1896: la politica interna del Crispi era ormai giudicata pericolosa o almeno inopportuna anche dalle forze conservatrici illuminate; la politica estera e coloniale un’avventura e un fallimento. Di Rudinì, successo in marzo al vecchio ministro di Ribera, diede una discreta garanzia ai forti signori della terra: mantenne, infatti, i latifondi « migliorandone l’efficienza mediante la concessione di crediti e contratti più lunghi agli affittuari».
D’altra parte alle masse del lavoro sembrò che si potesse respirare. In questo ventennio che sta a cavallo tra i due secoli, in parecchi paesi e città dell’isola riprendevano coraggio alcuni gruppi, che uscivano rafforzati dalla esperienza dei fasci siciliani.
Costoro cominciavano a costituire delle forme simili a movimenti sindacali, che si interessavano di cooperative promuovendone in qualche parte la costituzione, di affittanza collettiva degli ex feudi, di assicurazioni contro le malattie (1).
Il frutto di questa prima presa di coscienza sfociava nel 1889 nella legge che allargava il diritto elettorale. Così ad un partito conservatore che aveva governato in Sciacca per trenta anni, successe il partito del dott. Giuseppe Licata che, con qualche breve intervallo, resse fino all’inizio del 1914 le sorti della città, giacché l’on. Mario Amato, dopo la morte dell’on. Licata (1906), sostituì questo nel mandato politico (2).
In quella occasione il partito capeggiato dal dott. Licata (figlio anch’egli di umili genitori), formato in prevalenza da artigiani e gente del popolo, riportò una schiacciante vittoria sul partito fino ad allora dominante, costituito da un forte gruppo eli borgesi, i quali si credevano come i vecchi baroni pure investiti del diritto atavico di governare.
Nelle elezioni politiche per la XII legislatura, che si svolsero il 23 novembre 1890, Licata era stato già candidato della suddetta classe popolare, ma non riuscì ad essere eletto certamente in conseguenza della politica reazionaria ed intimidatrice del Crispi che in quei giorni riusciva a mortificare, a Catania, la fiammata rivoluzionaria del socialista De Felice Giuffrida (3).
Il dott. Licata, però, fu eletto sindaco e si adoperò a realizzare una gamma di opere utili e benefiche. Fece venire a Sciacca le suore del Boccone del Povero, realizzò l’importante scalinata che dalla piazza del Popolo porta alla stazione e al porticciolo, fondò il ricovero dei vecchi invalidi, organizzò meglio i due Ospedali della città (S. Margherita e S. Maria della Misericordia), chiamò le suore del Preziosissimo sangue per l’assistenza agli infermi ( 4).
Nelle elezioni politiche del 5 marzo 1893 (XVIII legislatura) Licata fu eletto deputato al Parlamento, carica che tenne fino alla morte, eccetto però per la XX legislatura.
Durante le sue legislature domandò ostinatamente la costruzione della ferrovia Castelvetrano-Porto Empedocle, ma le risposte dei ministri furono sempre negative.
Questa fu poi realizzata solo a scartamento ridotto nel 1913.
Per il porto che Saverio Friscia avrebbe voluto di notevole grandezza quale si conveniva alla posizione centrale della città sul canale e all’importanza del centro termale, peschereccio e corallino, l’on. Licata riuscì ad attuare l’attuale rifugio, i cui lavori cominciati nel 1895 furono ultimati nel 1901.
Infine strappò al governo un sussidio di L. 17.000 per restaurare la splendida chiesa del Collegio e chiese l’approvazione di un disegno di legge per la profilassi e la cura della tubercolosi, «come saggio della difesa sociale » ( 5). Sono opere sue, ancora, la sistemazione delle Terme ( 6) e la costruzione dell’albergo sul monte Cronio.
In verità ci sembra un miracolo che Licata abbia potuto portare a termine o soltanto iniziare delle opere che richiedevano non indifferenti sforzi finanziari. Infatti per rendere l’Italia militarmente forte come voleva il Crispi era necessario in quei tempi un severo controllo delle spese in opere pubbliche.
Perciò fu rinviata la costruzione di alcune strade pure importanti, e subì una battuta di arresto la costruzione delle ferrovie, come quella della Castelvetrano-Sciacca-Porto Empedocle.
Le opere intraprese (come il porticciolo di Sciacca) potevano avere un trattamento speciale perché rientravano nella politica strategica per la colonizzazione dell’Africa o per la importanza commerciale della città (cui si aggiungeva la scoperta dei banchi di corallo), e più probabilmente per il favore che l’on. Licata godeva presso il Crispi, che aveva sempre sostenuto.
Durante il mandato parlamentare di G. Licata è innegabile che le masse popolari ricevettero un impulso mai riscontrato precedentemente; e si può asserire che proprio in quel periodo uscirono dalla classe operaia i professionisti che oggi costituiscono la borghesia di Sciacca.
Tutto ciò avveniva ovviamente con la compiacenza della borghesia democratica (7). Di questo progresso rimanevano preoccupati, se non scandalizzati, i conservatori, che mediante un loro organo d’informazione ricordavano quasi educando che l’eguaglianza sociale è impossibile, che ogni uomo ha i suoi riguardi e non tutti si trovano nel medesimo gradino (8).
Alla morte dell’on. Licata il potere dell’amministrazione passò nelle mani di Mario Amato.
Era trascorso appena poco più di un anno (nov. 1907), quando dall’organo quindicinale cattolico, « Il Lavoratore», si fanno delle accuse pesanti: «Il municipio va alla malora». Non che sotto l’on. Giuseppe Licata siano mancate le opposizioni (ricorda il danneggiamento della scalinata citata da parte degli avversari politici), o le insinuazioni scandalistiche ( 9), ma adesso gli accusatori sono del massimo rispetto; e si volgono addirittura contro la professione politica stessa dell’Amato.
L’avv. G. Ruggiero così si esprime nei confronti dell’on. Mario Amato: «Trattasi di un uomo che non sa nemmeno lui come sia stato sbalzato nell’agone politico d’un tratto, nel periodo della vita in cui si ha bisogno di calma e di raccoglimento e che forse nel segreto della sua coscienza, non vede l’ora di uscire da una lotta che l’affatica e l’amareggia » (10).
Altri, proprio alla fine della carriera politica dell’Amato, usano parole più amare e pesanti: «Amato, dopo tanti anni finalmente si svela liberale, cattolico, giolittiano », e ancora: «In Sciacca la nefasta e sfasciata casca municipale e l’on. Amato che la capeggia non sapendo più trovare dove rifugiarsi, ripara o passa nel così detto partito cattolico, credendo trovarvi un luogo d’asilo e non vi troverà invece che il conforto dei moribondi, l’estrema unzione » (11).
Queste possono essere chiacchiere o beghe di politicanti; vediamo un po’ qualche testimonianza disinteressata che ci aiuti a tracciare la linea politica tenuta dall’on. Amato.
Lo stato italiano monarchico-costituzionale, uscito dalla costruzione risorgimentale, era stato governato ininterrottamente dal « partito liberale ». A questo nome, però, non rispondeva una entità, un organismo analogo a quello dei nostri partiti attuali.
Il partito liberale di governo era risultato dalla combinazione di gruppi diversi e cangianti, tradizionalmente compresi nei termini di « Destra » e di « Sinistra ».
Il capo di governo che aveva saputo trarre da codesta situazione politico-parlamentare complessa e anche confusa, di scarsa maturazione politica, formazioni governative più stabili era stato il Giolitti, con le sue maggioranze parlamentari varie, e tuttavia unificate da un preciso orientamento dato da lui (12).
Abbiamo detto o fatto capire che con Giuseppe Licata si insedia al potere un uomo di una classe politica popolare, in quanto è espressione di una rinnovata organizzazione di rapporti sociali, politici, economici.
L’on. Mario Amato, partendo dalle stesse premesse, avrebbe dovuto continuare sulla stessa scia. Ma non fu così. Egli, invece, si appoggiò a persone altolocate, a nobili e cavalieri; per cui ruppe la linea del suo più illustre predecessore e una tradizione cominciata con tante promesse per il popolo. Al di fuori di questo impegno e di questa responsabilità, non si dà alternativa storica, ma soltanto avvicendamento o mera circolazione di personale politico (13). È quanto si può dire di Mario Amato, a parte la sua mediocrità e la sua apatia, attribuitegli dai suoi contemporanei più o meno velatamente.
Non per questo le rivendicazioni del popolo e specie delle masse contadine erano andate scemando. Si figuri che i cattolici, che in quegli anni si affacciavano con autorità sulla scena politica, non potevano fare a meno di promettere le terre ai contadini, « senza ricorrere al tradimento socialista » e « studiando con intelletto ed amore —• come essi dicevano — il più grave problema dei nostri giorni » ( 14 ).
Quelli che succedono dopo la morte di G. Licata sono anni tristi per la Sicilia. Gaetano Salvemini ha lasciato un saggio che fa storia (15); ma forse non ha detto tutto o, meglio, non ha marcato un punto letale per quest’isola, che sarà raccolto come eredità dalla classe dirigente avvenire.
Infatti oltre la corruzione elettorale, «sconosciuta tra noi fino a pochi anni fa », sì che i voti si comprano « a tasso elevato », da costituire dei veri disastri economici per i candidati in lotta (16), oltre all’inflazione del candidato politico (17), abbiamo altri due fenomeni molto dannosi per la vita pubblica, che si manifestano con un accanimento nuovo: il primo è la strategia diabolica e prevenuta dell’uomo politico nei confronti del proprio avversario; il secondo fenomeno è la connivenza fra gli uomini politici a danno della cosa pubblica, si direbbe forse meglio l’intesa per la spartizione del potere (18).
Adesso c’è chi ha individuato, però, i problemi e riconosciuto le cattive aspirazioni dei politicanti. Che bisogna fare — si chiede la gente più assennata — qual è il rimedio per richiamare Municipio, Provincia e Governo al dovere? Si risponde: il rimedio è quello di eleggere buoni amministratori, ottimi deputati. Ma quando questi sono eletti e bisogna « chiancirisilli » per quattro, cinque o sei anni, qual è il rimedio?
Il rimedio — si risponde — è quello di muovere cittadini, circoli, enti morali, elettori — soprattutto elettori — a protestare, reclamare… E quando i signori del Municipio sono sordi, allora si ricorra alle autorità superiori, al Prefetto, al Governo; ed infine a S. M. il Re, al Parlamento, alla stampa, mettendo tutto ai quattro venti (19).
C’erano, quindi, una coscienza ed una resistenza per questa nuova atmosfera che circola tra la gente; gli uomini pubblici e i politicanti diventavano più prudenti, quasi tutti riconoscono l’assoluta necessità della reformatio ad imis, i più abili combattono i vecchi parlamentari in nome di un nuovo spirito contro il trasformismo, il malcostume e le clientele, invocano l’esigenza dei partiti organizzati, « i quali vadano a svolgere un programma preciso, anziché a sostenere e far valere i propri interessi privati e quelli della propria famiglia o della propria ristretta clientela », anelano all’ordine, all’onestà (20).
Col nuovo suffragio universale la lotta politica dell’ottobre 1914 produsse la caduta dell’on. Mario Amato. La volontà popolare si affermò impetuosamente sul nome di un avvocato quasi trentenne, nuovo nella vita pubblica e senza precedenti che oscurassero le promesse. Si trattava di Angelo Abisso. Aggressivo, e impetuoso, debuttò col suo giornale «Il Dardo», dal quale attaccò uomini e cose: denigrò dirigenti che si erano resi responsabili del cattivo uso della cosa pubblica, umiliò e derise gli avversari che ancora nel Novecento osano fare gli interessi dei nobili contro quelli sacrosanti della povera gente. Il popolo va in visibilio e crede di aver trovato finalmente il suo uomo: un figlio della sua città fatto del suo stesso sangue!
Un fatto sintomatico che traspare durante il suo mandato parlamentare è un confusionismo preoccupante: l’on. Angelo Abisso non fu notato né tra i votanti favorevoli, né tra quelli contrari, né tra quelli astenuti (21), e questo poteva essere il segno del suo mimetizzarsi o meglio del suo trasformismo astuto, che gli faceva cogliere all’occorrenza i vantaggi possibili ( 22).
Tutta la politica dell’on. Abisso si può dividere in tre punti: il primo è quello dell’attacco e demolizione degli avversari, come l’on. Amato, che si era fatto capo degli interessi dei ricchi. Questa lotta per il potere doveva essere avvolta da un alone di democratismo: non poteva esserci un’occasione migliore, ed era gioco facile per l’Abisso, all’inizio della carriera, accusare il partito avversario come quello dei cavalieri e dei nobili. Il secondo punto è quello dell’adattamento o della sostituzione alla vecchia guardia.
Ciò per gli uomini politici siciliani, già da allora, ha significato spesso o adeguarsi alle vecchie cosche o ricrearne altre più agguerrite, a cui appoggiarsi. L’on. Angelo Abisso preferisce appoggiarsi alle vecchie cosche che conoscono il mestiere e custodiscono i segreti, quelle stesse che egli aveva diffamato e sconfitto (23 ). Il terzo punto, di cui viene accusato l’Abisso è il dominio incontrastato nella cosa pubblica (24 ).
L’ultima fase coincide con il desiderio dell’on. Abisso di un partito dell’ordine ( 25), e fuori di ogni metafora, di apertura al fascismo, il quale però, si badi bene, stando alla interpretazione storica più valida e comune, coincide, nel Sud, con la reazione da parte degli agrari alle conquiste delle masse contadine.
Prima della prima guerra mondiale i contadini siciliani meridionali vivevano ancora in estrema miseria. In molte zone si praticava la « terzeria », grazie alla quale i padroni avevano diritto ai due terzi del prodotto della loro terra. Per di più tutto l’occorrente, dalle sementi ai concimi chimici, erano a carico del mezzadro. Inoltre i contadini dovevano fornire ogni anno un certo numero di giornate, sul fondo del proprietario, senza alcuna ricompensa, dovevano portargli un determinato numero di galline e di uova ogni settimana, versargli una somma annua per l’affitto della casa colonica, pagargli una speciale tassa se volevano allevarsi un maiale, e chiedere anche il permesso di sposarsi!
Dopo la grande guerra i contadini riuscirono, con i contratti collettivi conquistati dalle loro organizzazioni, a liberarsi di parecchi di questi privilegi padronali (26). Non si capisce bene come questa avanzata delle masse potesse impensierire o indispettire un paladino del popolo, quale si vantava di essere all’inizio della carriera A. Abisso. Intanto, costretti a cedere, i proprietari preparavano la rivincita, e Abisso ne fu uno dei decisi promotori, uno dei più solerti collaboratori ( 27).
Note
[1] G. Colletto, Storia della città di Corleone, Siracusa, 1936, p. 428.
2 « Corriere del popolo», Sciacca, 8-2-1914; M. Amato, Commemorazione in occasione dei funerali, 23-2-1906, in Biblioteca Comunale di Sciacca, Mise. Scaglione.
3 D. M. Smith, Storia della Sicilia mediev. e moderna, Bari, Laterza, 1970, p. 656.
.4 A. Scaturito, G. Licata, in « Kronion », Anno VI, vol. Il, n. 1-2, p. 183.
5 M. Amato, op. cit., pp. 8-14; G. Licata, Discorso pron. alla Camera dei deputati, 6 aprile 1905.
6 K. Licata, Sull’importanza dei bagni di Sciacca e sull’indirizzo pratico per migliorarli (conferenza popolare tenuta nel Casino di Sciacca, io nov. 1883), Bassano, 1883.
7 R. Paris, Le origini del fascismo, Milano, 1970, p.
8 « L’inaspettato », Sciacca, 30 marzo 1890.
9 « Il Lavoratore », Sciacca, 23 ott. 1904.
10 «La Verità», S. Margherita Belice, 2t sett. 1913.
11 «La Democrazia», Sciacca, 2 marzo 1913.
12 L. SALVATORELLI, Storia d’Italia nel periodo fascista, Milano, 1970, p. 113.
13 G. C. MARINO, L’opposizione mafioso (1870-1882), Palermo, 1964.
14 «Il lavoratore», Sciacca, 28 maggio 1908.
15 G. SALVEMINI, Il ministro della mala vita, vol. I, Milano, 1962.
16 « Il Giornale di Sicilia » (Scrivono da Girgenti a.), La corruzione elettorale, in «Il Lavoratore», 16 agosto 1908.
17 Ibidem.
18 Ibid. («Gli Ascari»), 12 aprile 1906; Ibid., 19 gennaio 1908.
19 « Il Lavoratore », Sciacca, 28 nov. 1907.
20 “L’idea popolare”, Sciacca, 18 sett. 1920
21 «Il Corriere del Popolo», Sciacca, 8 febb. 1914; 19 aprile 1914, e in «La verità», S. Margherita Belice, 4 maggio 1913: «Finalmente l’avv. Abisso dopo nove mesi di prudente riserbo ha messo alla luce… il suo colore politico: il trasformismo, che egli dichiara il partito di attualità. Ma che partito! Il trasformismo non è stato mai un partito. È una particolare attitudine a trasformarsi o cambiare di colore… per avvalersi di gente di ogni partito… per schierarsi con tutti i ministeri, per ottenere favori agli amici e grosse artiglierie contro gli avversari. (L’on. Abisso)… ha trovato una formula che falsificasse la sua aspirazione: succedere all’on. Amato… Quello dell’avv. Abisso non è un programma, è un atto di impudicizia politica, contornato di rifritture popolari ».
22 L. SALVATORELLI, Nazionalfascismo, Torino, 1923, in R. PARIS, op. cit., I documenti e la storiografia, p. 1102; B. CROCE, Storia d’Italia dal 1871 al 1915, Bari, 1967, p. 150; G. PETRONIO, G. D’Annunzio, in Letteratura italiana, Milano, Marzorati 1956, p. 1319.
23 « L’Idea popolare », Sciacca, 18 sett. 1920; 25 sett. 1920.
24 Ibid., « Il partito dell’on. Abisso, dopo di aver spadroneggiato per sei anni, portando il Comune nel baratro del fallimento, si ripresenta a chiedervi di ritornarvi, più assetato di prima e affamato di dominio, di vendetta e di favoritismi ».
25 A. ABISSO, Intervista, in «Giornale d’Italia», 11 aprile 1923
26 G. Di VITTORIO, Il fascismo contro i contadini, in II Sud nella storia d’Italia, Bari, Laterza, 1961, p. 571 e sgg.
27 Per un profilo di A. Abisso con bibliografia cfr. la voce relativa a cura di F. Brancate, in Dizionario Biografico degli Italiani, dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, vol. I.
Salvatore Sanfilippo, Appunti su alcuni uomini politici saccensi (dalla fine del secolo XIX all’avvento del fascismo)
Estratto da “Nuovi quaderni del Meridione, aprile-giugno 1972 n. 30