle politiche. In esso confluiscono, infatti, nuclei di borghesi, democratico-radicali, anarchici, ecc..
Elemento unificante è la generale riconosciuta necessità, anche se diversamente motivata, di abbattere lo Stato unitario, appena nato.
Le adesioni all’Internazionale – come scrive il Cernito – “provenivano da quel senso di vuoto, che aveva pervaso la democrazia repubblicana dopo l’Unità; da una istintiva ripugnanza verso le diseguaglianze; da un senso dell’umano e del giusto che trascendeva il reale e si proiettava nel sogno di una società socialista, i cui limiti e le cui caratteristiche venivano viste attraverso una colorazione garibaldina” (4).
L’adesione di Friscia all’Internazionale si realizza attorno al
1870.
Anzi, proprio tra il 1870 ed il 1881, entrano in azione a Palermo i primi nuclei di internazionalisti socialisteggianti, ad opera di Antonino Riggio, Salvatore Ingegneros Napolitano e Saverio Friscia.
Nascono, intanto, vari giornali e periodici di orientamento internazionalista a Palermo, Girgenti, Messina e Catania.
La poco netta caratterizzazione ideologica dell’Internazionale siciliana si riscontra anche nei suoi più significativi esponenti, come Friscia e Riggio.
Il Friscia, in particolare, che è stato mazziniano e nutrirà sempre devozione incondizionata per l’Apostolo genovese, tanto poco riguardosamente trattato da quello Stato appena nato, che, forse più di tutti, ha contribuito a far costruire,
non si identifica del tutto con le posizioni di Bakunin, così come non si è identificato del tutto con Mazzini.
Del Mazzini, si può dire (senza timore di retorica), conserverà sempre (forse in lui il fatto ha connotazioni più nettamente definite) il bisogno di una strutturazione profondamente democratica dello Stato; del momento massonico del suo pensiero utilizzerà i metodi cospirativi ed il laicismo, senza limiti di sorta, che non scadrà mai in anticlericalismo viscerale; del Bakuninismo saprà cogliere, invece, la carica essenzialmente rivoluzionaria finalizzata in direzione del riscatto delle classi lavoratrici e di quello, in generale, della propria terra .
Non rifuggirà di svolgere, infatti, attività parlamentare, schierandosi, evidentemente, nei banchi della sinistra con Cavallotti, Bovio, ed altri.
Non sarebbe stato, certo, quella del Friscia parlamentare, una esperienza felice, dato anche il clima da caccia alle streghe, creato dall’apparto poliziesco del nuovo Stato, nei confronti di chi male ne digerisce scelte politiche ed atteggiamenti.
Eppure, un filo conduttore unificante lega i vari momenti del pensiero e dell’azione politica del Friscia:
– la costante e convinta necessità di lottare per l’Unità d’Italia, derivatagli, probabilmente, dall’influenza esercitata su di lui dal cugino abate, il quale conosce, e non occasionalmente, le galere borboniche;
– il repubblicanesimo profondamente democratico, che lo rende devoto al Mazzini, con il quale, però, non si identifica del tutto; e dal quale si discosta, privilegiando, più del Genovese, il momento democratico, nel quale un ruolo essenziale è riconosciuto alle classi popolari e, in particolare, contadine ;
– il socialismo, bakuninista prima ed evoluzionista dopo, ( e quindi gradualistico, migliorista, per usare una terminologia di moda), che gli fa avere sempre presenti le esigenze di rinnovamento e di riscatto sociale delle classi popolari.
Tale filo conduttore si può individuare nella costante fede in quella libertà, carica in lui di indiscutibile tensione e autenticamente democratica, ricca di contenuti fortemente sociali.
Se, quale militante per l’Unità d’Italia, è uno dei tanti, pur in posizione di rilievo, quale pensatore del movimento rivoluzionario ( al di là della sua non totale identificazione con altri), ha il grande compagno e maestro in Pisacane, più, forse che in Bakunin.
Quello che ci rimane di Friscia è un retaggio ed un messaggio. Un retaggio di fede incondizionata nella libertà.
E tale retaggio ha un valore partico-lare nel mondo contemporaneo, nel quale le violazioni di essa sono, ancora troppo spesso, all’ordine del giorno, vuoi nei rapporti tra gli Stati, vuoi alla luce delle frequenti distorsioni, che la mediazione dei rapporti tra Stato e individuo troppo sovente rivela.
Il messaggio che ci lascia è quello di continuarne l’opera in direzione del riscatto delle classi popolari, pur nelle mutate condizioni attuali, finalizzando l’azione in direzione della trasformazione autenticamente democratica e socialista della società.
Democrazia – Libertà – Socialismo: questi i valori primari dell’eredità di Friscia, che sono gli indici secondo i quali può, a ragione, essere, contemporaneamente, uomo del suo tempo, ma ancor di più, uomo del nostro tempo.
Francamente, non mi sembra poco!
NOTE
(1) Si veda: Pino Arlacchi- La mafia Imprenditrice- L’etica mafioso e l o spirito del capitalismo- Società editrice II Mulino- Bologna 1983.
(2)Bolton King – Storia dell’Unità d’Italia 1814 – 1871 Editori Riuniti Roma -1960 pg. 57.
(3)Armando Saitta – Il Cammino Umano Vol. III cap. IX-La Nuova Italia Editrice Firenze.
(4) G. Cerrito – Radicalismo e Socialismo in Sicilia 1860-1882 -Messina Firenze 1958.