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Non Tirate la Catena: risate agrigentine

3 Maggio 2016 //  by Elio Di Bella

Di Michela Bella

Per favore, non tirate la catena

Lo sentite dire speso. A casa vostra e anche a casa d’altri; a casa  di parenti, di amici, ed anche, qualche volta, anche o casa di «estranei ».

Ma quale catena non si deve tirare?

Di catene oggi ve ne sono ormai ben poche: vi e quella della bicicletta, vi è (quando non è fune) quella dette campane. E basta.

Ve ne sono altre metaforiche : la catena dell’amore, quella delle fraternità… fino alla « nostra » catena. Una catena che un tempo era cosa tangibile e concreta: si vedeva, si toccava e… dopo..- si tirava; oggi non esiste più ma è rimasta in senso figurato: tirare la catena significa appunto rovesciare l’acqua dal serbatoio nel « vaso » della toilette, dopo che questo si è usato.

Un tempo il serbatoio si vedeva ed era proprio da questo che pendeva la catena (gioia e delizia delle vignette di Attalo). Oggi, i tempi moderni, scoprendo tante altre cose (scandali compresi) hanno coperto questo monumento dello stanzino da bagno: lo hanno interrato nel muro. E della catena non è rimasto che un pulsante, un bottone da schiacciare, o, a volte, una monopola da girare.

Ma la « catena » è rimasta in senso figurato. Anche oggi non si dice « ho schiacciato il pulsante » o meno ancora « ho girato la manopola » ma ancora si sente ripetere: «ho tirato la catena». Cioè in quasi tutte le altre città d’Italia si dice e si sente dire: «ho tirato, ovvero, vado a tirare la catena ». In Agrigento, in altri comuni della provincia, il discorso cambia: « Per favore, non tirate la catena! ».

Il fatto che la catena « non » si deve tirare non è, come potrebbe sembrare, un indice di scarsissima pulizia.

Ma è la riprova di un indice di necessità, di bisogno (di acqua). Praticamente è la tragedia della mancanza di acqua che si ripropone per l’agrigentino — tra i suoi multiformi aspetti — anche sotto questo punto di vista.

E tutto deriva da un calcolo matematico elementare.

Una « tirata di catena » costa dai dodici ai quindici litri di acqua (tante ne contiene il serbatoio). Una famiglia media ha quattro figli. Ogni giorno si deve contare un minimo di cinque « tirate » (4 + una definitiva la sera prima di andare a letto). Cinque « tirate » fanno settantacinque litri che moltiplicati per i giorni in cui manca l’acqua (che sono quattro) assommano a 300 (diconsi trecento) litri di acqua che verrebbero meno ad una famiglia. Il che è assurdo in quanto, a volte, quella stessa famiglia, per quei giorni, per tutti gli altri usi, arriva appena ad avere il doppio del prezioso liquido di quante ne richiede la « tirata ». « Per favore, non tirate la catena! ».

Ora la frase che prima sembrava senza senso è diventata una espressione che nasconde una grande tragedia. Già, perchè la mancanza di acqua per una comunità civile è una grande tragedia.

Alla mancanza della nostra « tirata » si supplisce con un catino posto, dignitosamente, in un angolo della stanza da bagno. A parte il fatto che il catino può supplire alla carenza con 4-5 litri di acqua, spesso in esso si pone liquido che già è servito ad altri usi è perciò in un certo senso il conto torna.

I piu furbi (o più previgenti) non si lasciano andare alla implorazione di non usare lo « scarico del vaso ». Essi bloccano addirittura il tutto, fermando il galleggiante, o svitando il pulsante e cosi via. Nelle abitazioni dove ancora troneggia la catena, di ottocentesca memoria, questa viene raccolta e annodata superiormente in modo che la mano, anche volendo non può arrivarci. Il nostro discorso sembra una «battuta». magari di quelle che camminano sul filo della grossolanità.

Ma la vita agrigentina, nelle sue acute assurdità quanti aspetti sconcertanti presenta!

Dal Giornale di Sicilia del 6 ottobre 1968

Categoria: Agrigento RaccontaTag: agrigento racconta

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