
Salimmo a Girgenti od Agrigento per un eccelso precipitoso dirupo .
Nell’avvicinarvisi un palpito di contentezza tutto mi assalse, poscia interrotto, in entrandovi, da un ridevolissimo spettacolo, chi sa fors’anche accaduto, e con più ragione ne´ tempi più luminosi di questa città .
Una furia di uomini da un lato all´altro ci attornia. Non erano già più questi i servi di Gellia allegati anch´essi un di alle porte di Agrigento per condurre ogni forestiero gratuitamente al suo ospizio , ed alle sue mense: ma altrettanti laceri ciceroni, che presero tosto a contrastarsi l´un l´altro chi per interesse, e chi per vanto la nostra scelta.
Ci scortano intanto facendo insieme alle pugna verso il convento de´ Francescani: infine uno di essi la vince, precede gli altri, e facendosi largo a colpi di braccia, e col suo modo di andare si ostenta a tutti: il perché arrivati al convento quasi di necessità a nostra guida lo si accettò pel di seguente. Fummo accolti da quel Priore colla maggior cortesia . Il verone del corritojo principale guardava appunto sul vasto mare e sugli avanzi dell´antica città. Oh quale spettacolo! Ove si veggono mai, come quivi, quasi in un punto di vista raccolti si antichi templi e si pomposi?
Il Sole cadente ne indorava maestoso le vette, e tratto tratto il vento marino in faccia a quelle biancheggianti colonne lietamente scuoteva i verdi carrubi, ed in riva all´Agragas, che ad Agrigento coll´onda un di baciava il piede, i purpurei leandri . La verità, e la natura di questa scena ben mi disgradarono quelle, che artificiose mi avevano offerte, qualche anno prima, gl´inglesi giardini di Blenheim, e di Stow. Lungamente mi vi rimasi a contemplare solo ed immoto cotesto oggetto di meraviglia, e di tristezza insieme . L´anima di quel popolo, quantunque da tanti secoli estinto, ancor rivive in tali memorie di sua industria e sapere, e gloriosa vi è più, che nella desolazione seguita alla antica esistenza di lui conservasi in esse un magnifico testimonio del qualunque religioso suo culto .
Ben di buon ora mi coricai quella sera avido di considerare nel di vegnente que´ monumenti più presso e di toccarli con mano . Vi fummo in fatti all´ aurora col noto e valoroso conduttore. Forse che un di Agrigento era men ardua a salire. Ma dove stavano i suoi borghi? Ove il vasto circuito delle sue mura, che per otto in dieci miglia verso il mare estendevansii´ a suoi ottocento mila abitanti qual solitudine è mai seguita!
Appena qualche moderna casuccia di mandre, o abitata da qualche architetto, innamorato di sue moribonde reliquie. Quale ozio qui pure! Quale infingardìa! I pochi contadini di un contorno, già tutto pompa, e mollezza, forse ne provano ancora qualche perniciosa influenza. Le pietre colossali di questi templi sono tutte calcarie di quel territorio, e tranne di qualche forse copiatura isfidarono in gran parte al par de´porfidi, e de´ graniti l´assalto, e le ingiurie de´ secoli. Le granitiche colonne del tempio della Concordia, e di qualche altro in Roma non sono men svetolate.
Visitammo primieramente il tempio di Cerere alla metà d´un mente, per il cui pendio ben si appalesano i muri, che n´eguagliarono la superficie . Opinasi, che sia il più antico di Agrigento: ci lo sarà; e forse, malgrado di sua decrepitezza, ci serberebbe maggiori avanzi di se, dove i posteriori architetti nel ridurlo ad uso cristiano fossero stati con lui meno spietati. Noi quinci discesi da questo colle per certe confuse rovine, che suppongonsi di una porta di città, ne salimmo un altro più disastroso, e ci inoltrammo ai due dorici tempi della Concordia, e di Giunone Lucina . E dove è, sclamai, dov´è la selciata strada, per la quale le matrone accorrevano alle solennità di questa Dea? Ora tutto il suolo d´interno è coperto di spini, e di velenosi euforbi.
I magnifici avanzi! Certo le lor profonde fondamenta, e degno dell´agrigentina ricchezza, tornarono all´uopo per sostenere possibilmente contro il rupestre disfacimento, compagno indivisibile del tempo, il piano di si gravi edificj .
Ora non più sacrifici, e fragranze di profumi, non più ellenici canti, non più pompa di arredi, che ricchi certo ed ammirandi esser doveano , se perfino nelle case dei men potenti le suppellettili di uso più abbietto erano di avorio, di argento, o d´oro, e se massime il secondo di questi due templi accoglieva le scolture, e le pitture migliori de´ greci pennelli, fra le quali tutto il compendio in un sul quadro delle verginali agrigentine bellezze.
La cella,il santuario,e le secrete laterali scale , ch´io riverente in ambi ascesi , (o fossero quelle delle matrone per assistere dall´ alto ai sacri riti, o quelle de´ mistici penetrali, d´onde le sacerdotesse, e i ministri recavano all´era le vittime,i vasi, e al profumi ) tutto era in preda del più melanconioso silenzio , solo interrotto talora dal vento romoreggiante tra le colonne, e le aperture degli sconnessi architravi , e de´ frontespizj . Gli è appunto nel raccoglimento della mente, e nella solitudine, che si presentano più pronte le storie della remota antichità .
Quivi da questa altura io stava coll´ immaginazione determinandomi all´intor.no gli accampamenti cartaginesi, e quello fra tanti templi nel quale il misero Gellia, il migliore dei cittadini, lusingatosi invano di salvarsi co´ suoi dalla crudeltà del nemico, ardendolo vi peri . Parimenti al vedermi spuntare in qualche distanza il suddetto tempio di Cerere io presi a dire: ” Ben avvedutamente per usurparsi la città colse Falaride il tempo, in cui stavasi il popolo colà spartito a celebrar le feste di quella Dea .
Allora, avendomi ascoltato il mio antiquario, che con certa gravità sedevasi disegnando il profilo di que´ templi; “la riflessione, ei soggiunse, quadrerebbe per eccellenza; ma chi ci assicura, che quello fosse il tempio di Cerere ? Plinio, il Fazello, il Cluverio non ne parlano. Udito il mio dottore io mi tacqui. Le dottrine , e le sentenze degli antiquarj sono talvolta incontrastabili, e discendono quasi dal Cielo. Passammo in seguito al tempio di Ercole già prossimo al Foro, di cui null´ arma rimane.
La copia meravigliosa de´ capitelli, e delle colonne atterrate ne comprova la sontuosa sua ampiezza: ora so lo perduravi eretta una scanalata colonna, e questa ancora per più d´ una metà di sua lunghezza profondamente corrosa cadrà fra poco; e cosi fia distrutto, e aperto affatto quel religiosissimo recinto, il quale colla robustezza de´ massi suoi, e di sue porte si oppose si lungamente ai sicarj di Verre, onde tempo non ebbero, quantunque le atterrassero alfine, di rapirne il gran simulacro per la accorsavi folla de´ cittadini .
Al tempio di Ercole succede quello di Giove Olimpico. Forse non avvi forme più gigantesche di queste . Si opina comunemente che con esso emular si volesse dalla fastosa Agrigento in magnificenza se non certo in bellezza, il Partenone di Atene .
Che confusione maestosa di rovine, che vasto ed alto ingombro di pietre! Appena se ne appalesa la cella. All´ ombra d´un quarto di capitello in tre ci sedemmo a contemplarle . Dentro un´ incavatura di triglifo chiudere si potrebbe un bambino; in una scanalatura di capitello, o della parte inferiore di una colonna un uom di mediocre corporatura vi capirebbe. Architravi poi, cornicioni, fregi in parte ancora intonacati, triglifi, ovoli , membra di statue tutto relativo ed eccedente.
Alla venuta de´barbari Cartaginesi non scudo esso, come dice Diodoro Siculo, terminato, anzi nemmen coperto, e non allettando vòto qual era i soldati alla preda ed allo sterminio, gli è facile il supporre, che più di due mille anni possano avervi supplito per ridurlo in tale desolazione . Ben questi templi cosi in alto ed in faccia al mare quasi alla fila collocati ed esposti ai più fulgidi effetti della luce doveano attìzzare anche da lungi la gola delle pirate nazioni.
Ci erpicammo poscia sovra alcuni sepolcri di gusto siracusano: sono scavati nella roccia stessa, che serviva di mura alla città, della quale uscimmo altresi, retrocedendo dal tempio di Ercole per una strada, e fuor di una porta entrambe antiche, e che conduceano a quel suo porto si utile insieme, e a. lei si fatale.
Quivi probabilmente erano i suoi sobborghi, e quivi additare si vuole il sepolcro del buon Terone, ignoro se rispettato da suoi nemici medesimi per intimo sentimento di estimazione, o per fasto, e scaltrezza politica; di quel Terone , cui Pindaro, cantando delle olimpiche sue palme, fa discendere da greci eroi. Qualunque sia però la cagione dell´esistenza del suo sepolcro, questa comprova, che difficilmente le umane vicende cancellano la memoria di un principe giusto e clememte, massime se succede ad un barbaro. Su tutti gli altri sepolcri guasti, o negletti i Cartaginesi innalzarono i loro bellici schermi, e ripari.
Dei tempi di Vulcano, di Esculapio, e di Castore e Polluce, degli acquedotti, e degli artefatti laghi, omai del tutto smarriti, non ci curammo gran fatto . Prima però di abbandonare que´ massi meravigliosi io ne trassi ( dolci memorie) alcune conchiglie, che il tempo corroditore vi avea per entro isolate; concessi furti, furti di venerazione, non di profana insolenza .
Ritornammo al nostro convento passando per quello ora abbandonato di S. Nicolò, dove una porta a piccole pietre quadre, rinvenutevi tre Grazie di candido fino marmo, un torso togato ed alcuni avanzi di fondamenta mi sembrano un troppo lieve argomento per asserire, ch´ivi esistesse l´ abitazione di Falaride .
Girgenti od Agrigento oggidi, o mio lettore, non e dell´ antica, che una miserabil memoria, e posso accertarti, che una fantasia, riscaldata dalle antiche sue storie, vi rimane avvilita, e a lei dispare dinnanzi ogni prestigio. Il più, che ammirar vi si vuole, sono alcuni sarcofagi nel duomo, alcune scarse collezioni di vasi figulini e medaglie in Casa del Ciantro, del Politi e del Museo Vescovile, ed i pochissimi avanzi del tempio di Giove Polieo, o Salvatore della Città . Se la superstiziosissima Atene eriger fece nella sua rocca il simulacro di questo Nume, lavoro insigne di Leocare, non men se l´ebbe Agrigento, quantunque con diversi riti, nè si incomprensibili, e arcani.
Le già magnifiche vie da´ pomposi acquedotti purgate e di profumi odorose si cambiarono in orridi vicoli, che puzzo spirano . Non feste, spettacoli fuori delle solite processioni, paragonabili talvolta, oserei dire, a´passatempi. In esse noi vedemmo rappresentarsi saggi, e gare di equilibrio fra quelli, che portavano le alte pesantissime antenne de´ sacri stemmi, fatti da essi rapidissimamente passare in camminando, dal mento alla fronte , dalla fronte al naso, e ognor da capo.
In quella città, ove il solo Esseneto possedeva trecento cocchj, e Antastine ne vantava ottocento, ora vi si direbbero sbanditi, se ne si eccettui quello antichissimo del suddetto Ciantro; anzi vi sarebbero vigere in rapporto a questi i severi precetti, non so quanto anticamente osservati del suo filosofo Empedocle, sulla uniforme privata frugalità. In oltre adunanze pochissime: qualche bottega da caffè addobbata di sacre immagini: nessun negozio di libri, nessun intertenimento letterario, nè teatro pubblico, concento musicale nessuno, nemmeno nelle chiese, fuorché di stridule trombe, tamburi, e campanelli a mille: eppure fu questa la patria di Metello, il maestro di Platone nel suono, di Archino, e Camino tragici famosissimi, e degli illustri dotti Empedocle, Sofocle l´oratore , Filino, Archino, ed Acrone .
Gli Agrigentini sono assai buoni ed ospitali: il bel sesso lo è pure. Se in una popolazione poi di ottocento mille abitanti Zeusi trovò soltanto cinque vergini a modello del suo gran quadro, io pronunciar non saprei quante ora ne troverebbe in una di circa soli mille e quattrocento: certo si è però, che la fisonomia n´è generalmente assai simpatica, e che il linguaggio de´ gesti si usato in Sicilia, e più in Girgenti , loro accresce assai grazia.
Ne gimmo da Girgenti a Sciacca per luoghi ora sterili, zolforosi, vulcanici, ed ora fertilissimi, massime di saporite frutta: ed è noto quanto gli antichi Affricani ne fossero avidi, e con qual costo se le faceano, mediante gli Agrigentini stessi, per mare addurre. Fosse poi vicino ad Agrigento, discosto, anzi in Siculiana stessa, per cui passammo, il sito del castello di Cocalo, Re de´ Sicani , che fu eretto da Dedalo, provassi in ogni guisa da noi il maggiore diletto in salir tutte quelle vette, la di cui disastrosa strettezza difendeasi da due o tre sole persone: cosi pure vera o favolosa in parte siane la storia, ciò non ostante 1´ antichissimo grido d´ eroici nomi, d´illustri persecuzioni, e di femminili ardimenti renderà mai sempre ragguardevoli cotesti luoghi.
Il porto, ossia Caricatore di Girgenti, l´antico e primo emporio della Sicilia, ora non lo è più molto di grani, quanto di zolfi: è cinto di fortificazioni, siccome anticamente lo era di un magnifico Foro a pietre quadre, di cui non sono affatto tolti i vestigi . Qui la carnagione de´ contadini, il discinte vestito, la vegetazione è affricana, e bello torna quel contiguo terreno alle rive tutto scintillante della Ficoide, erba assai cristallina . Le rocce vi biancheggìano, come quelle di Douvres.
Le libiche onde miste alle sicule vi mormoravano d´appresso variando gradatamente in distanza di colore ora celeste , or biondo, ed or vermiglio, secondo il variare de´ venti, e la costa, che noi trascorrevamo, curvandosi in mille volteggiamenti diversi, offriva all´occhio, ed alla rapita fantasia il più dilettoso e vario spettacolo. Passammo, com´io dissi, per Siculiana, Exfeudo dei Principi della Cattolica, nel quale, siccome vicino al mare, ricominciano le fragranze de´ cedri: indi per Monte Allegro, unica, buona qualità, di cui, a mio parere, goder potesse quella popolazione, prima che appunto dall´allegra vetta di lui accadesse ad abitarne le basse falde.
Questo luogo puossi dire l´epitome, o la bolgia delle siciliane miserie: non vino, non frutta, non limpid´acqua, non una bottega di caffè. Riposammo, al solito, in una stalla senza vetri o ripari, ove ad un tempo altri profondamente rùssavano, ed altri spulciavansi sonsonicchioni. Ci venne indicata una spezieria colla lusinga di un ottimo rosolio. Ci andammo; non eravi alcuno. La guida diede di piglio ad un pestello percuotendone certo mortajo, a guisa di campana, ed ecco ad un punto a´ccorrervi collo speziale anche il parroco, il sindaco, ed una folla di sdruscitissimi villici formanti la comunità dell´Exfeudo.
Io non credeva , che un tocco di mortajo dovesse procurarmi un si vago spettacolo: finalmente (degna di tanti autorevoli testimonj ) lo speziale dopo una meditata scelta di parecchj sciloppi ci compose una bevanda la più infame del mondo. In mezzo però a tanto disagio, se il mio antiquaria non fosse stato fornito delle sode e virtuose qualità di tal professione Monte Allegro diveniva forse per lui l´isola incantata di Calipso, o di Circe.
La Signora del nostro elegante abituro, ch´ era una donna assai carnacoiuta e grossolana , parve sgraziatamente sentire non so quale improvviso trasporto per lui. L´ addomandarla, poi ch´egli fece per bizzarria sulla sua età (punto cronologico di solito odioso all´altre) fu per costei argomento, io non so come, di un allettevole inganno. Quante d´allora le si destaron premure, e quante smanie in ricercarin a mangiare ciò, che non v´era. Ma oimè! il contrattempo terribile! Chè quanti essa volgeva teneri sguardi a lui, altrettanti egli più affettuosi ne abbassava su di alcune medaglie, che aveva su d´una tavola. schierate . Tornò in sè l´infelice, e simulò indifferenza quando partimmo; coll´ ottima forse e consolante considerazione, che la natura de´ viaggiatori è poi sempre la stessa. ´
Dopo Monte Allegro si guazza il fiume Alico, o Lico, lunghesso il quale vicino al mare si ergeva la vistosissima Macara, una delle più antiche città di Sicilia. Il mio antiquario ne conghietturò con un´estrema compiacenza la situazione, dove la montagna appunto d´un candidissimo gesso biancheggia, pietra, di cui, al dir del Fazello, era costrutto un suo famoso acquedotto . Fuori di qualche sepolcro, o cisterna, le scarse sue rovine in riva al mare nulla significano; vi è nuda, cava, scabrosa , inaccessibile, munita dalla sola natura : negli altri lati vi si ara, spuntandone ogni anno scheggia d´ infranti vasi.
Quale orgoglioso entusiasmo non desta il passeggiare fra le tracce d´una città contemporanea, e forse anteriore a Troja , d´una città, che tante catastrofi sofferse, e che videsì contrastata, e vinta da tante straniere nazioni! Dopo la morte di Minosse, seguita dodici anni avanti la guerra trojana, i Cretesi la ripopolarono denominandola Minoa dal nome del loro Re . Ercole forse vi si recò, vinto Erice, e lo spartano Dorico degli Eraclidi appunto (quasi non hastando alla grandezza loro la Grecia tutta ) la rifabbricò, e quinci fu chiamata Eraclea .
Progredimmo sulla marina con a dritta campi di riso,e barche indi a sinistra fra una gran copia di rari e nuovi fiori lungo i torrenti, e ha boschi di olivi d´una non comune verzura. Nell´ avvicinarsi a Sciacca,o Sacca, la patria del Re Agatocle, ci si presentarono varie brigate sull´ asino a caccia di conigli. L´origine di tal città giace avvolta in profondissime tenebre: ma tanto il suo nome latino Therme, com´anche l´arabo o saracenico Sciacca le si confanno ottimamente ;´ il prima a causa dell´antichissimo sudatorio sull´erto Monte di S. Calogero, a cui fasti non ha tutta la Sicilia, e forse il mondo, e delle molte Zolforose sorgenti ; il secondo per le spesse fessure, e gli antri msuwli ed artefatti, ond´ esse sgorgano. Ricercammo nei sedili del sudatorio´ suddetto con una somma curiosità la vetustissime´ lettere in cadauno regolarmente scolpire, e che indicar si suppongono il rispettivo morbo, del quale chi sedeavi risanava .
Il Fazello opinò che non fossero Fenicie, ne Damascene, stante che nessun Greco , Ebreo, e Caldeo´ giunse giammai ad interpretarle. Sembra però´ riscontrarvisi, benché» corrosi, una specie di numeri e cifre,
Partire non volemmo da Sciacca senza visitare le rovine dell´antico palazzo di Luna, Conte di Caltabelloni . Noti già ci erano i funestissimi effetti degli odi seguiti nel secolo XV fra questa e l´altra non meno nobil famiglia Perolo. Certa giovitietta Peralta di pur possente lignaggio ne fu la cagione, Il Luna aderito , e spalleggiato dal Principe di Arragona, e da altri 1´ ottiene in isposa .
Perolo preso dalla più atroce gelosia medita una vendetta: vuole assalir Luna: ma poscia vile, o pentito si ritira. Luna, avvertito a tempo da una spia, celasi alla falda del monte, attende, che ritornando esso gli passi d´accanto , e l´uccide perfidamente . Noi visitammo queste situazioni, ed in particolare il palazzo Luna. Ne salimmo con guida l´ignuda scoscesa vetta, ove magnifico egli si ergeva, ed appartato dal resto di Sciacca; vetta solitaria ed opportuna ai tremendi delitti. Le sue taciturne rovine serbano un carattere di grandezza: sgretolate, sconnesse, od abbattute le sue mura indicano i flagelli de´ tremuoti e del tempo. Al lume del grand´ astro notturno sorto frattanto sull´orizzonte ci aggirammo´con maggior sicurezza per entra le torri,per la cappella ancor dipinta, e per alcuni appartamenti. Le abitazioni delle altre due famiglie vennero alterate o cangiate .
tratto dal testo Viaggio alle due Sicilia ossia il giovane antiquario di Girolamo Orti stampato a Verona nel 1825